
In quanti modi gli utenti ispirano l’ironia e l’umorismo del bibliotecario?
Tantissimi. Soprattutto nella biblioteca di pubblica lettura – per esempio quella di ente locale – entra un’umanità varia, dagli zero ai 99 anni. Vi sono rappresentate tutte le categorie di cittadini, anche quelli che vivono ai margini della società, nel disagio sociale. Non esiste posto più libero e accogliente di questo: entrano ed escono a loro piacimento. Portano istanze e desideri. C’è chi vuole studiare, leggere o soltanto stare tranquillo, chi entra per fare due chiacchiere, per isolarsi o mescolarsi, per “rimorchiare”, stringere relazioni o solo per fare pipì, stare nell’anonimato più assoluto o farsi sentire. Alle volte gli utenti fanno domande buffe, alle volte hanno comportamenti strani (ma chi non è un po’ strano, dopotutto?). L’umorismo è ispirato dalle loro debolezze e imperfezioni, dalla singolarità di certi comportamenti. Basta osservare, con un’osservazione partecipe, mai distaccata. E soprattutto, empatica. La biblioteca, in fondo, è lo specchio della complessità dell’animo umano e tutti quelli che vi entrano aggiungono le loro voci a quelle dei libri.
Già il grande Ranganathan, bibliotecario nell’India degli anni Trenta, nella sua opera fondamentale “Le cinque leggi della biblioteconomia”, sostiene che la biblioteca è fatta per “qualsiasi razza d’individuo”. E le sue famose cinque leggi sono tuttora di una modernità impressionante perché mettono l’utente al centro di tutto. Non per niente, nella nostra biblioteca, due di queste, la seconda e la terza, sono stampate sul vetro accanto all’ingresso: “Ad ogni lettore il suo libro”, “Ad ogni libro il suo lettore”. È già tutto qui, contenuto in sole due frasi.
Quali sono le manie e le idiosincrasie di ogni bibliotecario?
Mah! Ognuno ha le sue. Io, per esempio, mi sento sempre incompleta. Rincorro il tempo. Vorrei fare tanto di più di quel che faccio, talvolta mi entusiasmo, talora cado nel disincanto e mi faccio prendere dallo sconforto. Vorrei leggere tutti i libri che mi passano per le mani e non posso: questo mi crea una strana, persistente, forma di ansia. Sono ansiosa, ecco. Se potessi incasellerei la complessità del mondo nelle classi della Dewey. Un po’ di mania di controllo. Ma i libri della biblioteca, in realtà, sono incontrollabili. Vanno, vengono, si perdono, stanno sdraiati o di sghembo, perennemente fuori posto. È difficile tenerli a bada. E più sono in disordine e meglio è. Del resto anche la legge della termodinamica di Carnot spiega la biblioteca: “la trasformazione di una forma di energia in un’altra deve necessariamente comportare una perdita di energia”. Più i libri passano di mano in mano – pura energia immagazzinata tra le pagine – più è inevitabile “qualche piccola perdita e qualche deterioramento” (… sempre Ranganathan). E io mi sono abituata a questo “va e vieni” fuori controllo. Mi insegna a lasciar andare, a non trattenere. Di più: il contatto costante con i cittadini ha trasformato la liceale spocchiosa e secchiona che ero, in una persona diversa, ribaltando radicalmente la mia idea di lettura e di letteratura.
Cosa comprende la quotidianità di una biblioteca d’ente locale?
