
di Mario Sconcerti
Baldini + Castoldi
«Le idee del calcio moderno si mettono improvvisamente in moto a metà degli anni Venti, quando accade qualcosa di straordinario. Non si segna più. Crollano i gol nel campionato inglese, l’unico ormai strutturato, quello che fa da riferimento per tutti. La flessione ha qualcosa di eccezionale, si è scesi da seimila a quattromila gol nelle prime tre divisioni. La gente è scontenta, non si diverte, comincia a lasciare gli stadi. Il calcio è diventato un gioco complesso, privo di sorprese. Le partite hanno sempre lo stesso svolgimento, l’Inghilterra non è il mondo, ma è la sua avanguardia. Quello che succede in Inghilterra, cinque anni dopo diventa il calcio di tutti. Problemi compresi.
I migliori tecnici, i dirigenti, i giocatori più affermati si mettono alla ricerca dei perché della crisi. Se ne parla per un autunno e un inverno, si fanno congressi, tavole rotonde, ma tutto continua come sempre. Non viene fuori niente di chiaro. Si danno le colpe al gioco duro, alla qualità scarsa degli attaccanti, senza però trovare una soluzione. E i gol continuano a diminuire.
Finché, all’inizio del 1925, tocca al tecnico del Newcastle dimostrare un arcano che era sotto gli occhi di tutti. Il problema è il fuorigioco. La regola non si adatta più al metodo di gioco. La regola dice che un attaccante è in posizione regolare se ha davanti almeno tre avversari, in pratica due difensori e il portiere. Essendo due i difensori davanti a tutti i portieri, il tecnico del Newcastle ha imparato a mandarne uno davanti a ogni attacco avversario. Il risultato è che gli avversari vanno automaticamente in fuorigioco. Gli uomini da superare restano infatti solo un difensore e il portiere, quindi il gioco si ferma.
Dopo qualche mese la convenienza è diventata evidente anche alle altre squadre. A quel punto lo sviluppo naturale del gioco si è perso in una serie infinita di interruzioni. Gli arbitri arrivano a fermare anche trenta-quaranta azioni a partita per fuorigioco. Il gioco si svuota, diventa fatto di piccoli pezzi. Quasi sempre prevedibile. […]
Siamo al punto zero. Bisogna uscirne. Adesso vorrebbero tutti giocare facendo fuorigioco, ma è chiaro che non è una buona scelta. Con queste regole, tirare in porta è diventata un’impresa. Il gol una scommessa. Insistere significa spingere una parte importante di pubblico a uscire dagli stadi e a non tornarci più. Serve una novità. Così, dopo una cinquantina di anni di sonno dogmatico, le idee si rimettono impetuosamente in movimento.
Negli anni Venti il calcio è già una cosa estremamente seria. Si pratica ormai da più di sessant’anni e gli stadi si riempiono regolarmente di migliaia e migliaia di tifosi. La prima finale di Coppa d’Inghilterra, nel 1871, fu seguita da duemila spettatori. Diciassette anni dopo erano diciassettemila; nel 1893 quarantatremila e all’alba del nuovo secolo, nel 1901, addirittura centomila. Un progresso continuo, vertiginoso. Quello che non è mai cambiato è il modo di giocare. Tutti all’inizio del novecento giocano lo stesso modulo. Si chiama Piramide di Cambridge, è un 2-3-5 ingegnoso, inventato probabilmente dalla squadra di studenti del college intorno al 1880. È un’evoluzione molto interessante del passing game, cioè di un modo di giocare che finalmente comincia a prevedere i passaggi, non soltanto i dribbling. Iniziarono a praticarlo gli scozzesi intorno al 1860. Di sicuro la Piramide di Cambridge si affermò con il Blackburn Rovers che, con questo schema, negli anni Novanta vinse cinque Coppe d’Inghilterra consecutive. Il successo del Blackburn costrinse tutti gli altri a inseguire e la Piramide divenne in poche stagioni il calcio più praticato in tutto il mondo.
Ma andiamo con ordine, riprendiamo il racconto dalle origini, intorno al 1840. Erano tempi in cui, nello sport, soltanto agli inglesi era permesso pensare. Non avevano inventato niente: il calcio, la boxe, la corsa, la lotta erano sempre esistiti. Gli inglesi hanno però trovato le regole, hanno organizzato in modo industriale lo sport moderno. Il calcio fu portato ovunque dai loro marinai. C’erano palloni in ogni stiva. Via via che gli inglesi facevano affari nel mondo, via via che le loro navi partivano e i commerci si espandevano, il calcio si espandeva con loro. Sono del 1874 le prime partite ufficiali sulle spiagge di Botafogo, in Brasile. Le giocano marinai, inglesi residenti a Rio e giovani del posto, preferibilmente bianchi. Dieci anni più tardi la stessa cosa accade a Lisbona e Marsiglia. Il calcio segue il mare. Infatti in Italia nasce a Genova, naturalmente da cittadini inglesi.»