
di Federico Rampini
Mondadori
«Il declino dell’Occidente è uno spettro che ci angoscia da tempo. Ora, però, succede qualcosa di nuovo: è in corso la nostra autodistruzione. L’ideologia dominante, quella che le élite diffondono nelle università, nei media, nella cultura di massa e nello spettacolo, ci impone di demolire ogni autostima, colpevolizzarci, flagellarci. Secondo questa dittatura ideologica, non abbiamo più valori da proporre al mondo e alle nuove generazioni, abbiamo solo crimini da espiare. Questo è il suicidio occidentale. Tutto ciò che accade ai nostri confini, come la tragedia Ucraina, si spiega con questo retroscena interno: i nemici dell’Occidente sanno che ci sabotiamo da soli, rinunciando alle nostre certezze, cancellando la fiducia in noi stessi. […]
Altrove avanza un ordine mondiale alternativo, quello di Xi Jinping e Vladimir Putin. L’Ucraina rischia di essere solo un assaggio di quel che potranno fare. La loro analisi sul nostro declino terminale è confortata da tutti i segnali di decomposizione interna che racconto in questo libro. L’America, stanca di avventure imperiali, stremata da troppe guerre, vede nell’isolazionismo un’opzione realistica. L’Occidente, orfano di una nazione guida, senza più certezze, deve solo sperare che i suoi avversari siano meno forti di quel che sembrano. […]
Le giovani generazioni schiavizzate dai social media sono manipolate dai miliardari del capitalismo digitale. Il vero potere forte del nostro tempo, questo establishment radical chic, si purifica con la catarsi del politically correct. È il modo per cancellare le proprie responsabilità: l’alleanza fra il capitalismo finanziario e Big Tech ha pianificato una globalizzazione che ha sventrato la classe operaia e impoverito il ceto medio, ha creato eserciti di decaduti. Ora quel mondo impunito si allea con le élite intellettuali e si rifà una coscienza: abbracciando la crociata per le minoranze e per l’ambiente. La questione sociale viene cancellata dall’orizzonte umano. Non ci sono più classi, né diseguaglianze economiche, né ingiustizie di massa nell’accesso alla ricchezza. Ci sono solo «un pianeta da salvare» e un mosaico di identità etniche o sessuali da eccitare perché rivendichino quote colorate e risarcimenti.
In America questo è il Vangelo che si recita tutte le mattine nei consigli d’amministrazione delle multinazionali, dalla Silicon Valley a Wall Street; negli uffici marketing; a Hollywood e tra le celebrity milionarie dello sport. In Europa il conformismo totalitario può avere il volto seducente di Greta Thunberg e Carola Rackete. Il filo conduttore è lo stesso.
È una storia familiare per chi ricordi qualcosa degli anni Sessanta e Settanta: delle avanguardie militanti si autoeleggono a guida di un popolo che in realtà diffida di loro, perché non si sente affatto difeso dal politically correct. Ma le frange radicali di oggi non hanno bisogno di conquistare un consenso sincero e di massa; hanno imparato a corteggiare l’establishment, a fare incetta di cattedre universitarie, a occupare i media. Possono rimanere minoritarie e stravincere, imponendo dall’alto un nuovo sistema di valori. Troverete tanti accenni alla storia moderna e antica, maestra di vita. Da quella dell’Impero romano estraggo presentimenti inquietanti ma anche ragioni di conforto: seppe prolungare una dignitosa decadenza per quattro secoli; instillò rispetto e perfino un timore reverenziale negli avversari che lo prendevano d’assalto. Perciò queste pagine possono essere anche lette in controluce. Oltre a decifrare l’attacco finale sferrato all’Occidente dal suo interno, vi propongo qualche speranza di sopravvivenza. […]
In questo libro ho raccolto le prove che il decadimento viene da lontano. La destra e la sinistra vi hanno contribuito generosamente. Le derive estremiste hanno deformato ambedue gli schieramenti: la destra moderata è quasi invisibile, la sinistra ragionevole è intimidita dai radicali. La certezza con cui attribuiamo tutta la colpa alla parte politica avversa è uno dei sintomi di una comunità malata. Per una crudele ironia della sorte, proprio quegli europei che più disprezzano l’America oggi ne stanno importando i peggiori difetti in casa propria: dalla censura politically correct nelle università inglesi all’odio per l’Occidente di Carola Rackete, all’ambientalismo pauperistico e antiscientifico di Greta Thunberg.
Ma l’America resta oggi il laboratorio del suicidio occidentale, per una ragione che distingue questa crisi da tutti gli episodi precedenti. Stavolta, quei pezzi di cultura radicale che demonizzano e demoliscono ogni valore dell’Occidente sono cooptati nell’establishment. Mai in passato c’era stato un allineamento così totale fra la cultura antioccidentale e i poteri forti del capitalismo, della cultura, dei media, dell’industria dell’entertainment. L’Europa insegue e cerca di adeguarsi, l’America è all’avanguardia. Black Lives Matter e la colpevolizzazione dei bianchi, l’esaltazione di tutte le minoranze etniche o sessuali, il neopuritanesimo, l’ambientalismo apocalittico, tutti questi movimenti sono sostenuti dai miliardari progressisti e dalle caste privilegiate del capitalismo digitale, dalle élite che siedono nei consigli d’amministrazione, che guidano le università, le case editrici, i media, il business del cinema e della musica. Nelle crisi precedenti del modello americano, le forze che tentavano l’assalto erano antisistema; oggi è «il Sistema» ad aver deciso di perpetuare il proprio potere abbracciando le ideologie antioccidentali.
Ritorno al confronto inevitabile con l’Impero romano per sottolineare una differenza in questo tramonto di civiltà. Quando cominciò quella rivoluzione dall’alto che avrebbe imposto al popolo un’«inversione valoriale» – l’abbandono di tutte le regole del mondo pagano sostituite da controregole cristiane –, l’imperatore Costantino ebbe cura di non demolire la memoria di Roma. Il passato dell’impero, le sue realizzazioni e le sue conquiste, erano beni preziosi e non andavano diffamati. L’imperatore convertito al cristianesimo non trasformava in criminali o demoni i suoi predecessori, anzi, si ergeva a continuatore di una storia nobile e illustre. Anche per questo l’impero durò altri centoquarant’anni prima di esalare il respiro finale. Nell’attuale suicidio dell’Occidente, invece, «l’inversione valoriale» non salva proprio nulla, la furia della distruzione del nostro passato è accecante. L’Occidente-caricatura come viene insegnato oggi nelle università di élite americane, inglesi, e presto europee, è solo una fabbrica di genocidi, una mostruosa fucina di ingiustizie e di sofferenze, che ha soggiogato, sfruttato e violentato l’umanità intera (tutta santa e innocente salvo i bianchi), oltre ad aver dilapidato le risorse naturali del pianeta.»