
Nel corso degli ultimi decenni dei Novecento l’editoria italiana, soprattutto quella di case e gruppi di grandi dimensioni, ha visto le collezioni storiche di più spiccata identità culturale scomparire in favore di collane-contenitore dai profili molto più ampi e sfumati. Ma in molti casi le collane sono ancora portatrici di specifici progetti culturali. Penso, per fare sono un esempio, alla collana Sotterranei di minimum fax, nata a metà degli anni Novanta, che a Lawrence Ferlinghetti, Charles Bukowski e Kurt Vonnegut – e alcune opere di Carver – ha affiancato voci delle nuove generazioni anglo-americane con un alto valore di proposta in Italia, come David Foster Wallace, Jonathan Lethem, Rick Moody e Amy M. Homes. L’esistenza di una serie dotata di una precisa fisionomia può derivare dalla volontà di fare appello a un certo pubblico o nicchia mercato, adottando ad esempio etichette di genere e sotto-genere, o può suggerire magari un ampliamento delle attese di lettrici e lettori, verso territori nuovi.
Come nasce una collana?
Direi che alla nascita di una collana possono concorrere fattori di diversa natura, che la rendono un buon emblema dell’affascinante natura “anfibia” dell’editoria nel suo complesso: attività produttiva che deve contemperare ambizioni culturali e quadramento dei conti sul piano economico. Le storie di fondazione delle collane sono tante e diverse quanto le collane stesse e riflettono da vicino l’identità e le strutture delle case editrici, i rapporti tra case e consulenti o curatrici e curatori, nonché il modo in cui l’editoria entra in relazione con dati sfondi storici e movimenti culturali, ad esempio facendosi guidare da certe idee di pubblico, cercando di intercettare i gusti di una lettrice e di un lettore esistenti, o di spingersi oltre il noto.
In omaggio alla storica “bibliodiversità” dell’editoria della penisola cito due casi esemplari di caratteri e circostanze molto diversi. Possono nascere collane collegate a speciali cenacoli e all’attività di riviste letterarie, come le Edizioni di Solaria, pubblicate a Firenze in connessione alla rivista fondata da Alberto Carocci nel 1926: una collana che sin dall’inizio si misura con tirature molto contenute e costanti rischi di chiusura per difficoltà economica, ma la cui influenza sul panorama letterario degli anni Venti e Trenta riesce ad essere comunque impareggiabile, dando spazio a una generazione di giovani scrittori che, pur lontana dal costituire una scuola, traghetta la prosa italiana dal frammentismo a una rinnovata vocazione narrativa e romanzesca.
Possono nascere collane legate a specifici generi, come I Romanzi di Urania, ideati per Mondadori dal geniale e irregolare Giorgio Monicelli nel 1952, che portano in Italia la fantascienza novecentesca soprattutto anglo-americana, diventando il simbolo di questo genere narrativo per generazioni di lettori. Monicelli, precoce traduttore autodidatta dall’inglese e dal francese, redattore e consulente, è un intellettuale atipico, dai gusti multiformi, e lettore dei pulp fantascientifici che giungono in casa Mondadori da Oltreoceano. Il successo della serie in termini di tirature (che negli anni Settanta arriveranno, sotto la cura di Fruttero e Lucentini, a decine di migliaia di copie a numero) si giova della potenza della macchina produttiva mondadoriana, ma la serie non avrebbe mai visto la luce – o mai in quella precisa forma – senza le competenze, i gusti, il fiuto internazionale del suo geniale inventore.
La collana dei Gialli Mondadori ha addirittura dato il nome ad un genere letterario: quando nasce e come si sviluppa la collana?
