
Il passato mette a disposizione del manager e del leader moderno un ampio repertorio di abilità: comunicare una visione nitida del futuro; motivare grandi quantità di soldati, di nazionalità e culture diverse, ad intraprendere imprese sulla carta impossibili; far leva sulle caratteristiche e le competenze delle risorse umane; finanziare imprese ambiziose che duravano anni; reperire e mettere a valore le informazioni; studiare gli avversari ed i contesti competitivi. Abbiamo ritenuto che tutto questo potesse stimolare una riflessione sia a livello di approccio ai problemi, che a livello di ricerca di opportunità.
Inoltre, utilizziamo il passato anche per portare il manager ad analizzare gli errori – spesso clamorosi – dei grandi condottieri e per stimolare in azienda una riflessione su ciò che ha trasformato potenziali vittorie in cocenti sconfitte. I manager e i leader italiani sono spesso a disagio con i propri errori e fallimenti. Li temono, li nascondono, non li mettono a valore: ciò ritarda l’affermazione di una cultura che considera l’errore una conseguenza della sperimentazione e degli sforzi innovativi.
Quali leader avete scelto per accompagnare gli individui e le organizzazioni nella formazione integrata dalla narrazione storica e cosa si può imparare dal loro esempio?
Abbiamo deciso di puntare su alcuni personaggi e su una parte sola delle loro esperienze, adottando come criterio di scelta una forte aderenza alle problematiche manageriali emerse nel corso della nostra attività professionale.
Abbiamo scelto Annibale Barca (e con lui Scipione l’Africano, che lo sconfisse), perché è nel corso della seconda guerra punica che emerge la criticità di adottare strategie raffinate per conseguire il successo sul campo di battaglia.
Ma nemmeno la scelta di una strategia adeguata garantisce il successo, se essa non si accompagna ad una capacità di execution prevalente rispetto a quella degli avversari. Come non pensare allora a Giulio Cesare ed ai suoi fattori di successo? La capacità di motivare i legionari, la rapidità nell’attuazione delle decisioni (la leggendaria ‘celeritas’ cesariana), l’utilizzo delle tecnologie più raffinate (la costruzione del celebre ponte sul Reno, o l’assedio di Alesia) sono alcuni dei fattori che hanno consentito di acquisire al dominio di Roma in meno di dieci anni una delle regioni più importanti del suo dominio imperiale.
I comportamenti di leader di questa grandezza furono a lungo studiati e meditati da un altro grandissimo: Napoleone Bonaparte. I frutti di questo studio si vedono nella smagliante vittoria di Austerlitz (1805); ma proprio perché quegli insegnamenti furono disattesi si produsse il drammatico risultato di Waterloo (1815), che fece perdere al corso sia la battaglia, sia l’Impero, sia la libertà.
In che modo le vicende dei protagonisti del volume esortano a non mantenere inalterati i propri schemi di pensiero?
L’incredibile serie di sconfitte inflitte da Annibale ai Romani tra il 218 ed il 216 a.C. si concluse soltanto quando, proprio chi era passato nel fuoco di quelle sconfitte (Scipione aveva partecipato alle battaglie del Ticino e di Canne e aveva assistito da vicino alla disfatta del Trebbia), capì che era necessario mutare stile di pensiero per battere l’avversario punico.
E non fu sufficiente imitare le tattiche cesariane perché Vercingetorige riuscisse ad avere la meglio sull’invasore romano, dal momento che Cesare dette prove innumerevoli della sua capacità di innovare quelle tattiche adeguandole ogni volta alle diverse situazioni nelle quali operava.
Così come siamo ragionevolmente persuasi che Napoleone avrebbe potuto evitare la sconfitta di Waterloo, se fosse stato in grado di esercitare il suo ruolo di leader con minore narcisismo e senza quell’eccesso di fiducia nei propri mezzi che ha contribuito alla sua caduta.
Quelle vicende stimolano una riflessione sulla propria volontà e determinazione a cambiare, anche quando le strategie dimostrano la loro efficacia. I concorrenti, infatti, studiano le imprese di successo, ne analizzano le migliori prassi e cercano di implementarle nella propria realtà. Senza cambiare i propri ‘schemi tattici’ si diventa prevedibili, si rinuncia all’effetto sorpresa.
Questa attitudine a rimettere in discussione i propri cavalli di battaglia può consentire ai leader e ai manager di essere non solo preparati, ma pronti nel fronteggiare le modifiche del contesto di appartenenza e gli avversari che cercano di erodere posizioni competitive faticosamente costruite.
Come può, la narrazione storica, essere impiegata per l’affermazione del paradigma di apprendimento manageriale centrato sulla partecipazione attiva dei futuri leader?
