
Il mio libro si muove proprio all’interno di quest’ultimo paradigma storiografico: da una parte cerco di individuare criticamente le informazioni storiche sottostanti le narrazioni bibliche, dall’altra non trascuro il fatto che tali narrazioni sono l’espressione della memoria culturale del popolo ebraico nella quale le tradizioni provenienti dal passato si sono cristallizzate in racconti che intendono fondare il presente dell’autore.
Quale importanza riveste, per la redazione di una storia d’Israele e Giuda, la documentazione extrabiblica?
Fin dagli studi di Leopold von Ranke (1795-1886), che introdusse la distinzione tra fonti storiche primarie e fonti storiche secondarie, si è riconosciuta la necessità di integrare le fonti letterarie con la documentazione archeologica ed epigrafica coeva al periodo storico trattato. Riguardo alla storia d’Israele e Giuda, però, ci si è trovati davanti a grandi difficoltà nell’analizzare e utilizzare le fonti storiche primarie poiché la Bibbia, cioè la maggiore fonte storica letteraria in nostro possesso, ha da sempre costituito la trama storica degli eventi entro la quale venivano collocate tutte le altre fonti. Non solo, ma l’indagine archeologica stessa è stata per molto tempo una specie di sotto disciplina degli studi biblici, come dimostra la peculiare, ma scorretta, designazione in voga fino al secolo scorso di “archeologia biblica” a indicare quella che oggi è meglio definita come “Archeologia siro-palestinese”.
Alla luce di questa gerarchia delle fonti, nel mio libro ho cercato di valorizzare la documentazione extrabiblica senza utilizzarla solo per confermare o smentire il dettato biblico. In altre parole, ho cercato di offrire una visione storica innanzi tutto coerente con i dati delle fonti primarie, utilizzando le fonti bibliche soprattutto per cercare di integrare gli eventuali vuoti documentali e per tentare di ottenere una maggiore comprensione delle cause e dei processi storici accennati dal quadro ottenuto con le fonti primarie.
Proprio per la grande importanza che le fonti extrabibliche rivestono nella ricostruzione della storia d’Israele nell’antichità, ho voluto che nel mio libro ogni capitolo fosse corredato da alcuni box dedicati alle fonti storiche extrabibliche. In questi fuori testo ho tradotto e commentato una piccola selezione delle più rilevanti fonti epigrafiche o papiracee, quali ad esempio la stele di Tel Dan, oppure uno dei papiri di Zenone. Inoltre, il volume è arricchito di un inserto a colori con le foto di alcuni reperti archeologici significativi per la storia d’Israele e Giuda.
In quali punti le recenti indagini hanno mostrato l’inconsistenza storica di alcune narrazioni bibliche?
A partire dagli anni Settanta del secolo scorso, le risultanze archeologiche, lette senza appiattirle sul dettato biblico, hanno dimostrato che molti degli eventi della storia d’Israele e Giuda non sono avvenuti secondo quanto narrato nei racconti biblici: le vicende di Abramo e dei Patriarchi sono fittizie; il popolo d’Israele non è rimasto schiavo in Egitto, né ha vagato nel deserto per quarant’anni, né ha conquistato militarmente la Terra Santa; i magnifici regni di Davide e Salomone sono evidenti amplificazioni celebrative. Anche riguardo alle epoche più recenti della storia di Giuda è possibile rilevare l’inconsistenza storica di alcuni racconti biblici: mi riferisco, per esempio, alle “riforme” religiose di Ezechia e di Giosia, o all’editto di Ciro e la conseguente descrizione del grande “ritorno” del popolo dall’esilio babilonese.
