
La neologia è una disciplina relativamente giovane. Il termine che apparentemente sa di antico è in realtà un conio dotto del 1700 e si riferisce allo studio dei neologismi, cioè delle parole nuove, termine anch’esso moderno, usato inizialmente con connotazione negativa, per quel pregiudizio contro le novità linguistiche, reputate fattore di corruzione della lingua, che specialmente nella tradizione italiana è stato anche alimentato dalla norma ancorata ai modelli classici trecenteschi.
In realtà, anche se le parole nuove sono guardate con sospetto, i neologismi sono connaturati all’evoluzione della lingua, che cambia, benché all’apparenza sembri sempre la stessa nella sua struttura profonda.
Come nascono i neologismi?
Lo studio della neologia aiuta a capire come nascono i neologismi, che non sono solo
- invenzioni di un singolo, poi recepite dalla massa dei parlanti (es.’perestrojka’), o un fenomeno aleatorio imprevedibile di apporti dall’esterno (cfr. i cosiddetti prestiti (‘movida’, ‘flat tax’), più o meno adattati, come nel caso dei calchi (‘riscaldamento globale’, ‘lavoro agile’), ma anche
- realizzazioni di potenzialità infinite della lingua, frutto dei meccanismi di derivazione (es: ‘merkelismo’, ‘sarrismo’, ‘eurobond’,’debuggare,’ ‘vaticanese’, ‘spoilerare’) e di composizione (es.: ‘angolo cottura’, ‘apericena’, ‘scudo fiscale’);
- nuove unità polirematiche, come ‘stare sul pezzo’, ‘cabina di regia’;
- trasformazione di categoria grammaticale (es.: trasformazione di avverbio in aggettivo: ‘giornata no’; di aggettivo in nome: ‘social’ da ‘social network’);
- espressioni di figure retoriche, come la metafora (‘assalto alla diligenza’) o la metonimia (‘palazzo Chigi’, ‘il Colle’).
Un’altra possibile fonte di neologismi è la neologia semantica (cfr. ‘Sputnik V’, vaccino russo anticovid, nuovo significato della parola in uso negli anni della corsa nello spazio con il significato di missile).
Le possibilità di nascita di parole nuove sono infatti infinite e imprevedibili come l’evoluzione della lingua, che non è un calcolo logico come i linguaggi artificiali.
Esistono autorità regolatrici per i neologismi?
In Italia, pur essendoci una lunga tradizione purista che ha dato alla nostra lingua un’impronta conservatrice, non esiste un’autorità regolatrice, come quelle che esistono sia in Francia che in Spagna (l’Académie française e la Real Academia Española), che hanno il compito di sorvegliare e salvaguardate la lingua difendendola dagli eccessi di esterofilia, ma esiste l’Accademia della Crusca, nata nel 1583, che nel tempo ha acquisito sempre maggiore autorevolezza nelle sue prese di posizione.
In che modo la nozione di framing si applica all’evoluzione del lessico?
La nozione di framing, introdotta dalla linguistica cognitiva, si potrebbe tradurre con “inquadramento entro cornici”. Molte parole infatti non hanno un significato solo denotativo, ma si inseriscono in copioni stereotipati della vita sociale che riflettono diverse visioni del mondo e si traducono in veri e propri atti linguistici in grado di influenzare e manipolare la percezione della realtà. La diversa connotazione delle parole dipende dalla struttura narrativa in cui vengono inquadrate. La parola ‘narrazione’, influenzata dall’inglese storytelling, ha assunto in tempi recenti un significato nuovo che si avvicina a quello di framing. La realtà può essere presentata attraverso narrazioni e contro-narrazioni opposte che traducono diverse visioni del mondo di gruppi sociali e politici portatori di interessi diversi.
L’idea di raccontare la storia delle parole nuove dal dopoguerra a oggi, che è una delle novità più originali del libro, si è avvalsa proprio della nozione di ‘frame’ per ricostruire l’avvicendarsi della storia politica italiana, dallo spauracchio del ‘fattore K’ degli anni del bipolarismo al crollo del muro di Berlino, alla metafora della guerra nell’epoca del COVID-19, all’utopia green ispirata dal bergoglismo.
Quali tendenze è possibile identificare nell’evoluzione del lessico italiano dagli anni Sessanta agli anni Ottanta?
