“Storici per vocazione. Tra autobiografia e modelli letterari” a cura di Marino Zabbia

Prof. Marino Zabbia, Lei ha curato l’edizione del libro Storici per vocazione. Tra autobiografia e modelli letterari edito da Viella: qual è il panorama della cultura storiografica bassomedievale in Italia?
Storici per vocazione. Tra autobiografia e modelli letterari, Marino ZabbiaLa storiografia prodotta nell’Italia bassomedievale comprende testi molto diversi: dalle cronache cittadine, alle storie universali, alle biografie. Si tratta, quindi, di un panorama assai variegato, caratterizzato anche dalla grande quantità di opere prodotte (circa cinquecento cronache sono state composte in Italia dal XII al XV secolo). Di conseguenza è difficile rispondere in poche righe a questa domanda. Basterà dire che dal XII secolo le città dell’Italia centro-settentrionale diventano la principale sede della produzione storiografica e che a questa attività si applicano decine e decine di autori che scrivono di storia mentre fanno altri mestieri. Il medioevo non conosce lo storico professionista e nemmeno il professore di storia che insegna nelle scuole o nell’università.

Quale carattere diffuso presentano le opere della cultura storiografica italiana bassomedievale?
Come si diceva, gli esiti della storiografia medievale italiana sono assai differenziati – si va dalla voluminosa storia universale ai sintetici annali cittadini – ma alcune argomentazioni ricorrono con grande frequenza: si tratta soprattutto di quelle brevi note in cui lo scrittore rivendica la credibilità del proprio racconto. Le informazioni più sicure riguardano fatti a cui l’autore stesso ha assistito. Vengono poi quelle raccolte dalla voce dei testimoni e la cui credibilità è legata all’autorevolezza di chi le riporta. Infine, alle fonti orali sono equiparate le altre cronache che sono utilizzate per ricavare informazioni sul passato.

Chi si occupava della scrittura della storia nel medioevo?
Nel secolo XI e nei primi decenni del XII a scrivere storia nelle città italiane sono chierici, preti che di solito sono legati alla chiesa cattedrale. Dai decenni centrali del XII secolo a scrivere storia sono, invece, quasi solo i laici: prima i notai e dal Trecento anche mercanti. Ma dagli anni Settanta del Duecento cominciano a scrivere storia anche i frati domenicani e francescani, così questo singolare monopolio dei laici in un settore della cultura scritta – durato dalla metà del XII secolo alla metà del Duecento – si interrompe.

La grande tradizione della storiografia monastica che ha segnato l’alto medioevo, in Italia termina già nel XII secolo.

Cosa emerge dall’analisi di questi testi circa le motivazioni che inducevano gli autori a diventare storici?
Molto spesso, soprattutto nei prologhi delle cronache, gli autori medievali erano soliti ribadire la necessità di affidare alla scrittura i ricordi dei fatti presenti e passati per preservarli dall’oblio e a futura utilità dei posteri. Durante il Trecento però in alcuni casi i cronisti si sentirono in dovere giustificare quel loro impegno che era costato così tanta fatica pur non essendo un lavoro. Compaiono così nei testi passi in cui lo scrittore ha raccontato le circostanze in cui è nata la sua vocazione a storico.

Quanto, in queste riflessioni, ha pesato l’evoluzione della cronachistica cittadina nei secoli XII e XIII? E in che misura, invece, tali affermazioni dipendono dalla diffusione di modelli antichi o di opere recenti e di larga fortuna a forte contenuto autobiografico?
È proprio per rispondere a queste domande che abbiamo scritto i saggi raccolti in Storici per vocazione. Tra autobiografia e modelli letterari. Chi avrà la pazienza di leggerli potrà vedere come gli autori bassomedievali avessero alle spalle più di una tradizione da cui prendere ispirazione. Forse proprio per la sua caratteristica di esperienza occasionale, maturata lontano dal mondo di scuole e università, la storiografia sembra particolarmente propensa a fare proprie soluzioni elaborate in altri generi letterari compresa la poesia lirica, o in altre discipline che implichino il ricorso alla scrittura (per esempio il diritto o la teologia insegnate nelle università).

Come si evolve dopo il Trecento questo tema, allorché con la storiografia umanistica la scrittura della storia diventa opera dei più prestigiosi intellettuali italiani ed europei?
I cambiamenti che avvengono nella prassi della scrittura della storia dai primi anni del Quattrocento sono veramente di grandissima portata: una rivoluzione. L’elemento scatenante di questo mutamento è costituito dal profilo culturale degli autori di storie provenienti dai principali ambienti dell’Umanesimo e attivi nelle principali sedi di tutte le regioni italiane (dalla Napoli aragonese, alla curia pontificia, sino a Firenze, Venezia e Milano). Si tratta di un gruppo di autori assai colti che, oltre alle opere storiografiche, hanno scritto molti altri testi, che si spostano da una sede all’altra, si conoscono tra di loro e talvolta si detestano di tutto cuore. Costoro prendono il posto di scrittori dilettanti che a margine di altri impegni, sempre distanti dal lavoro intellettuale, avevano scritto le cronache dal XII secolo a tutto il Trecento. L’affermazione di una nuova figura di intellettuale colto e consapevole implica anche una nuova riflessione sulla scrittura della storia che mira a una sorta di professionalizzazione dell’attività storiografica. Ecco che solo a questo punto, nel Quattrocento, si compongono trattati dedicati a come si deve scrivere la storia.

Marino Zabbia insegna Storia medievale all’Università degli Studi di Torino. Tra le sue pubblicazioni: Scrivere storia nel medioevo. Regolamentazione delle forme e delle pratiche nei secoli XII-XV (a cura di, con F. Delle Donne, P. Garbini, Roma 2021).

ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER
Non perderti le novità!
Mi iscrivo
Niente spam, promesso! Potrai comunque cancellarti in qualsiasi momento.
close-link