“Storia della Turchia contemporanea” di Antonello Folco Biagini

Prof. Antonello Folco Biagini, Lei è autore del libro Storia della Turchia contemporanea, pubblicato da Bompiani: cosa rimane oggi in Turchia dell’eredità di Mustafa Kemal?
Storia della Turchia contemporanea Antonello Folco BiaginiNella forma è rimasto molto. Gli articoli fondamentali della costituzione, che richiamano al fondatore e ai suoi principi, non sono stati né eliminati né modificati. Le banconote continuano a portare l’effigie del padre della patria. Nella sostanza certamente è rimasto di meno, perché c’è stata una crescente occupazione dello stato da parte di settori della società che hanno nell’islam, e non nei principi del kemalismo, la loro ispirazione. I valori tradizionalisti-religiosi hanno inoltre molta maggiore visibilità che in passato. È notizia recente – ma non sorprendente – l’emarginazione nei programmi scolastici della spiegazione darwiniana, evolutiva, delle forme di vita sul nostro pianeta.

Come si inserisce la Turchia nello scacchiere geopolitico mediorientale attuale?
Fino circa al 2011 la Turchia ha cercato di risolvere i suoi problemi con i vicini per potere essere percepita come una forza positiva e rassicurante e in tal modo poter essere libera di giocare un ruolo importante come potenza regionale. Questo progetto è sostanzialmente fallito. Per esempio, il tentativo di normalizzazione delle relazioni con l’Armenia si è insabbiato. Poi, per i prossimi decenni, come sempre in questi casi, ognuno avrà la sua tesi su chi è stato maggiormente responsabile di questo fallimento. Nel frattempo, è iniziata la stagione delle “primavere arabe”. Allora Erdoğan ha puntato a farsene padrino, fino a diventare il più intransigente nemico di Mabarak in Egitto e di Assad in Siria. Ha inoltre accentuato il suo legame con la monarchia saudita e con gli emirati del Golfo Persico. Anche in questa nuova politica, però, Erdoğan ha patito cocenti delusioni: i militari sono tornati al potere in Egitto, rovesciando e processando al-Morsi, e Assad è rimasto in sella in Siria. Insensibilmente, da sponsor di un rinnovamento democratico del mondo arabo, Erdoğan è diventato uno degli attori principali della guerra civile trasversale tra sunniti e non sunniti che in questo momento è in atto in Medio Oriente. Oggi si può dire che la Turchia di Erdoğan stia di nuovo giocando in difesa. In Siria ormai la sua unica preoccupazione è che i curdi non acquistino troppo potere e il controllo stabile ed esclusivo di un preciso territorio.

La Turchia contemporanea sembra aver definitivamente rinunciato al cammino di integrazione europea.
Se pensiamo che il processo di integrazione si è incagliato quando ancora la Turchia appariva un modello positivo di progresso democratico, di spirito dialogante sul piano internazionale e di decollo economico, è chiaro che adesso come adesso a questa integrazione non crede più nessuno. Non è solo la Turchia ad avere rinunciato, sono anche i leader dei paesi più importanti dell’Unione Europea (in particolare, a suo tempo, Sarkozy) che in buona sostanza hanno detto no. In tutta questa vicenda, ormai pluridecennale e abbastanza indecorosa, l’Italia ha sempre tenuto un contegno dignitoso, basato sul principio “né sconti né pregiudizi”; ed è interessante che questa posizione sia rimasta sostanzialmente inalterata pur con il variare dei governi. Oggi dobbiamo constatare che non solo Turchia ed Unione Europea si sono allontanate, ma che non si è risulta neanche la questione dei visti d’ingresso ai cittadini turchi, la cui abolizione doveva essere uno dei corrispettivi per la permanenza in Turchia dei profughi siriani.

Fin dove si spingerà a Suo avviso il processo di recupero dell’identità islamica avviato da Erdoğan?
Questo è difficile dirlo. È certamente probabile che questo processo non sia ancora arrivato al suo apice. Erdoğan sembra avere sposato completamente una linea oltranzista. Va anche precisato, infatti, che non esiste un’unica identità islamica. Il feroce scontro tra Erdoğan e Gülen ha dimostrato che all’interno del mondo islamico turco ci sono aspre divisioni. Ci sono lotte di potere, certamente, ma anche profondi contrasti di visione, per esempio riguardo alla modernità occidentale. Islamizzare la modernità occidentale o combatterla in blocco? Tutto il mondo islamico, in estrema sintesi, da almeno cento anni si dibatte in questo dilemma.