Negli anni Sessanta le parole nuove registrate nel DPN (Manlio Cortelazzo-Ugo Cardinale, Dizionario di Parole Nuove 1964-1987, Torino, Loescher 1989, seconda edizione) riflettevano il momento storico di sviluppo dell’italiano, diventato una lingua d’uso sempre più allargato, ma anche fortemente stratificato, con una differenza tra:
- l’élite politica e giornalistica, che ricorreva a un lessico intellettuale criptico, dominato dai neologismi derivati, con l’abuso del suffisso in -azione, -izzazione, come ‘finlandizzazione’, ‘gambizzazione’; lessico astratto usato anche dai protagonisti della rivoluzione del Sessantotto, innovatori nei costumi sessuali, ma ancora prigionieri entro le formule del sinistrese, come ‘portare avanti un discorso’, ‘nella misura in cui’, ‘discorsi di un certo tipo’; e
- i segnali di nuove aperture al mondo anglo-americano con prestiti dalla moda (‘casual’), dalla pubblicità e dai costumi (‘blue-jeans’, ‘cocktail’, ‘shakerare’, ‘jukebox’, ecc.) e soprattutto con la spinta opposta al monosillabismo (‘soft’, ‘in’, ‘grill’, ‘mix’, ecc.). Erano gli anni della cementificazione selvaggia, della ‘rapallizzazione’, delle ‘mani sulla città’, ma anche dell’ ‘immaginazione al potere’, della contestazione studentesca, del potere operaio, della P38 e del terrorismo, dello stragismo, del delitto Moro, tragico epilogo del fallimento del ‘compromesso storico’.
Gli anni Ottanta, definiti da Sebastiano Vassalli in una raccolta particolarmente emblematica (il Neoitaliano, le parole degli anni Ottanta, Bologna, Zanichelli 1989) “i banali anni Ottanta “, che segnano una svolta rispetto ai “folli anni Settanta”, si distinguono per il “riflusso nel privato”, capovolgimento della politicizzazione del privato degli slogan sessantottini. Sono gli anni dei ‘paninari’, dell’ ’edonismo reaganiano’, del ‘rampantismo’, del wojtilismo di CL, del ‘craxismo’, della ‘spartizione della torta’ tra i partiti delle varie formule consociative (pentapartito, esapartito, ecc.) che culminano nel crollo del muro di Berlino e con la fine del bipolarismo, già annunciata dalla ‘perestroika’ e dalla ‘glasnost’ di Gorbachev.
Come sta cambiando il lessico contemporaneo?
La lingua ha subito grandi cambiamenti da quando il mezzo televisivo ha costituito lo strumento più importante di alfabetizzazione di massa.
La prima svolta dopo gli anni Cinquanta si è avuta con l’affermarsi del “gentese” (discorso che deve parlare alla gente) nell’epoca della videocrazia berlusconiana con l’utilizzo anche in politica del linguaggio dello sport, come “scendere in campo”, e con l’acutizzarsi della conflittualità verbale, culminata nella ‘macchina del fango’ e nel risentimento contro ‘inciuci’ e ‘ribaltoni’ .
L’affermarsi dell’antipolitica e dei populismi, soprattutto con la nascita dei social network, ha accentuato quel fenomeno che De Rita del CENSIS ha definito con una parola di Carlo Emilio Gadda “imbagascimento del lessico collettivo”, un lessico che azzera le ‘intermediazioni’ e accentua il turpiloquio e l’insulto.
Questo sbracamento del lessico, inaugurato dalle velleità di ‘rottamare’ e ‘asfaltare’ l’avversario, dal ‘vaffa’, dalla ‘ruspa’, dai salutemi (I bacioni salviniani), dagli auguri di “marcire in galera”, evidenzia un impoverimento della vena creativa nel conio dei neologismi.
Non ci sono più quei neologismi che segnavano un’epoca, come quelli creati in precedenza dai grandi giornalisti. O forse non è propriamente un impoverimento, ma un segnale di quel processo di “democratizzazione verbale” che favorisce la divulgazione del lessico comune. E se questa affermazione può essere vera quando il linguaggio della politica e dei giornali per essere comprensibile privilegia, rispetto alla proliferazione degli -ismi e dei discorsi argomentati, i meccanismi della composizione, come ‘fine vita’, ‘decreto spazza corrotti’, ‘governo giallo verde, giallo rosso’, ecc., non si può dire invece che essa trovi conferma in quell’altro fenomeno, opposto, che si è accentuato nell’epoca del dilagare della pandemia, cioè l’abuso dei prestiti dall’inglese, importati acriticamente, e spesso senza una chiara competenza della lingua di partenza, per pura esibizione di esterofilia. Si pensi a ‘lockdown’, a ‘cash back’, a ‘caregiver’, ecc.
L’importazione di termini stranieri è un fenomeno connaturato all’evoluzione della lingua, ma è necessario l’acclimatamento di essi perché la novità diventi parte integrante del sistema linguistico. Certo non è opportuno che il linguaggio istituzionale dia il cattivo esempio. Ma, nonostante il persistere di spinte populiste che contrastano, anche con il lessico semplificato del no (‘no tav’, ‘no masks’, ‘no vax’, ecc.), le difficili mediazioni della democrazia, si fa strada anche nella lingua la “rivoluzione della tenerezza” di papa Bergoglio e il vocabolario della “gentilezza, virtù femminile che non è sinonimo di debolezza, ma di coraggio”, come sostiene lo scrittore Gianrico Carofiglio. In quest’epoca di transizione si fa strada anche qualche modifica del “linguaggio di genere”, come l’uso del femminile per le professioni tradizionalmente monopolio maschile (sindaca, ministra, ecc.). È questo un cammino che richiede tempo come tutte le trasformazioni che esigono la maturazione del sentire comune.