
Per un matematico ha un duplice interesse. Innanzitutto, ci mostra qual è il sapere matematico disponibile per un intellettuale che viveva a Firenze tra la fine del ‘200 e l’inizio del ‘300. In secondo luogo ci mostra come le conoscenze e i teoremi matematici trovano spazio in un’opera poetica, che, ovviamente, non si pone né il problema di sviluppare quelle conoscenze, né quello della divulgazione della materia.
L’esame dell’opera rivela due modalità di utilizzazione della matematica da parte di Dante. Il poeta se ne serve per progettare l’architettura dell’opera e come fonte di similitudini per mostrare l’indiscutibile verità delle cose divine.
Come si sviluppa l’architettura numerica della Divina Commedia?
Dante si dà vincoli precisi: cento canti, raccolti in tre cantiche di trentatré canti ognuna, più un canto di introduzione. Dunque: 1+33+33+33. L’Inferno è diviso in nove cerchi dove sono punti tre tipologie di peccati: peccati di incontinenza, di violenza e di frode. Il Purgatorio in nove zone: antipurgatorio, sette cornici e paradiso terrestre. Il Paradiso in nove cieli mobili più uno immobile. Il numero tre ritorna nelle terzine e nella terza rima incatenata, secondo la progressione ABA BCB CDC … Il numero tre ha un significato particolare per Dante, perché è associato a Beatrice. Dante giunge a questa con un ragionamento che oggi ci appare palesemente arbitrario. Dante afferma di aver incontrato Beatrice in due occasioni: quando aveva nove anni e diciotto anni. Nota che 18 = 9+9 e che 9 è uguale a 3×3. Dunque, conclude, quei due incontri a nove e diciotto anni non sono casuali, ma devono avere un significato preciso: essi stanno a significare che Beatrice era “un nove, cioè un miracolo” perché nove ha come propri fattori il tre, che è associato alla Trinità.
Ma non bisogna meravigliarsene. Il numero è considerato dagli intellettuali del tempo una delle chiavi per accedere al segreto ordine dell’universo. Il numero è un simbolo carico di una molteplicità di significati religiosi, mistici, morali, esoterici, che un intellettuale degno di questo nome deve saper leggere. Bisognerà attendere ancora alcuni secoli ed arrivare a Galileo per considerare il numero come risultato di un atto di misura e componente fondamentale del metodo scientifico.
Che significato hanno le corrispondenze numerologiche che compaiono nella Divina Commedia?
Distinguiamo tra le indicazioni numerologiche esplicite e quelle scovate dagli studiosi più accaniti. Oltre al numero tre che ricorre continuamente nelle tre cantiche (tre le fiere che incontra, tre i colori della veste di Beatrice, tre i fiumi dell’Inferno, ecc.), Dante ricorre esplicitamente a un codice numerico per formulare una profezia del “Cinquecento Diece e Cinque” nel canto XXXIII del Purgatorio (v. 43). Dante auspica la venuta di un messo di Dio, il “Cinquecento Diece e Cinque”, per punire, secondo una certa interpretazione, la curia romana e il re di Francia suo complice. La ricerca di chi sia questo personaggio misterioso ha scatenato la creatività dei commentatori. È stato identificato con Enrico VII, Cangrande della Scala, Cristo o lo stesso Dante. Ma Dante non ci fornisce indizi: è volutamente criptico.
Altro, invece, sono le corrispondenze numerologiche inventate dagli studiosi. Un esempio valga per tutti. Il verso 88 del primo canto dell’Inferno è: “vedi la bestia per cu’io mi volsi”. Pötters ha notato che la parola “bestia” cade nella posizione 87,33. Eleva il numero alla terza potenza e ottiene 666024,769. Quindi lo moltiplica per cento, elimina la parte decimale e, alla fine di queste astruse manipolazioni, ottiene 666, cioè il numero che la tradizione esoterica associa alla Bestia per antonomasia, il Demonio.
Ciò che vogliamo affermare è che Dante senz’altro usa i numeri in chiave simbolica, ma con parsimonia. Invece, molte delle interpretazioni numerologiche dei suoi esegeti sono arbitrarie.
Quali culture matematiche confluiscono in Dante?
Ai tempi di Dante convivono diverse tradizioni matematiche. La tradizione platonica-pitagorica che assegna al numero e ai rapporti numerici significati mistici e esoterici, e la cultura matematica dei grandi scienziati ellenistici e arabi, le cui opere sono finalmente accessibili grazie alle traduzioni in latino dei testi greci e arabi. Nell’XI secolo fu tradotto dall’arabo gli Elementi di Euclide, redatto tra il IV e III secolo a.C. Dante ne farà un ampio uso nel Paradiso per dare forza ai propri ragionamenti. Non dimentichiamo che all’epoca di Dante la notazione numerica prevalente era ancora quella romana che è additiva. Millecentoundici in notazione romana è MCXI. Si ottiene il totale mediante la somma di M+C+X+I, cioè mille più cento più dieci più uno. Per fare i conti bisogna considerare i numeri come i gettoni delle fiches. Per fare le quattro operazioni si sommavano e sottraevano gettoni di valore diversi utilizzando strumenti progettati allo scopo chiamati abaci. Fare moltiplicazioni e sottrazioni era alquanto complicato. A Firenze, città di grandi commerci e centro della finanza internazionale, vi erano molte scuole d’abaco.