Negli ultimi anni il paradigma di apprendimento manageriale ha subito un’evoluzione significativa. L’ approccio centrato sul docente prevede il trasferimento di conoscenza ed esperienza da un individuo facente parte dell’organizzazione (ad es., un senior manager) o esterno ad essa (ad es., un formatore professionista) a discenti che recepiscono passivamente quanto erogato. Con questo modello, gli allievi raramente apprendono dalla collaborazione con gli altri e non hanno l’occasione di sviluppare abilità comunicative. Mancando la fase della sperimentazione attiva, non c’è contezza del fatto che le informazioni siano state trasformate in conoscenza utilizzabile. Nell’approccio centrato sull’allievo, come quello che proponiamo, è prevista la partecipazione attiva dei discenti (manager e leader). La conoscenza e l’esperienza sono costruite con il loro contributo e il docente svolge il ruolo di stimolatore, facilitatore e partner nella crescita degli individui. Le storie, i protagonisti, le vicende storiche vengono scelte in funzione degli obiettivi che si intendono raggiungere e sulla base della diversa presa percettiva dei partecipanti.
La narrazione storica nella formazione manageriale non è ovviamente l’unica a sviluppare le doti di leadership, quanto piuttosto una valida opzione a disposizione delle organizzazioni. Alcuni manager prediligono una formazione tradizionale, che preveda condivisione di concetti, strumenti, momenti a contenuto motivazionale; altri, invece, prediligono la novità rispetto a quanto hanno già avuto modo di ricevere: una narrazione che li esponga ad un diverso repertorio di casi di studio, ad un confronto con stili di leadership diversi. L’impiego della narrazione storica, stimolando il confronto consente di implementare un modello orientato all’osservazione attiva, alla scoperta, al problem solving.
La narrazione può, ad esempio, sollevare il dubbio sulla reale entità del proprio vantaggio competitivo. Aiuta nell’essere obiettivi e nel non dichiarare vittoria troppo presto. A questo proposito, diverse imprese hanno utilizzato esempi tratti dalle vicende dei nostri protagonisti: Roma sembrava incapace di riprendersi, ma pur sull’orlo del baratro lo ha fatto e ha vinto; i Galli sembravano annientati da Cesare ma hanno trovato un leader (Vercingetorige) che li ha convinti a rialzare la testa; Napoleone, fino alla sera prima dello scontro decisivo a Waterloo, sembrava poter risolvere a suo favore la campagna del Belgio.
La storia può aiutare nel recuperare la motivazione ad agire e a reagire; attingendo alla memoria dell’organizzazione si ricordano i successi passati e si creano aspettative di ulteriori traguardi. La storia può altresì aiutare nella rimozione degli ostacoli al cambiamento. Organizzando la narrazione in un contesto collettivo, le persone si confrontano con chi vede il problema sotto una luce diversa. Le storie possono aiutare i senior manager a stimolare una reazione, unire le forze per ridare un senso all’azione organizzativa.
Il modello di apprendimento che impiega la narrazione storica può migliorare la messa a punto della visione e la sua condivisione, aumentando la capacità di coinvolgere le persone in un progetto ambizioso di lungo periodo. Gli esempi di Annibale, Cesare e Napoleone portano a riflettere sulla propria capacità di elaborare un’immagine avvincente del futuro dell’organizzazione. Il confronto con le loro gesta può stimolare l’appetito immaginativo delle persone e aiutare il leader a costruire un’idea di cambiamento sfidante e credibile. La storia, in sostanza, può servire come trampolino di lancio per portare chi ascolta dal dove è ora al dove dovrà – o dovrebbe – essere, soprattutto quando il futuro è incerto e solo poche persone nell’organizzazione ne conoscono i contorni, seppur sfumati.
Gianfranco Di Pietro ha insegnato Filosofia e Storia ed è stato co-fondatore e partner di un network di consulenti e formatori. Specializzato in Analisi transazionale per le organizzazioni, negli ultimi trent’anni ha affiancato il top management di grandi imprese in Italia e all’estero. I suoi interessi spaziano dalla leadership alla psicologia cognitiva ed alla progettazione di strutture manageriali ottimali.
Andrea Lipparini, Ph.D., è Ordinario di Gestione dell’innovazione all’Università di Bologna. È Associate Dean della Bologna Business School presso la quale dirige l’Executive MBA. Ha perfezionato gli studi presso la Wharton School dell’Università della Pennsylvania. Con il Mulino ha pubblicato, tra gli altri, La gestione strategica del capitale intellettuale e del capitale sociale (2002) e Economia e gestione delle imprese (a cura di, 2007).