Quali sono le origini della Turchia moderna?
La Turchia repubblicana è uno degli stati successori e il più diretto erede dell’Impero Ottomano. Nasce come esito delle tempeste che si sono succedute tra il 1908: la rivoluzione dei giovani turchi, la guerra libica, le guerre balcaniche, la prima guerra mondiale, l’occupazione alleata, la più ampia occupazione greca, la conseguente guerra turco-greca, massacri, scambi di popolazione… Nel corso di queste drammatiche vicende la formazione di uno stato nazionale turco, modellato sull’esempio degli stati nazionali occidentali, emerge come unica possibile soluzione. È il vittorioso generale Mustafa Kemal che prende con la massima intransigenza questa strada e plasma questo stato nazionale secondo i suoi ideali, ispirati a quelli del positivismo europeo. La rivoluzione dall’alto da lui attuata suscita all’estero (a parte gli islamisti) l’ammirazione generale, ma produce una notevole frattura tra lo stato e ampi settori della società. È un dato di fatto che, da quando in Turchia ci sono libere elezioni, ossia dal 1950, l’elettorato ha quasi sempre premiato partiti che in qualche modo si discostavano dall’ortodossia kemalista.

Quali vicende hanno caratterizzato la storia della Turchia dal termine della Seconda Guerra Mondiale sino alla caduta del Muro di Berlino?
Fattore determinante della storia della Turchia dopo la Seconda Guerra Mondiale è stato il minaccioso atteggiamento che Stalin assunse fin dagli ultimi mesi della guerra. Ankara cercò allora affannosamente la protezione di Washington e la ottenne con la dichiarazione di Truman del 12 marzo 1947. È interessante notare che questa famosa dichiarazione si riferiva esplicitamente a due paesi, la Grecia e la Turchia. Per quasi due decenni questi due paesi procedettero di pari passo, il che vuol dire anche che per quei due decenni, e anche oltre, il fatto che la Turchia fosse un paese islamico non costituì un problema per l’Europa e per l’Occidente. Ambedue i paesi furono tra i primi membri del Consiglio d’Europa, ambedue i paesi cercarono di essere cofirmatari del Patto Atlantico, ambedue dovettero sottostare al veto dei paesi dell’Europa settentrionale, ambedue furono ammessi successivamente, nel 1951, ambedue nel 1959 fecero domanda di ingresso nella Comunità Economica Europea, ambedue ottennero nel 1963 un interlocutorio trattato di associazione. È dopo che le strade si sono divaricate. In tutto ciò, la Turchia è stata per decenni l’avamposto orientale dell’Alleanza Atlantica e il perno tra essa e altri paesi dal regime anticomunista del mondo islamico. L’aggancio al “mondo libero” comportò anche la fine del regime monopartitico e l’inizio di vicende interne molto turbolente, che qui non è possibile riassumere, ma che si possono sintetizzare con il concetto di “democrazia tutelata”: tutelata, e a volte interrotta, dalle forze armate, custodi sia del kemalismo sia della fedeltà alla NATO.

Quale futuro, a Suo avviso, per la Turchia?
In una situazione così fluida, fare previsioni è molto azzardato. Ovviamente sarei molto felice se ci fosse un ritorno alla normalità democratica, o perlomeno, se non proprio alla normalità democratica secondo gli standard occidentali, alla situazione di 5-6 anni fa, situazione che conduceva a un bilancio positivo. Ma devo dire che non nutro molte speranze in tal senso, in un’ottica di breve-medio termine. Certamente Erdoğan cercherà di eternare il proprio potere, perché non ha alternative. Il fatto è che si è precluso quasi qualunque possibilità di recupero di forze e personalità esterne alla sua cerchia. Ha creato un clima per cui o si è con lui al 100% o si è contro di lui. È indicativo come abbia liquidato su due piedi Davutoğlu, che era stato per un buon decennio il più prestigioso dei suoi collaboratori. Un crinale decisivo sarà l’anniversario, ormai vicino, del fallito tentativo di colpo di stato del 15 luglio dell’anno scorso. Lì si vedrà se il presidente della repubblica vorrà ribadire aspramente l’idea che chi è contro di lui è contro la Turchia o se vorrà avviare un processo di rilegittimazione degli oppositori.

Antonello Folco Biagini, professore emerito di Storia dell’Europa orientale e Storia dei Trattati e Politica internazionale, è Rettore dell’Università degli Studi di Roma Unitelma Sapienza

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