Nelle scuole d’abaco la matematica veniva insegnata attraverso problemi ed esercizi, che miravano a sviluppare l’abilità a far di conto.
La grande novità matematica nel periodo di Dante consisteva nella crescente diffusione della notazione decimale e delle cifre indo-arabe grazie al matematico pisano Leonardo Fibonacci, che nel 1202 pubblica il Liber Abaci, in cui dimostra la superiorità della notazione posizionale decimale. Per scrivere millecentoundici è necessario il solo simbolo “1” ripetuto quattro volte “1111”. Il numero uno cambia valore a secondo della posizione. Sembra che Dante conoscesse l’esistenza delle cifre indo-arabe grazie a un sonetto che alcuni critici attribuiscono a Dante.
Teniamo presente che nella Divina Commedia i numeri sono sempre riportati in lettere, per cui non sappiamo che notazione usasse Dante.
Gli aspetti pratici della matematica, come è lecito attendersi, non hanno un grande interesse per Dante. Eppure, il poeta non è insensibile al lato concreto dei numeri. Vi è un riferimento al gioco della zara, che è un gioco di dadi, nel canto VI del Purgatorio. Dante ci dice che colui che perde “si riman dolente/repetendo le volte, e tristo impara”. Dante coglie il momento in cui il giocatore, addolorato per la perdita subita, rimugina sulle sequenze dei numeri usciti, cercando di indovinarne una logica. Ovviamente, senza trovare la risposta. Per poter affrontare il problema in modo adeguato bisognerà attendere oltre tre secoli, quando vedrà la nascita la teoria della probabilità.
Quali riferimenti alla matematica e alla logica sono presenti nella Divina Commedia?
Nella Divina Commedia troviamo riferimenti sia alla geometria di Euclide che ai numeri naturali e alla logica. L’esempio più famoso è quello presente nel canto finale del Paradiso, quando Dante si trova al cospetto di Dio. Come fare a rendere conto di una visione che trascende ogni umana possibilità? La soluzione del poeta è coup de théàtre: lascia perdere ogni immagine naturalistica e ricorre a una similitudine matematica. L’impossibilità di descrivere con le parole ciò che io vidi, dice il poeta, è simile all’impossibilità del ‘geometra’ che si applica con tutte le sue forze “per misurar lo cerchio”, ma non ci riesce perché non riesce a trovare “quel principio” di cui ha bisogno. Il principio, come Dante sa, non esiste, perché il rapporto l’area del cerchio è raggio al quadrato per pigreco, e pigreco è un numero irrazionale, cioè 3,141592…con cifre infinite. Anche se si conosce il raggio, nessuna misura del cerchio sarà mai esatta. Con questa similitudine matematica, Dante riesce a dirci che, per quanto sofisticate possano essere le nostre conoscenze umane, non saremmo mai in grado di penetrare la vera natura di Dio.
Altre volte Dante utilizza la geometria per dimostrare verità inoppugnabili, come, ad esempio quando ricorre, nel canto XVII del Paradiso, alle certezze della geometria euclidea (“non capere in un triangol due ottusi”) per dirci che Cacciaguida è sicuramente capace di vedere il futuro.
Oppure ricorre alla serie geometrica di ragione 1000 per indicarci l’infinito numero di angeli dei cerchi angelici che come corone circolari circondano il centro dell’Empireo. Lo fa riprendendo adattando un problema già conosciuto ai suoi tempi sulla crescita esponenziale che si ottiene raddoppiando il numero di semi di grano ad ogni casella di una scacchiera.
Leggendo la Divina Commedia con gli occhi di un matematico si scoprono esempi di logica aristotelica, osservazioni sulla sequenza dei numeri naturali, ed altro ancora. Una quantità di riferimenti matematici, utilizzati senza reticenza e con grande competenza, per sostenere l’arduo viaggio alla conquista di una piena consapevolezza della propria umanità.
Giuseppe Zollo, saggista, docente, già Professore Ordinario di Ingegneria Economico-Gestionale presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II, Direttore del Centro di Comunicazione e Innovazione della stessa università, Presidente dell’Agenzia Regionale Campania Innovazione. Ha pubblicato diversi libri e oltre duecento articoli scientifici sui temi dei sistemi complessi, della storia della tecnologia, della gestione dell’innovazione, la valutazione delle competenze, leadership.
Guido Trombetti, Professore Emerito di Analisi Matematica presso l’Università di Napoli Federico II. Già Rettore della stessa Università, Presidente della Crui, Presidente della Società di Scienze Lettere ed Arte in Napoli, Medaglia d’oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte conferita dal Presidente della Repubblica Ciampi. Giornalista pubblicista, ha pubblicato varie centinaia di articoli su testate a tiratura nazionale. Ha pubblicato varie raccolte di racconti, un romanzo breve e un volume di divulgazione matematica insieme a Giuseppe Zollo.