
Non di rado, però, le fonti manoscritte presentano insidie. Perduti spesso gli originali ci si deve affidare a copie. E le copie recano, introdotte dai copisti, inevitabili alterazioni, innocenti, ma non di rado intenzionali, per le ragioni le più varie. Nell’un caso e nell’altro, dalle alterazioni possono derivare rappresentazioni di fatti, eventi e pensieri non corrispondenti alla realtà. Né è facile distinguere le alterazioni casuali da quelle intenzionali (entrambe possono produrre alterazioni anche molto rilevanti). E qui il discorso conduce al difficile tema della trasmissione dei testi e a quello specularmente complesso del ‘mestiere’ di copista, destinato spesso a confondersi con quello di autore. È del tutto ovvio che quando queste fonti manoscritte manipolate sono le uniche intorno a eventi storici, la storia di quegli eventi può risultare falsata. In questo mio libro ho riportato alcuni casi di manipolazioni di fonti manoscritte, talora autentici intrighi filologici, che hanno finito per trasmettere erronee rappresentazioni storiche. Ne sono state vittime anche personaggi illustri come il grande Federico II, imperatore del Sacro Romano Impero e suo nonno Ruggero II, fondatore del Regno dell’Italia meridionale.
«A differenza dei libri, i manoscritti hanno una loro individualità»: quali affascinanti vicende evocano quelli da Lei descritti?
I manoscritti sono sempre opera unica, uscita dalle mani di una persona determinata, un autore o un oscuro copista, che ha usato supporti diversi a seconda delle epoche. Nel medioevo i manoscritti erano su pergamena, generalmente vergati con penna d’oca. Poi la scrittura ha subito evoluzioni nei supporti materiali, per la diffusione della carta, molto più economica della pergamena, anche se meno duratura (un racconto del libro è dedicato a questo tema e al non facile passaggio dalla pergamena alla carta). Dal sedicesimo secolo, con la scoperta delle miniere inglesi di grafite, è stata introdotta la matita. Ogni manoscritto è testimone di queste evoluzioni tecnologiche, ma ha, soprattutto, il fascino dell’opera unica. Non sempre i manoscritti sono stati riversati in edizioni stampate, rendendoli così fruibili al grande pubblico. Molti giacciono ancora inesplorati. L’affascinante storia delle scoperte di manoscritti non conosce la parola fine, perché presenta sempre nuovi capitoli, ancor’oggi sono infatti possibili scoperte anche sensazionali.
Personalmente ho avuto la ventura di imbattermi in significativi manoscritti inediti.
Di grande valenza storica è un manoscritto del 1502, mostratomi qualche tempo fa nella Biblioteca Complutense di Madrid dalla direttrice. Sfogliatolo delicatamente con guanti, mi colpirono subito alcuni passi. L’ho poi consultato con calma nella riproduzione filmica. È così balzata la storia, delicata e struggente, di un giovinetto, figlio primogenito dell’ultimo re di Napoli della dinastia aragonese, trascinato da solo esule in Spagna. Uno scellerato patto tra i re di Francia e di Spagna detronizzò infatti i regnanti aragonesi. Il padre, l’ultimo re di Napoli e sua madre erano stati tradotti prigionieri in Francia. Dal manoscritto traspare il senso di solitudine e la nostalgia del giovinetto verso la patria perduta e la volontà di riscattarla, con un ritorno vittorioso. Non tornerà più. Un tentativo per raggiungere almeno i genitori in Francia fu punito ferocemente: in sua presenza fu squartato vivo il personaggio che lo stava aiutando nel tentativo di evasione.
E poi mi è venuto tra le mani un manoscritto recante la cronaca segreta del lungo e travagliato conclave che, a fine Settecento, dopo quattro mesi. elesse Pio VI, il papa che sarà fatto prigioniero da Napoleone. È un resoconto dettagliatissimo sul contrasto tra i due ‘partiti’ di curia che si fronteggiavano, quello ‘gesuitico’, più geloso dell’autonomia della Chiesa e quello ‘regalista’ più sensibile alle esigenze delle cancellerie europee. Ad accrescere l’interesse c’è poi tutta una galleria dei grandi protagonisti del conclave.
Nel libro Lei racconta della sua passione bibliofila e dei suoi fortunati ritrovamenti sulle bancarelle dei bouquinistes: quali segreti rivelano spesso i manoscritti?