Mi sia permesso però di aggiungere che questa “inconsistenza storica” delle narrazioni bibliche non è un problema che concerne tanto la Bibbia in sé; piuttosto riguarda una lettura ingenua e acritica delle narrazioni bibliche che ignora la differenza tra l’ambientazione di quanto narrato e il tempo del narratore. Come già si diceva, gli storici contemporanei non hanno smesso di attribuire valore storico alle narrazioni della Bibbia, ma sono consapevoli che non sono state scritte per descrivere fatti storici, ma rappresentano la cristallizzazione della memoria culturale del popolo ebraico e che, molto spesso, sono state redatte diversi secoli dopo la collocazione storica della narrazione. Di conseguenza, la storiografia contemporanea cerca di comprendere tali narrazioni nel contesto religioso e culturale di chi le ha prodotte, piuttosto che limitarsi a verificare l’eventuale storicità degli eventi esposti.
Quando nascono le due entità politiche di Israele e Giuda?
I regni di Israele e Giuda nascono all’inizio del I millennio a.C., alla fine di un periodo storico di transizione (ca. XII-XI a.C.) non molto chiaro a causa dell’insufficienza di fonti epigrafiche coeve.
Durante il Tardo Bronzo (ca. 1550-1180), la regione meridionale del Levante era suddivisa in regni cittadini di piccole dimensioni sottomessi al dominio dell’Egitto. Tale organizzazione politica è ampiamente documentata non solo dalle lettere che tutti questi sovrani – tra cui anche il re di Gerusalemme – inviavano al faraone, ma anche dal testo dell’accordo di pace tra il faraone Ramses II e il sovrano ittita Hattusili III (1258) che attribuiva il territorio di Canaan all’Egitto. Questi regni cananei avevano ampli complessi urbani ed erano organizzati attorno ai palazzi dei sovrani, dove una schiera di funzionari reali gestiva le principali attività economiche, commerciali, culturali, religiose e belliche.
Alla fine del Tardo Bronzo, tale organizzazione politica collassò repentinamente in tutta la regione. Le fonti storiche coeve a nostra disposizione svaniscono quasi del tutto e solo attorno all’inizio del X secolo ricompaiono, documentando però un quadro di entità politiche diverso dal precedente: il regno d’Israele e quello di Giuda sono ora inseriti in un nuovo sistema di piccoli regni dai forti caratteri tribali ed etnici, autonomi dall’Egitto. Come si sia giunti a questa nuova situazione all’inizio del I millennio a.C. è un quesito su cui archeologi e storici discutono da molti decenni, ma appare sempre più probabile che il sorgere di Israele e Giuda sia il risultato di uno sviluppo interno, senza dipendere da una robusta immigrazione di elementi allogeni.
Come si sviluppò la storia dei due regni sino al dominio babilonese?
Come si diceva, nel X sec. a.C. sorsero i due regni di Israele e Giuda. Gli inizi dei due regni non sono ben documentati, a parte il nome del fondatore secondo, Davide. I rispettivi territori si consolidarono durante la prima metà del IX secolo. Il regno di Israele, con l’avvento della dinastia di Omri, vide un notevole ampliamento territoriale e uno sviluppo economico del regno, come dimostrano alcune iscrizioni e soprattutto le testimonianze archeologiche della sua capitale Samaria. Il regno di Giuda, pur consolidandosi, in questo periodo sembra rimanere all’ombra di quello di Israele e della sua maggiore grandezza. Dopo un momento di crisi ad opera dell’espansione di Damasco, la prima metà dell’VIII secolo è caratterizzata per Israele e Giuda da prosperità, autonomia e crescita economica.
L’ascesa di Tiglat-pileser III sul trono assiro (744 a.C.) cambierà repentinamente il quadro politico di tutto il Levante: nel giro di alcuni decenni gli Assiri completarono la sottomissione di quasi tutti i regni della Siria-Palestina. Samaria fu conquistata e il territorio di Israele divenne una provincia assira; Giuda, pur mantenendo lo status di regno, venne assoggettato al dominio degli Assiri. La fine del regno d’Israele non significò la fine della vita nella provincia, poiché la capitale Samaria e varie altre città regno furono trasformate in centri amministrativi assiri e si videro pertanto oggetto di una rapida ricostruzione. Il regno di Giuda rimase sotto il dominio assiro per circa un secolo; durante questo periodo Giuda visse un consistente sviluppo demografico – soprattutto a Gerusalemme – e riuscì a estendere il proprio territorio verso meridione.