La collana dei Gialli è invero la regina delle economiche di Mondadori. Nasce in anni cruciali per l’ascesa di Mondadori nell’editoria nazionale: fondata da Arnoldo nel 1919, la casa sta diventando, nel corso degli anni Venti, una nuova protagonista nei processi d’industrializzazione dell’editoria italiana, scalzando il primato di Treves e Sonzogno. Tra le mosse strategiche di Arnoldo, accanto all’ammodernamento degli impianti, c’è l’entrata nel mercato dei periodici e dei rotocalchi, e dei sotto-generi popolari di consumo su modelli internazionali, come appunto è il caso dei Gialli, in cui le traduzioni di narrativa straniera soprattutto inglese e francese sono centrali. La collana diventerà infatti emblematica anche dell’ingerenza crescente della censura fascista nella produzione editoriale degli anni Trenta, fino alla chiusura imposta nel 1941, nonostante le opere gradite al regime pubblicate dalla casa in altre collane.
Il primo titolo dei Libri gialli è La strana morte del signor Benson, traduzione di The Benson Murder Case di S.S. Van Dine (romanzo del 1926), decisa nel 1929 tra Arnoldo, Lorenzo Montano (pseudonimo di Danilo Lebrecht), appassionato lettore di polizieschi in lingua originale, Enrico Piceni, che firma la traduzione sotto lo pseudonimo di P. Mantovani, e Luigi Rusca, condirettore generale della casa dal 1928.
Su come sia nato il nome dei Libri gialli circolano diverse versioni: secondo alcune si tratta di una circostanza casuale, legata al colore del cartoncino su cui viene fatto il primo bozzetto di copertina, secondo altre viene coniato sul modello di nomi simili già in uso all’estero, o di altre collane della casa come I libri azzurri (autori italiani) e I libri verdi (storia romanzata). In ogni caso la fortuna è immediata: le vendite del primo Van Dine superano le aspettative, vengono stampate quattro edizioni in breve tempo, per un totale di 33.344 copie. Nei primi anni di vita la collana si attesterà quindi su tiratura media di 50.000 copie a uscita (quindicinale a partire da fine 1931). Inoltre la collana principale viene presto affiancata dalla consorella dei Gialli economici, che, in una veste simile a quella di una rivista, col testo impaginato su due colonne e con una tiratura di 26.000 copie a uscita, favorisce ulteriormente la diffusione del genere.
Dopo l’americano Van Dine escono, nel 1929, il più avventuroso L’uomo dai due corpi dell’inglese Edgar Wallace, un’antologia di un classico come Robert Louis Stevenson, e Il mistero delle due cugine di Anna Katharine Green, autrice americana attenta ad aspetti psicologici e di costume. Wallace, che andrà incontro a un grande successo, sarà ospitato con ben quaranta titoli nei primi cento usciti nella serie. Ma compariranno molti altri nomi del giallo straniero e soprattutto anglosassone, da Agatha Christie a Ellery Queen, da Rex Stout a Erle Stanley Gardner. La caratteristica copertina a fondo giallo ospita un’illustrazione racchiusa in un esagono, che verrà poi trasformato in cerchio e ripreso in seguito da altre collane consorelle, tra cui anche l’Urania fantascientifica di cui sopra.
Sia la collana principale che la sorella economica chiudono nel 1942 a seguito di un’ordinanza del Minculpop. Nel 1946 riprenderanno le pubblicazioni dei Gialli economici, ribattezzati I libri gialli nuova serie, e dal 1949 spostati dal settore librario a quello dei periodici, dove, sotto il nome di Giallo Mondadori, proseguono sino a oggi.
Mondadori ha impresso una svolta nel modo stesso di concepire l’editoria nostrana con i suoi Meridiani: quando nasce l’idea della collana?
I meridiani sono una creazione di Vittorio Sereni, all’epoca direttore letterario di casa Mondadori. All’attività editoriale di Sereni Gian Carlo Ferretti ha tra l’altro dedicato la bella ricostruzione intitolata Poeta e di poeti funzionario.