Il nodo fondamentale è il rapporto diretto con il cittadino. Mai dimenticare che il senso ultimo della biblioteca civica, la sua mission, il suo core business, sono le persone che vi entrano, indipendentemente dal loro status sociale. La quotidianità della biblioteca d’ente locale è improntata a quello che Giovanni Solimine definisce “lo stile di servizio”. In primis il cosiddetto reference: in due parole, guidare il cittadino a trovare le risorse informative di cui ha bisogno, in modo personalizzato. Il primo mattino, per esempio, significa sempre la preparazione di giornali freschi di giornata e riviste per il pubblico, il prestito libri alle persone che passano velocemente a fare scorta di letture, prima di entrare al lavoro, l’attivazione delle connessioni Internet alle postazioni, per le persone che lo richiedono, gli studenti universitari che cominciano ad affollare le sale. Già, perché spesso, nelle città dove non esiste un polo universitario, le Civiche svolgono una funzione vicaria. Ospitano i numerosi studenti che vengono a studiare e che fanno un uso strumentale degli spazi. Poi c’è la parte didattica della biblioteca, con le visite guidate ai bambini delle scuole dell’infanzia o della primaria, con gli insegnanti che lavorano maggiormente sulla promozione della lettura in classe. La scuola media è più latitante; la fascia 11-14 anni, la prima adolescenza, sono realtà più difficili da catturare. In ogni caso il rapporto con gli istituti scolastici del territorio è un altro dei “fondamentali” della biblioteca d’ente locale. Poi ci sono da curare gli espositori e le vetrine che propongono spesso percorsi di lettura a tema, l’impegno per la redazione di bibliografie e la consulenza per le tesi. Il prestito interbibliotecario è un’altra pietra miliare del servizio, fa arrivare libri da biblioteche esterne che aderiscono alla rete del Servizio Bibliotecario Nazionale, per tutti coloro che ne hanno necessità. Inoltre, la biblioteca promuove la lettura attraverso l’organizzazione di incontri con l’autore, laboratori di lettura, iniziative volte a favorire l’incontro tra il libro e il cittadino. Insomma, le giornate volano. E poi, sempre tra i “fondamentali”, per il bibliotecario c’è il lavoro di back-office: la cura del catalogo – lo strumento che più di ogni altro mette in relazione l’utente con le risorse informative presenti in biblioteca – il lavoro di incremento del patrimonio documentale, il suo aggiornamento, la selezione degli acquisti librari sia cartacei che elettronici, e la loro valorizzazione. La biblioteca, infine, va saputa comunicare, ecco allora che anche il profilo FB istituzionale diventa un canale importante di relazione con la comunità dei lettori e va gestito accuratamente. Non ci si annoia mai, le richieste e le istanze sono sempre nuove, talora semplici, talora più impegnative. Talvolta strambe. Ed è lì che possono verificarsi momenti che, se saputi cogliere, possono essere fonti inesauribili di situazioni buffe, al limite del comico. Tipo l’utente che viene ogni due giorni a richiedere sempre lo stesso libro che non esiste o quello che ha scritto la sua opera prima e pretende che il bibliotecario la legga e gli formuli un giudizio.
Talvolta anche i mefistofelici ingranaggi della Pubblica Amministrazione possono suscitare ilarità.
Bè, sì, in effetti può essere così. Le biblioteche, come del resto gli altri servizi culturali, hanno una fisionomia particolare in seno all’ente locale. Hanno dinamiche altre rispetto ai restanti servizi comunali. Sono uffici distaccati che formano un blocco a sé. Per loro stessa natura, stanno spesso strette dentro i meccanismi inevitabilmente burocratici e più rigidi dell’ente. Richiedono una grande elasticità nei turni e negli orari degli operatori e necessiterebbero di corsi di aggiornamento ad hoc per il personale. Sono accoglienti per definizione e aprono le loro braccia anche a colleghi che arrivano da altri servizi e che non hanno una specifica professionalità. Gli stessi amministratori spesso ignorano la peculiarità di questi servizi e pensano che in biblioteca possano lavorare davvero tutti. Talvolta accade che la considerino più un contenitore che un contenuto. E una domanda sorge sempre spontanea: ma un bibliotecario potrebbe mai lavorare all’interno dell’Ufficio tecnico del Comune, tra i geometri e gli ingegneri? O all’ufficio legale?
Fare il bibliotecario è dunque un mestiere divertente?
Non so se vale per tutti. Per me lo è davvero. Mi sento una persona fortunata. La nostra biblioteca è la mia seconda casa, i colleghi, un’altra piccola famiglia. Mi piace lavorare a contatto con la gente, ascoltarla, essere di qualche utilità per la nostra comunità. È un mestiere vivo, che aiuta a mettersi nei panni delle persone e può aiutare a sviluppare una comprensione non comune delle cose umane.