“Storie di libri e tecnologie. Dall’avvento della stampa al digitale” di Maria Gioia Tavoni

Prof.ssa Maria Gioia Tavoni, Lei è autrice del libro Storie di libri e tecnologie. Dall’avvento della stampa al digitale edito da Carocci: come si sono via via riverberate sul libro le trasformazioni tecniche che ne hanno segnato la storia?
Storie di libri e tecnologie. Dall’avvento della stampa al digitale, Maria Gioia TavoniConsiderato che anche il torchio manuale è una macchina, va rilevato che il libro subisce variazioni importanti già durante l’età dei manoscritti. Al passaggio dal volumen al codex, ovvero dal rotolo al libro manoscritto, come molto opportunamente Marco Cursi ha delineato nel suo La forma del libro, c’è già una grande invenzione. La lettura non si esercita più nello srotolare il volumen ma sfogliando il codex: un modo nuovo di leggere e di vedere. Tale lettura si è mantenuta uguale fino a oggi: anche gli e-book infatti, hanno la forma conquistata già dal codex e prevedono sia nella loro versione online, sia nei dispositivi di lettura, che si sfoglino le pagine anche virtualmente. Con la forma del codex si era inoltre già avuta un’altra grande innovazione: la scrittura opistografa ovvero su recto e verso della pagina. Ho cercato in tutto il volume di essere il più possibile chiara nella esposizione, prefiggendomi un parterre anche di giovani. Aiuta tuttavia a districarsi nel linguaggio specialistico il Glossario in calce al libro, curato da un vero esperto come Edoardo Fontana.

Quanto alla forma del libro essa può cambiare – il libro a stampa oltre a poter essere non solo molto piccolo o molto grande, può mostrarsi come un ventaglio, un cuore o assumere altre forme – ma continua ad essere composto di fascicoli che si sfogliano pagina per pagina.

L’intervento del torchio tipografico genera, come ho cercato di descrivere nel primo capitolo, un diverso assetto di natura anche socioeconomica. Vi è chi abbandona precedenti lavori, perfino docenti di rilievo e miniatori eccelsi, affascinati dalla nuova arte, per entrare nell’agone del libro a stampa che non sempre però produce un cespite di guadagno notevole. Altre sono le mutazioni che si rilevano durante i primordi dell’invenzione di poter scrivere con caratteri metallici.

In tutte le epoche da me attraversate, ho cercato di cogliere il rapporto che si è venuto instaurando o modificando fra l’aumento della lettura e le trasformazioni tecnologiche. Il lungo excursus, dall’avvento della stampa al digitale, come suona il sottotitolo del libro, mi ha portato a dire che c’è una intercambiabilità nei due corni del problema come nel commercio lo si coglie fra domanda e offerta.

Cosa ha significato per il libro l’avvento della stampa?
In gran parte credo di aver risposto già alla prima domanda. Aggiungo che un cambiamento notevolissimo si ebbe riguardo alle maestranze che intervennero per comporre un libro. All’amanuense, così come è dato vedere in molte iconografie, seduto a un tavolo con in mano una penna solitamente d’oca e fogli di pergamena, raramente di carta posti sul tavolo, o il miniatore, intento ad abbellire il codice, si sostituisce un’officina, o meglio, uno spazio con il torchio e almeno due operatori, il compositore e il torcoliere, che si apprestano a porre sotto il torchio la platina, ovvero la forma composta dall’insieme dei caratteri che costituivano la pagina da stampare. Ma nelle officine di stampa si potevano contare altre maestranze senza dimenticare che spesso gli autori si aggiravano per controllare il lavoro e che potevano esserci altri addetti, come i correttori, o i legatori, e che i torchi potevano essere più d’uno con ovvio aumento degli addetti alla stampa.

Si ha un’idea precisa di come si svolgeva il lavoro in una grande stamperia visitando anche solo online quella ad Anversa dei Plantin-Moretus, attivi fin dal XVI secolo grazie a Christophe Plantin che si unì col genero Jan Moretus, dando vita alla casa editrice che stampò quantitativamente di più di tutta l’Europa.

Parallelamente allo sviluppo delle tecniche di stampa si ha una crescita sia produttiva sia legata al profitto, grazie anche alle abilità conquistate in corso d’opera.

