
di Paolo Crepet
Einaudi
«L’innamoramento è una malattia. Solo che funziona esattamente al contrario di una patologia organica: fa tanto bene quanto più fa male. Più il virus è invasivo, virulento e contagioso, più l’innamoramento è sconvolgente; appena il virus si attenua e stempera la sua portata morbosa, ecco che il sentimento si placa e si trasforma. E, come tutti i virus, l’innamoramento colpisce allo stesso modo in ogni parte del mondo. Non conosce differenze di condizione sociale e di razza, non ha bisogno di traduzioni per essere compreso né di climi speciali per attecchire. […]
L’innamoramento non può avere nulla a che vedere con la ragione. Accade in tutti i campi, non solo in quello sentimentale: quella magica forza funziona allo stesso modo anche per la musica, la letteratura, la pittura, qualsiasi espressione umana. […]
La scoperta delle emozioni – nella pienezza e nell’assoluta libertà in cui si possono esprimere – rappresenta tuttavia una delle più recenti conquiste. Per anni non sono state ascoltate ma semplicemente tenute sotto controllo, ora che finalmente è venuto il tempo di viverle appieno si avverte turbamento e perplessità. A volte suscitano perfino diffidenza, spavento, sgomento, proprio perché non si conoscono. Quasi che a volervisi addentrare si percepisse una perdita di sé, un horror vacui, la paura dell’abisso. […]
Quando ci s’innamora si soffre, inevitabilmente. La domanda più frequente che l’innamorato rivolge è: «Quanto ti sono mancato?» Che vuol dire: «Quanto hai sofferto per me?» E se la risposta è tiepida, vuol dire che anche il sentimento non ha più sapore. Perché più si sta male più si è innamorati: è come una cartina al tornasole.»