Poco dopo la metà del VII secolo, il regno assiro iniziò a indebolirsi per motivi interni e presto venne conquistato dai Babilonesi e dai Medi. La fine del dominio assiro non apportò grandi benefici a Giuda perché prima l’Egitto e poi la Babilonia, con Nabucodonosor II, ripresero il controllo del Levante. Il tentennamento degli ultimi sovrani di Giuda nell’accettare il dominio babilonese portò alla tragica distruzione di Gerusalemme e all’esilio in Babilonia di parte della popolazione.
Cosa significò, per il popolo ebraico, la diaspora in Babilonia?
Le vicende e la realtà della diaspora in Babilonia sono pressoché sconosciute nella Bibbia. Questo dato è sorprendente perché, dalle fonti documentarie, sappiamo che, dopo l’esilio, molte famiglie giudaite si insediarono nella Mesopotamia meridionale e diedero vita a molteplici attività agricole e commerciali raggiungendo un accettabile benessere.
Invece, gli eventi della distruzione della città e del tempio di Gerusalemme occupano un posto centrale nei testi biblici: tali avvenimenti vengono letti come l’esecuzione della punizione divina verso l’infedeltà del popolo. In questo modo l’esilio è interpretato quasi come un’interruzione della storia del popolo simile a un “riposo sabbatico”. Solo con il famoso “editto di Ciro”, la cui autenticità è molto discussa, Giuda avrebbe ottenuto la possibilità di rinascere. Questa visione è chiaramente una rilettura fortemente teologizzata degli eventi storici che le attuali risultanze epigrafiche e archeologiche fanno apparire molto diversi. Per questo motivo nel mio libro ho dedicato un capitolo intero alle vicende dell’epoca babilonese, cercando di comprendere da una parte come continuò la vita in Giuda, e dall’altra parte come si sviluppò la vita in esilio, tenendo in giusta considerazione la recente documentazione epigrafica babilonese proveniente da al-Yahudu e Bit-našar.
Quali vicende segnarono la storia della Giudea durante l’età ellenistica?
La conquista dell’Oriente operata da Alessandro III di Macedonia, conosciuto come Magno, si arrestò per l’improvvisa morte del re nel 323. Il suo vasto regno divenne subito teatro di lotte dinastiche. La Giudea, assieme alla Samaria, fu una parte di quel territorio levantino a lungo conteso tra i Tolomei (sovrani d’Egitto) e i Seleucidi (sovrani di Siria e Mesopotamia). Durante il III secolo la Giudea rimase soggetta all’autorità tolemaica, mentre all’inizio del II secolo a.C., la Giudea passò sotto il controllo dei Seleucidi fino alla conquista romana.
La conquista di Alessandro e il dominio della dinastia tolemaica segnarono profondamente la storia del popolo ebraico. Negli anni successivi alla fondazione della città di Alessandria d’Egitto, molti coloni giudei scesero per abitarvi, e rimasero lì vivendo come soldati e come agricoltori. Nel giro di pochi decenni, ad Alessandria si formò una comunità ebraica numerosa che sviluppò la propria tradizione religiosa in stretto contatto con la brillante cultura ellenistica. La comunità ebraica di Alessandria produsse una notevole letteratura (in lingua greca) e sviluppò alcune consuetudini che, con il tempo, divennero fondamentali per il giudaismo, quali per esempio la sinagoga. I contatti tra la Giudea e la comunità ebraica di Alessandria furono sicuramente stretti durante gli anni di dominio dei Tolomei, mentre il passaggio della Giudea sotto il dominio seleucide pose automaticamente la comunità di Alessandria in territorio avverso. Durante questo periodo, la Giudea, pur sottomessa ai sovrani ellenistici, probabilmente fu amministrata come entità politica autonoma, e poté sviluppare uno stile di vita improntato alle proprie leggi religiose.
