“Storia economica e sociale dell’impero romano” di Michael Rostovtzeff

Storia economica e sociale dell'impero romano, Michael RostovtzeffStoria economica e sociale dell’impero romano
di Michael Ivanovitch Rostovtzeff

«La Storia economica e sociale dell’Impero romano di Michele Rostovtzeff apparve per la prima volta in inglese in un unico volume pubblicato dalla Oxford University Press nel 1926. Opera a un tempo di ampia sintesi e di grande erudizione aveva pochi precedenti. Innovativo era soprattutto l’uso assai esteso delle fonti archeologiche, oltre che papirologiche ed epigrafiche, che avevano riscontro in un ricco corredo iconografico. Il ricorso tanto ampio all’archeologia da parte di Rostovtzeff dipendeva essenzialmente da un’inclinazione personale. Essa era maturata nel contatto diretto con le vestigia del mondo classico, reso possibile da una lunga stagione di viaggi in tutti i principali siti del Mediterraneo oltre che dalla visita ai grandi musei d’Europa. Il Rostovtzeff grande viaggiatore è indissociabile dallo storico del mondo antico.

Nella ricostruzione rostovtzeffiana colpirono subito altri aspetti che suscitarono reazioni discordanti. In primo luogo era evidente che lo storico russo era fortemente influenzato dalla storia contemporanea, soprattutto quella del suo paese di origine, la Russia, e che faceva ricorso con disinvoltura a concetti come «borghesia», «capitalismo», «proletariato» e così via. Essi presupponevano un’idea fondamentalmente modernizzante dell’economia antica che era ed è tutt’altro che pacifica. Ma a colpire era soprattutto la sua interpretazione della fine del mondo, attribuita a una fatale coalizione realizzatasi tra i contadini poveri e i soldati nel III secolo contro la civiltà urbana. Fu facile per i critici vedere in questa tesi la trasposizione della situazione che aveva portato in Russia, nel 1917, alla rivoluzione sovietica.

Non c’è dubbio che Rostovteff fosse emotivamente coinvolto dalla fragilità della borghesia del suo paese che non era stata in grado di resistere alla rivolta delle masse «bramose di livellamento generale». Il celebre interrogativo con cui si chiude la Storia («È possibile estendere una civiltà elevata alle classi inferiori senza degradare il contenuto di essa e diluirne la qualità fino all’evanescenza? Non è ogni civiltà destinata a decadere non appena comincia a penetrar nelle masse?»), tuttavia, riflette preoccupazioni che, dopo la tragedia del primo conflitto mondiale, erano generalmente diffuse nella cultura occidentale: Spengler e Ortega y Gasset, per fare solo i nomi più famosi, si erano posti, in quei medesimi anni, analoghi interrogativi.

Per capire la forza permanente del quadro ricostruttivo proposto nella Storia si deve tener presente una caratteristica di fondo dello studioso Rostovtzeff, quella di ispirarsi ad idee-guida forti attorno alle quali organizzare il discorso. Essa è già ben riconoscibile nella sua prima monografia sull’appalto di Stato nell’Impero romano, apparsa nel 1901 in tedesco. Già nell’introduzione si enunciava l’audace obiettivo di ricercare le relazioni intercorrenti tra l’Oriente ellenistico e l’Occidente romano, sia quando esistevano monarchie ellenistiche indipendenti, sia quando si affermò l’Impero mondiale di Roma. La tesi è che gli imperatori romani non crearono nulla ex novo ma, se mai, attinsero a piene mani a quanto avevano trovato nell’organizzazione statale ellenistica adattandolo alle nuove necessità.

Per gli istituti imperiali Rostovtzeff invita dunque a guardare all’Egitto: così è per la tassa di successione, la vigesima hereditatum, così è per l’organizzazione del suo modo di riscossione e per la concessione delle proprietà del princeps a grandi appaltatori, i conductores.

Qui vediamo già un Rostovtzeff attento a questioni specifiche di storia agraria, che dà spazio alle innovazioni conosciute dal sistema di conduzione con le peculiari trasformazioni che avevano interessato il grande e il piccolo affitto. […] La sua tesi è che il colonato, inteso come legame del piccolo fittavolo alla terra, si era sviluppato in forma consuetudinaria sulle grandi proprietà africane ricevendo solo in un secondo tempo un riconoscimento legale. Il nocciolo del colonato, tuttavia, va visto nell’amministrazione delle proprietà fondiarie in Oriente, da cui sarebbe stato trapiantato in Occidente, con poche modifiche, dagli imperatori romani.

Per il vincolo economico e amministrativo dei contadini alla terra l’Oriente offriva dunque dei termini di riferimento assai precisi. La soluzione del problema del colonato tardoantico è dunque posta da Rostovtzeff nell’ottica che gli è peculiare e, cioè, nei termini di un’evoluzione all’interno di strutture fondamentalmente immutate. Così, a suo parere, quando gli imperatori romani fecero ricorso al vincolo dei contadini alla terra, tornò in vita il colonato che, in realtà, non era mai morto.

Uno dei grandi temi su cui Rostovtzeff riflette sin dai suoi primi scritti riguarda il ruolo dello Stato nell’economia. Per uno studio di questo genere per il mondo antico nessun paese si prestava meglio dell’Egitto, in ragione e della sua situazione naturale e di una base documentaria particolarmente ricca grazie ai papiri. […] Rostovtzeff sostiene che, poiché il paese era condizionato dalla necessità obiettiva di organizzare l’agricoltura in rapporto alle inondazioni periodiche del Nilo, la risposta inevitabile non poteva che essere la centralizzazione e la nazionalizzazione di tutta la produzione agricola e industriale. […]

Rostovtzeff risponde anche alle sollecitazioni propostegli dalle vicende contemporanee. Nel dicembre del 1935, nella veste di presidente dell’«American Historical Association», legge un intervento dedicato allo sviluppo economico nel mondo ellenistico. Rostovtzeff ritorna sui temi da lui già trattati in precedenza del dirigismo e della pianificazione economica dei Tolemei. Ribadisce la propria ammirazione per un’età nella quale si realizzò l’unità economica del mondo civilizzato e in cui si sviluppò una borghesia greco-orientale mentre il commercio diveniva vieppiù libero e ecumenico.

In questa circostanza, nel sottolineare come un’altra novità dell’età ellenistica sia il suo carattere capitalistico, Rostovtzeff si preoccupa di precisare che cosa lui intenda quando parla di «capitalismo» per il mondo antico. La sua è chiaramente una concezione assai modernizzante: a suo modo di vedere il capitalismo antico si fondava sulla libertà dell’attività economica individuale diretta verso la libera accumulazione del capitale. Essa inoltre presupponeva un’agricoltura e un’industria organizzate razionalmente e finalizzate non al soddisfacimento dei bisogni dei produttori e di un mercato locale ristretto, ma a quelli di un mercato indefinito tendendo a una produzione di massa di beni specializzati. Rostovtzeff ha chiaramente ben presente la novità rappresentata, per l’economia americana dal New Deal roosveltiano. Ad esso non a caso accosta la pianificazione economica introdotta dai Tolemei – di per sé non considerata in contraddizione con lo sviluppo capitalistico – degenerata in aperto sfruttamento della popolazione da parte di una torma di avidi funzionari e di appaltatori delle imposte. […]

La Storia fu accolta da un generale favore ma non mancarono sin dall’inizio le voci critiche, soprattutto a Oxford. Ben presto, comunque, fu chiaro che si aveva a che fare con un’opera destinata a segnare un’epoca, un classico che avrebbe influenzato in modo permanente la storia degli studi.»

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