Alla nascita, nel 1969, e nei primi anni sono affidati alla direzione di Giansiro Ferrata, e si propongono – recita la brochure di presentazione – di “fornire un panorama […] di ‘classici sempre contemporanei’”, accostando autori antichi e moderni, come già gli Oscar facevano da qualche anno prima in una declinazione più economica. Negli anni Settanta la collezione inanella volumi dedicati ad esempio ad Ariosto e Cervantes, Baudelaire e Kafka, Joyce e Pirandello, Pound e Poe, Melville e Palazzeschi, Vittorini e Ungaretti. Il meridiano di Thomas Hardy è curato da Carlo Cassola, quello dedicato a Joseph Roth da Claudio Magris (destinato quest’ultimo ad entrare nei Meridiani anche come autore, il cui secondo volume di opere è datato 2021). Anche in seguito la collana ospiterà fianco a fianco poesia e narrativa, saggistica e teatro, scritti giornalistici ed epistolografia.
Nella sua aspirazione a tratteggiare un pantheon ideale della letteratura del sì e internazionale – con riguardo soprattutto ai contesti europeo e nordamericano -, offrendo i suoi testi in una veste particolarmente curata sia dal punto di vista critico-filologico che materiale, i Meridiani rappresentano la versione italiana di esperienze come la francese Bibliothèque de la Pléiade di Gallimard (nata nel 1931) o della Library of America in ambito statunitense (1979). In Italia si devono ricordare anche i Millenni, varati da Cesare Pavese per Einaudi nel 1947 e da Pavese diretti per i primi anni.
Dopo il passaggio di Sereni a consulente esterno nel 1976, comincia un cambiamento che vede i Meridiani, negli anni successivi, includere più frequentemente autori recenti e viventi, “promossi” anche con attenzione a logiche di mercato – concordo qui con il giudizio di Gian Carlo Ferretti. Guardando il catalogo oggi, stante l’ampiezza, la varietà e l’articolazione interna di una collezione che ha superato i 400 titoli, si nota una certa predilezione verso la contemporaneità. Di una maggior inclinazione al mercato e di una maggior attenzione all’accessibilità e alla diffusione della collana sono spia anche iniziative derivate come i Meridiani Collezione, che tra 2005 e 2007 hanno proposto una selezione di titoli in veste meno pregiata venduti in edicola a un prezzo inferiore, o i successivi Meridiani Paperback (2012-2015).
Nel complesso mi pare che la collana abbia ottimi spazi in cui espandere i suoi interessi e avere ancora lunga vita.
La recente scomparsa di Roberto Calasso ha acceso i riflettori sulla Biblioteca Adelphi, una collana davvero sui generis: cosa la rende straordinaria?
In effetti la Biblioteca Adelphi ha una storia particolare e affascinante. La collana nasce nel 1965, tre anni dopo il varo della casa editrice Adelphi da parte di Luciano Foà (con due terzi del capitale iniziale messi da Roberto Olivetti). Nello stesso 1965, muore Roberto “Bobi” Bazlen, il consulente e traduttore che con la sua cultura irregolare e sconfinata, aperta alla mitteleuropea, alla psicologia, alla mitologia, al pensiero junghiano, ha guidato i primi anni delle pubblicazioni. In realtà Bazlen lascia una grande quantità di pareri e segnalazioni che continuano a indirizzare le scelte della casa, comprese quelle dei primi libri della Biblioteca: preferenza per filoni fantastici, compresenza di generi letterari diversi e convergenza di letteratura e saggistica.
I primi titoli affiancano Alfred Kubin, Edmund Gosse e il Manoscritto trovato a Saragozza di Jan Potocki. In seguito gli autori eterogenei che troveranno posto nella collana – da Georges Simenon a Ludwig Wittgenstein, da Hugo von Hofmannsthal ad Antonin Artaud – vengono tutti in qualche modo “adelphizzati”. Nella Biblioteca Adelphi viene accolto nel 1967 L’anello di Re Salomone, alcuni anni prima che Konrad Lorenz vinca il Nobel (1973). Il libro diventa uno dei best e long seller della casa, e il successo dà vita a un filone a sé, sfruttato anche con una Collana di Etologia.