Le sconfitte, che intorno alla metà del II secolo, i Seleucidi iniziarono a subire da parte dei Romani produssero due effetti a prima vista contrapposti, ma collegati: da una parte inasprirono i rapporti tra sovrani ellenistici e alcuni gruppi religiosi ebraici che giunsero fino a un’aperta ribellione, dall’altra parte diedero la possibilità ad alcuni abili capi militari – i Maccabei – di ottenere riconoscimenti politici da parte dei sovrani ellenistici in cambio dei loro servizi militari. Dopo vari decenni, tali capi militari giudei riuscirono a concentrare nella propria persona il potere militare, politico e religioso ponendo così le basi di quella che presto diverrà una vera e propria dinastia di sovrani giudaici, quella degli Asmonei. Dall’altra parte, però, questo ingenerò numerose contese all’interno del giudaismo stesso, a causa dell’esistenza di gruppi religiosi che non accettavano il modo di vita ellenistico dei sommi sacerdoti asmonei.
Quale assetto impose sulla Palestina il dominio romano?
Preso il regno di Siria, nel 63 a.C. Pompeo assediò e conquistò Gerusalemme: la Giudea vide ridimensionato il suo status politico (Pompeo tolse a Ircano II il titolo di “re”, nominandolo “etnarca”), il suo territorio fu ridotto (furono affrancate le città ellenistiche della costa e della Transgiordania) e agli abitanti fu imposto un tributo. La monarchia asmonea assomigliò a una ierocrazia, dove i capi del popolo giudaico sommavano nella propria persona i titoli di etnarca e sommo sacerdote.
Questo assetto politico non durò molto, perché le guerre civili romane che caratterizzano la fine dell’epoca repubblicana e la necessità di avere alleati fedeli, diedero a Erode, detto il Grande, l’opportunità di ottenere il potere da Roma e di acquisire il titolo di “re di Giudea”. I dissidi dinastici alla morte di Erode, uniti ai disordini che sempre più frequentemente scoppiavano tra i gruppi religiosi ebraici indussero Roma a rifiutare il titolo di re ai discendenti di Erode. Il regno di Erode fu diviso in quattro parti e la Giudea, dopo l’esilio dell’etnarca Archelao (6 d.C.), divenne una provincia romana, governata da un prefetto romano subordinato al governatore di Siria. Tale assetto amministrativo durò fino al 41 d.C., quando l’imperatore Claudio – in riconoscenza dell’aiuto ricevuto – decise di concedere la Giudea ad Agrippa I. Ma già nel 44. d.C., alla morte di Agrippa, la Giudea tornò sotto il controllo diretto dei legati romani.
La conflittualità tra alcuni gruppi giudaici e l’amministrazione romana ingenerarono nel corso del tempo diversi disordini che portarono all’aperta rivolta contro Roma. Data l’ampiezza della rivolta Roma decise di intervenire e, dopo alcuni ritardi dovuti alle vicende dell’ascesa al trono di Vespasiano, l’esercito di Tito conquistò violentemente Gerusalemme e incendiò il tempio. Negli anni successivi anche le ultime sacche di resistenza vennero domate. Nemmeno un secondo tentativo di insurrezione (132-135 d.C.) avvenuto durante l’impero di Adriano ebbe successo e nessuno riuscì a modificare la decisione dell’imperatore di trasformare Gerusalemme in una colonia romana di nome Aelia Capitolina, dopo aver cacciato gli ebrei dalla città e aver assegnato lotti di terra come premio ai propri veterani.
Paolo Merlo, dottore di ricerca in Teologia e in Vicino Oriente antico, è docente di Antico Testamento presso la Pontificia Università Lateranense e invitato presso il Pontificio Istituto Biblico di Roma. Ha pubblicato alcuni libri e diversi articoli in riviste scientifiche nazionali e internazionali. Tra le sue opere ricordiamo: L’Antico Testamento. Introduzione storico-letteraria (Carocci, 2008); La religione dell’antico Israele (Carocci, 2009); Il Senso della Storia. Introduzione ai Libri storici dell’Antico Testamento (San Paolo, 2014); Re. Introduzione, traduzione e commento (San Paolo, 2020).