Quali vicende hanno accompagnato la nascita e lo sviluppo dell’editoria per l’infanzia?
Non mi sono occupata se non marginalmente di editoria per l’infanzia, settore di studio e ricerca, dove brillano gli interventi di Giorgio Chiosso. Mi sono affacciata a un altro aspetto, ovvero al ruolo sostenuto dall’infanzia nella tipografia di ancien régime typographique, espressione molto nota di Roger Chartier per indicare il lungo periodo della stampa manuale, perché finanche i bambini furono coinvolti come manodopera, dopo essere stati introdotti in un vero e proprio percorso di formazione professionale. La tipografia e tutto ciò che a essa si ricollega, dalla produzione della carta a mano, o meglio al tino, ai vari passaggi nella preparazione dell’impaginato per finire alla forma sotto il torchio, sono infatti cognizioni che nell’Ottocento venivano illustrate ai bambini già in prima età scolare.

Il capitolo sui bambini ha preteso uno scandaglio di molte fonti per giungere a risultati non completamente soddisfacenti per chi aveva in animo di sviscerare l’argomento. Le fonti da me rintracciate, che mi hanno concesso di mettere a fuoco l’argomento, sono infatti poche, fra le quali si stagliano netti i manuali scolastici per le classi inferiori e i sillabari che non solo in Italia, ma anche in Francia e forse in altri paesi in cui ancora non ho approfondito la ricerca, costituivano punti di riferimento importanti.

Molto utile mi è stato un saggio di Frédéric Barbier, fra i pochissimi ad aver affrontato il tema. Ho preso in considerazione anche gli interventi della Chiesa che, con don Bosco e altri personaggi illuminati del periodo, diede vita a scuole tipografiche per arginare la cattiva stampa e perché i giovani fossero istradati ad un mestiere dignitoso sotto tutti i punti di vista.

Come esplose il fenomeno dei giornali e quali conseguenze produsse?
Il bisogno di lasciar scritto ciò che avviene o può avvenire credo che sia connaturato all’homo sapiens. Più volte Mario Infelise ci ha ricordato il peso determinante che hanno avuto le Gazzette già nel Seicento e alcuni altri importanti autori hanno scandagliato il prima e il poi di certe pubblicazioni seriali, come, per l’Italia, Pierangelo Bellettini e Rudj Gorian. Nel Settecento, epoca fervida di notizie, il giornale aumenta la sua diffusione e in Italia si staglia netta la produzione veneziana, grazie anche a minor controlli censori nella Serenissima. Ai giornali letterari, a cui attesero pure donne, numerosi anche all’estero, si affiancano i fogli politici che con le guerre si impongono per la celerità con cui c’è bisogno di informazioni nei vari fronti. Con il dispiegarsi dei giornali si alimenta l’opinione pubblica che consente il proliferare delle testate fino a pervenire a un mutamento epocale nella produzione, soprattutto del «Times» inglese. Nel 1814, uscì il primo numero del «Times» stampato con una nuova macchina e fu adottato perfino un nuovo carattere tipografico, elementi che permisero tirature dapprima impensate. In ogni parte del mondo occidentale si ebbe una rincorsa per sviluppare macchine che garantissero una più snella procedura e consentissero grandi tirature, come avvenne negli States per le rotative Koenig & Bauer con incluse pure le piegatrici per quattro fogli alla volta.

Spero di essermi addentrata con sufficiente competenza nell’argomento molto vasto affrontato in un capitolo del libro, non dimenticando gli sviluppi più importanti dei giornali, che vanno dall’accogliere al loro interno la réclame, a produrre, inizialmente in Francia, poi in altri stati, il primo inserto letterario, il feuilleton, che tanto spazio occuperà nel rinnovamento delle testate. Il mio interesse si è spinto fino a osservare un segmento di ricerca che avrebbe molto bisogno di essere ulteriormente messo a fuoco, possibilmente da uno studioso delle capacità di Nicolangelo Scianna: mi riferisco al grande sviluppo dei macchinari per ottenere più carta senza svilirne le componenti estetiche e di durata, come invece avverrà in Italia all’epoca dell’autarchia, in quel fai-da-te che sconvolgerà gli assetti produttivi.