I manoscritti di cui ho parlato sono stati ritrovamenti in Biblioteca e dalle Biblioteche ci si possono aspettare belle sorprese. Nel libro racconto anche di emozionanti scoperte di libri, incunaboli e cinquecentine, esemplari unici, rimasti sconosciuti al mondo degli studi. Queste fortunate scoperte hanno avuto come teatro la Biblioteca Vaticana, la Biblioteca Colombina di Siviglia e la Biblioteca Nazionale di Napoli.
Ma emozione incomparabilmente più grande è venuta dal ritrovamento del tutto casuale di un manoscritto testimone e vittima di una storia di soprusi e di oscurantismo. Passante frettoloso, a Roma, tra le strade intorno al Pantheon, mi fermai distrattamente davanti ad una bancarella di cose vecchie, quando fui attratto da un logoro e voluminoso manoscritto, racchiuso in una copertina in pergamena vistosamente lacerata da morsi di topi. Per farla breve, e molto semplificando la storia fascinosa e complessa, un autentico giallo, era un testo fortunosamente scampato alla furia censoria della curia romana per cancellare l’opera di un ecclesiastico che, nel secolo dei lumi, nella sua opera, aveva denunziato, in modo molto dettagliato, abusi, vessazioni e venalità del potente Ministero della Dataria, competente in materia di grazie, dispense matrimoniali e concessioni di privilegi.
Sempre nel libro, Lei narra anche della vicenda giudiziaria, legata ai suoi libri, di cui è stato involontario protagonista: in che modo la sua biblioteca si è trovata al centro delle indagini?
Per agevolare il “Centro Europeo di Studi Normanni” – un sodalizio culturale con trent’anni di onorato impegno in campo storico, da me presieduto – nell’acquisto della qualifica di istituzione culturale di rilievo nazionale (al qual fine è necessario il requisito della disponibilità di una consistente biblioteca consultabile pubblicamente), ho consentito di potenziarne il fondo librario, inserendo sul sito del Centro la cospicua parte già catalogata del fondo moderno e seicentotrentasei volumi del fondo antico già catalogati della mia biblioteca, con l’impegno a rendere disponibile al pubblico, nella sede del Centro, la consultazione di tali libri, previa richiesta e su appuntamento (cosa che, in questi anni, è avvenuta più di una volta). Dalla visione del catalogo online del mio fondo antico gli investigatori hanno potuto rilevare la “compatibilità” di taluni miei libri con quelli trafugati in talune biblioteche pubbliche. Sono perciò venuti nella mia abitazione, con un mandato di perquisizione, notificandomi anche di aver assunto la qualifica di indagato per i delitti di ricettazione e riciclaggio (pena prevista fino a 12 anni). Hanno così sequestrato i libri “compatibili”, senza dover neppure far fatica a cercarli, perché dalle schede online risultava la precisa indicazione dei vani e degli scaffali in cui erano sistemati. Procedendo inoltre a esaminare minuziosamente, per undici ore, tutti gli libri del mio fondo antico, hanno poi rilevato che, nel frontespizio di taluni erano presenti note di possesso di antichi monasteri ecclesiastici soppressi e, ritenendoli perciò stesso patrimonio pubblico, hanno sequestrato anche questi libri. Per difendermi ho dovuto approntare una corposa memoria in cui ho non solo tentato faticosamente di ricostruire la provenienza dei miei libri “compatibili”, ma soprattutto – dopo molto studio – ho cercato di illustrare la storia delle soppressioni dei monasteri a partire dal 1799 e della dispersione dei relativi fondi librari. Subito dopo ho chiesto al pm di essere ascoltato e in quella sede ho presentato e illustrato la memoria. Sono passati oltre due anni e l’indagine preliminare non si è ancora chiusa, ma su di me continua a pesare minacciosamente la qualifica di indagato per i delitti di ricettazione e riciclaggio.
In una società sempre più tecnologica e iperconnessa, quale ruolo per le biblioteche?
“Fondare biblioteche è come costruire granai pubblici, ammassare riserve contro un inverno dello spirito che, da molti indizi vedo venire”. Queste parole Margherita Yourcenar nel suo Memorie di Adriano le mette in bocca all’imperatore romano. Esse dicono tutto, come meglio non si potrebbe, sulle biblioteche, sulla straordinaria loro funzione di conservazione e diffusione del patrimonio culturale dell’umanità, assicurata nei secoli. Oggi, pur mantenendo questa loro fondamentale funzione, oltre ad offrire la consultazione di libri e manoscritti e il prestito dei soli libri, le biblioteche vanno sempre più acquisendo anche quella di luogo d’incontri culturali, funzione anch’essa preziosa che nessuna connessione tecnologica da remoto può assicurare in modo adeguato.