Dopo l’assunzione della direzione editoriale della casa da parte di Roberto Calasso nel 1971, la Biblioteca Adelphi resta, negli anni Settanta e anche in seguito, sempre centrale nel catalogo. Sono caratterizzanti filoni come quello filone mitteleuropeo, con Joseph Roth, Arthur Schnitzler, Hugo von Hofmannstal, Karl Kraus; e l’attenzione all’ambito del mitologico e del simbolico, che trova largo spazio nelle collane più esclusivamente dedicate alla saggistica. Anche nei decenni successivi la Biblioteca mantiene il suo carattere misto e ospita i libri di narrativa più rappresentativi dell’identità della casa, e anche dei suoi successi commerciali. Ad esempio Georges Simenon, di cui Adelphi pubblica i romanzi non legati alla figura di Maigret, lanciandolo in Italia come uno dei maggiori narratori del Novecento. Le finestre di fronte nel 1985 ha una tiratura iniziale di 9.000 copie. I quarantacinque romanzi successivi si assestano su una tiratura iniziale di 50.000 copie a volume.
Dal 1973 la Biblioteca principale è anche affiancata dalla Piccola Biblioteca Adelphi che ne ricalca la grafica in una variante senza illustrazione. La grafica della Biblioteca è diventata un marchio estremamente riconoscibile, con i suoi sfondi dai colori pastello e la gabbia lineare, che riprende alcune maquette disegnate nel 1895 dall’inglese Aubrey Beardsley, con un effetto d’insieme programmaticamente lontano dalla ricerca dell’attuale e del vistoso.
L’attività di scrittura e critica di Calasso ha incarnato in un certo senso la forte identità e la doppia anima della casa espresse anche dalla Biblioteca: un’anima colta e di successo, in grado di ottenere buoni risultati di critica e di pubblico mettendo al centro del suo progetto l’attenzione a un filone fantastico e a una cultura spirituale, esoterica, tendenzialmente antistoricista, e tradizionalmente marginalizzata nell’Italia dei precedenti decenni. L’”adelphizzazione” di alcuni autori e autrici italiani è equivalsa anche a una loro riscoperta e nuova valorizzazione, penso ad esempio ad Anna Maria Ortese.
Quali altre collane hanno segnato la storia dell’editoria nazionale?
Questa è un’ottima domanda a cui è difficile dare una risposta sintetica, perché numerose sono state le esperienze che hanno impresso il loro segno sull’editoria, la letteratura, la cultura della penisola. I capitoli che compongono Storie di uomini e libri sono infatti dedicati a ricostruire le storie, i profili, i protagonisti di quarantacinque singole collane, ma la contestualizzazione di ciascuna porta con sé riferimenti a sfondi e costellazioni molto più ampi.
Per menzionare solo pochi esempi, si troveranno nel libro collezioni che hanno segnato il passo nella storia delle traduzioni di narrativa e prosa, come gli Scrittori italiani e stranieri di Carabba, o di poesia, come la Fenice di Guanda o Lèkythos di Crocetti. Altre sono significative per aver portato in Italia le letterature di specifiche aree geografico-culturali, come la Collana praghese di e/o. Altre ancora sono state vere e proprie “collane d’autore”, espressione di un curatore particolare e di un progetto personalissimo, come i Gettoni diretti da Elio Vittorini per Einaudi o Centopagine, diretta per la casa torinese da Italo Calvino.
Dalle istanze di democratizzazione della lettura e divulgazione della BUR (Biblioteca Universale Rizzoli), agli elitarismi di Scheiwiller, in grado di pubblicare un libro in sole 8 copie, tutte le collane menzionate in Storie di uomini e libri hanno qualcosa da contribuire alla nostra riflessione sull’editoria come industria in grado di esprimere un discorso culturale. Così la collana diventa un osservatorio privilegiato sulla pubblicazione come processo in cui la letteratura assume una veste concreta e raggiunge i suoi pubblici, in cui vengono negoziate le forme che influenzano la circolazione e la ricezione dell’opera letteraria, permettendole di superare distanze storiche e confini linguistici e geografici.
Giulia Iannuzzi svolge attività di ricerca nel campo della storia culturale sui temi della speculazione fantastica, della comunicazione letteraria, interlinguistica ed editoriale in epoca moderna e contemporanea. La sua ultima monografia, scritta con Luca G. Manenti, è Un laboratorio di fantastici libri (Solfanelli 2019).