Quali nicchie di produzione libraria ha promosso l’industrializzazione?
Verso la metà degli anni trenta dell’Ottocento, la stampa aveva fatto grandi passi in avanti soprattutto in Inghilterra che in piena rivoluzione industriale, aveva macchine efficienti e produttive. Si ebbe così un grande impulso di produzione e un primo accenno di capitalismo che finì col fare del libro un prodotto editoriale non eccelso dal punto di vista estetico. È in questo contesto che si sviluppano le nicchie, cioè la produzione da parte di alcuni artisti-artigiani di oggetti di grande fascino. L’attenzione di queste nicchie si spostò sul particolare, sull’esclusivo e sul bello riprendendo i temi del passato di particolari prodotti librari. L’artista e scrittore inglese William Morris, promosse un decisivo rinnovamento delle arti decorative sostenendo Art & Crafts, un movimento diffuso soprattutto in Europa e volto a riportare attuali gli antichi mestieri e le maestranze così da poter essere proiettati nel futuro, come avamposti del passato. Mentre i paesi europei più sviluppati a livello industriale andavano verso la direzione del cosiddetto “macchinismo”, Art & Crafts andava nella direzione diametralmente opposta, tornando a privilegiare il lavoro manuale anziché quello delle macchine e a valorizzare l’unicità dei prodotti anziché la loro standardizzazione. Il movimento divenne espressione della borghesia emergente, facendo proliferare iniziative volte alla sua sensibilizzazione ed espansione. La crescita constante condusse Morris a spingersi anche nell’uso del torchio che consentì la produzione di raffinatissime espressioni librarie. Grazie all’influsso di Morris e delle diramazioni del movimento che si ebbero in Europa, l’Italia, in cui si era avuta a Bologna la manifattura eccelsa dell’Aemilia Ars soprattutto per i pizzi ma pure per le rilegature, nel secondo dopoguerra prende parte al rinnovamento grafico della produzione d’élite che fa convergere nella penisola importanti operatori del settore. Ha così inizio una raffinata produzione di editoria “di nicchia”, la quale costituirà e ancora costituisce un’eccellenza ricercata da tutto il mondo. Si rigenera tutto un settore di cui l’astro ancora emergente è l’editoria manuale della Alberto Tallone, unica nel suo genere al mondo. Nascono le private press che stampano manufatti unici di autentica bellezza e che costituiscono ancora oggi un valore dell’editoria per quanto riguarda la stampa manuale, che non si contrappone alla editoria normale, ma rappresenta il fiore all’occhiello del Made in Italy.

Quali novità ha introdotto nell’industria editoriale la tecnologia digitale?
La facilità con cui i processi digitali permettono la stampa anche di pochi esemplari offre interessanti aperture di mercato sia per il settore pubblico che per quello privato. Gli editori e le librerie, per esempio, hanno avviato soprattutto all’estero esperienze di re-print di libri esauriti o fuori catalogo senza prevederne costose ristampe ad alta tiratura, bensì offrendo la possibilità ai lettori di ordinare anche una sola copia di un volume; sull’altro versante, per ora tutto da sviluppare, mi prefiguro che anche le biblioteche pubbliche – complice una più favorevole legge sul diritto d’autore, almeno in Italia – potrebbero avvalersi di questi servizi per fornire ai propri utenti copia dei libri che possiedono, ma non sono disponibili per la circolazione oltre che per mettere in “sicurezza” libri di pregio o molto utilizzati, facendone qualche copia per la consultazione. Per ora questi due scenari non hanno avuto un’ampia diffusione, pur avendo un grande potenziale: sono pratiche difficili da assimilare alla prassi e probabilmente richiedono costi difficili da sostenere.

Il print on demand rappresenta un’opportunità?
Altra frontiera della digitalizzazione e dell’innovazione applicata alla stampa è l’on-demand che configura più come servizio di stampa on-line per l’autore che non voglia appoggiarsi a un editore ‘di carta’. Questa pratica, ancora in via di affermazione, rappresenta in qualche misura il punto di incontro tra le principali innovazioni del settore: la stampa veloce e a costi contenuti, e la digitalizzazione. Un esempio analogo ai libri è quello delle fotografie: decine di siti propongono di acquistare album confezionati dei propri scatti migliori a prezzi bassissimi e con consegna a domicilio… lo stesso viene offerto per coloro, soprattutto autori ‘amatoriali’, che desiderano vedere pubblicato ‘in carta e ossa’ il proprio romanzo, pagandolo di propria tasca e potendo disporre della decina di copie prodotte per farne dono. Il print on demand evoca anche una sensibilità all’ambiente, infatti, stampando su richiesta si evita di intasare gli scaffali con troppe copie che se non utilizzate o richieste risultano un ingombro e uno spreco evitabile. Certo queste edizioni, diciamo ‘private’, hanno poca circolazione, anzi spesso nulla, nei canali della grande distribuzione e non finiranno mai tra le collezioni di una biblioteca o negli scaffali di una libreria, ma a volte la soddisfazione di realizzare un sogno è più che soddisfacente!