I dati Istat evidenziano come oltre il 60% degli italiani non legga: quali le cause e quali le possibili soluzioni?
Domanda quanto mai complessa, perché le cause sono tante. In gran parte affondano le radici in un passato anche molto remoto. Tra le tante statistiche mi ha colpito questa: Il 9,1% delle famiglie non ha alcun libro in casa, mentre il 21.1 ha in casa almeno un cane e il 19.5 almeno un gatto.
Dati OCSE indicano che ben il 70% degli italiani non possiede un livello adeguato di competenze alfabetiche e questo spiega già sufficientemente il basso tasso di lettura degli italiani. Il discorso, molto complesso, andrebbe poi approfondito nelle altre cause e nei divari tra le diverse aree del Paese. È noto che i valori ricordati nella domanda e quelli appena accennati nella risposta, sono valori medi che poco dicono sulle reali differenze, per esempio tra Nord e Sud. E qui entriamo nel labirinto della questione meridionale e delle sue cause. Certo è che in qualche modo rischiamo di trovarci in una sorta di circolo vizioso: chi più ha, più continua ad avere. Porto un caso recente che spiega meglio la contraddizione che viviamo proprio in tema di lettura. La benemerita fondazione lombarda Cariplo ha lanciato un bando per finanziare progetti volti ad incrementare la lettura. Il bando ha fissando a dicembre scorso il temine per la presentazione dei progetti e ha posto come condizione che i progetti debbono riguardare l’area lombarda e quella delle regioni limitrofe. Questo è un buon intervento, peccato che accrescerà il divario tra il Nord e il Sud, perché quest’ultimo non ha Fondazioni bancarie capaci di interventi come quello ideato dalla Cariplo..
Quali provvedimenti andrebbero, a Suo avviso, adottati per favorire la diffusione dei libri e della lettura?
La lettura possiamo dire che è il terminale di una lunga catena. Intanto presuppone che chi vi si approcci sia alfabetizzato. Poi i modi di essere, l’oggetto verso cui si rivolge la lettura sono condizionati in modo diretto dal livello di alfabetizzazione del lettore. Tale livello è, a sua volta condizionato da fattori di contesto: familiari, sociali, geografici, che non sono definibili solo in ragione della condizione economica. E la catena può salire ancora. Se il Mezzogiorno ha bassi tassi di lettura è perché storicamente, per ragioni che qui sarebbe lungo anche solo enumerare, ha avuto un deficit nel campo del sapere. Ho ricordato più volte, come dato emblematico, che per secoli, mentre il Centro-Nord pullulava di Università, il Mezzogiorno continentale ne aveva avuta una sola e ha dovuto attendere gli anni Venti del secolo scorso per averne una seconda. I rimedi quindi dovrebbero andare alla radice del problema.
Non sempre, comunque, in tema di lettura, hanno rilievo le condizioni economiche. Vi sono infatti famiglie agiate in cui non si legge o si legge poco e vi sono famiglie disagiate in cui si legge di più. Giocano fattori imponderabili, come tradizioni che si radicano, perché la lettura è pratica che si apprende molto dall’esempio.
Positivi sono comunque tutti quegli interventi che, senza pretendere di incidere sulle cause remote, puntano direttamente a incentivare la lettura – terminale che ho definito di un lungo processo – con sostegni di vario tipo. Lodevole è comunque che il Parlamento, lo scorso anno, abbia approvato una legge per la promozione e il sostegno alla lettura, la cosiddetta Legge per il libro. Prevede uno stanziamento annuo di 4.350.000 euro a decorrere dal 2020. L’iniziativa in teoria va nella direzione giusta, specie se terrà conto della necessità di dare segnali per aiutare le aree svantaggiate. C’è solo da sperare che la buona idea, come spesso avviene, non si perda in labirinti applicativi.
Ortensio Zecchino, storico del diritto, ha insegnato nelle Università: C. Bo di Urbino, Suor Orsola Benincasa e “Federico II” di Napoli, Link Campus di Roma. Ha presieduto il Comitato scientifico dell’Enciclopedia Treccani Federico II. Già membro del Comitato scientifico dell’Enciclopedia Italiana Treccani. Suoi prevalenti interessi di studio: diritto medievale, rapporti stato-chiesa dal medioevo all’età contemporanea. Fondatore e Presidente del Centro Europeo di Studi Normanni e di Biogem (Istituto di Ricerche Genetiche). È stato parlamentare europeo, senatore (presidente delle Commissioni Cultura, Giustizia, Affari europei) e ministro dell’Università e Ricerca scientifica in tre Governi.