Con una formula che definiremmo icastica, Lei nel testo si interroga sul libro: «àncora o ancora?». Quale futuro, a Suo avviso, per il libro cartaceo?
Mai come in questo periodo il libro cartaceo è percepito in crisi, ma più che per quello ora esistente, la questione riguarda il suo futuro e soprattutto le modalità di stampa, o meglio se la stampa del libro cartaceo sarà ancora il modo di far nascere un libro oppure si andrà in una direzione in cui non sarà più necessaria.

La risposta alla domanda, che mi viene posta, forse adesso, dopo aver terminato il libro e averlo visto stampato, si potrebbe abbozzare. Probabilmente il libro sarà in futuro un’àncora di salvezza se si riusciranno a imboccare possibili nuove strade, per alimentarne la vivacità e impedirne pertanto la scomparsa. Nel contesto globalizzato, informatico e veloce in cui viviamo oggi, potrebbe sembrare che non ci sia più posto per il libro tradizionale. La percezione e l’utilizzo del tempo sono cambiati e le informazioni che circolano sono talmente tante e tutte attraenti, compresa la loro fruibilità che è immediata e veloce (sebbene non possa considerarsi sempre esaustiva). Se il libro moderno corre rischi che ne sarà del libro antico?

Il culto del libro antico potrebbe scemare e il suo valore crollare e venire pertanto relegato al ruolo di reperto storico da conservare solamente in istituzioni bibliotecarie o nei musei, sotto vetro.

Va tuttavia rilevato che il libro è sopravvissuto a molti cambiamenti. Con le dovute proporzioni, il passaggio alla stampa può essere paragonato al passaggio dal libro cartaceo all’ebook. La carta, quindi, se consideriamo il potere del libro di resistere a grandi svolte, può essere interpretata anche come un’“àncora” che resiste e si reinventa anche in diversi manufatti, come è stato per il periodo affrontato nel capitolo delle nicchie. Un esempio, cui tengo in modo particolare e che mi piace menzionare, è l’incarnarsi del libro nella forma del libro d’artista, una forma che tra le varie componenti coinvolte esalta l’aspetto cartaceo nelle sue varietà più raffinate.
Il libro, inoltre, si presta “ancora” a essere fonte per innumerevoli altri studi, perché tale prodotto dell’ingegno e del fabbrile è stato troppo importante per essere accantonato e condannato a non avere futuro; il suo fascino, l’odore, la sua compattezza e utilità meritano la fortuna di cui ancora gode che diviene venerazione per le pagine che portano impresse gravures originali e testi anche brevi di ottima stampa e scelti fra la migliore produzione anche attuale.

Seguendo gli andamenti dell’editoria e della produzione libraria su carta, il libro sembra essere sempre meno presente sugli scaffali delle case e in forte apnea anche nelle librerie, da secoli luoghi della sociabilité. Basti pensare ai vari dispositivi di lettura che consentono di trasportare in borsa un’intera biblioteca ma anche di lavorare sul testo. Ciononostante si continua ancora a stampare su carta in parallelo con gli ebook, per un pubblico di lettori, come ci ha ricordato più di una volta Umberto Eco, affezionato al cartaceo perché ritenuto ancora indispensabile. La fisicità lascia un segno maggiore del suo passaggio, e per il libro tradizionale è probabilmente proprio il suo essere meno volatile a consentire memoria di sé. La testimonianza del passato ha con il libro cartaceo un peso e un luogo fisico, caratteristiche di cui non è dotato l’ebook. Mi piace pertanto pensare che la produzione di libri cartacei continui, accompagnata da innovazioni, da maggiore facilità di stampa, rivolta a una fruizione che sappia gareggiare con gli ebook. I libri, vorrei che fossero considerati almeno pari grado con gli ebook e non come l’uno successore dell’altro.

Maria Gioia Tavoni, già ordinaria di Bibliografia e di Storia del libro, ha studiato l’evolversi del libro e delle sue istituzioni prevalentemente nel Settecento, affrontando poi gli incunaboli, soprattutto per il loro paratesto. Da diversi anni ha spostato lo sguardo prevalentemente al libro d’artista coniugando la passione per l’oggetto libro con quella dell’arte contemporanea. Suoi lavori sono stati tradotti in francese e due dei suoi libri in spagnolo. Per coglierne gli interessi, è possibile consultare il sito mariagioiatavoni.it comprensivo della sua bibliografia.

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