“Storia della psicologia e della mente” di Renato Foschi

Prof. Renato Foschi, Lei è autore del libro Storia della psicologia e della mente edito da Mondadori Università: quali impostazioni epistemologiche e storiografiche caratterizzano la storia della psicologia?
Storia della psicologia e della mente, Renato FoschiLa storia della psicologia è un ambito disciplinare che conta oramai centinaia di studiosi in tutto il mondo. Nel 1965 fu stampato il Journal of the History of the Behavioral Sciences, la prima rivista accademica che se ne occupava sistematicamente. A metà degli anni Sessanta la psicologia negli Stati Uniti era divenuta oramai una disciplina matura con delle forti implicazioni applicative e direi anche politiche. Durante la guerra fredda, negli USA si stava promuovendo, più o meno esplicitamente, la costruzione di un uomo nuovo che non fosse legato né alla cultura conservatrice tipica del maccartismo, né ad una concezione materialista e psicofisiologica prossima invece all’ideologia sovietica. In USA erano maturi i tempi per l’affermazione di nuove soggettività, si apriva la stagione dei nuovi diritti, le lotte per l’emancipazione degli afroamericani entrarono in una nuova fase, i cognitivisti erano assai attivi in questo movimento che aveva forti interessi nel promuovere uno svecchiamento della società, cercando di rifondarla con maggiore attenzione proprio ai bisogni psicologici.

L’interesse per una “nuova” psicologia era così una novità perfettamente in linea con il contesto della rivoluzione culturale degli anni Sessanta. Fino a quel momento la storia della psicologia si limitava ad essere una narrazione all’interno dei manuali che serviva per lo più a legittimare la classificazione della psicologia fra le altre discipline. Con la fondazione del JHBS e poi nel 1968 di CHEIRON: The International Society for the History of the Behavioral and Social Sciences cambiò lo scenario, gli storici della psicologia iniziarono a professionalizzarsi, smisero i panni degli psicologi che narravano le proprie storie disciplinari e divennero degli esperti con una formazione storica specifica e multidisciplinare; si occupavano di biologia, antropologia, scienze sociali, pedagogia, criminologia, linguistica, scienze politiche, sociologia, connettendo, soprattutto in USA, la storia della psicologia con queste altre discipline. La produzione del sapere era strettamente considerata come interconnessa alle dinamiche culturali e sociali. In Italia questo processo è stato più lento. Sebbene già dagli anni Settanta e Ottanta erano stati fatti tentativi di storicizzare soprattutto la psicologia italiana, nel nostro paese si viveva una generale difficoltà a riservare, in ambito accademico, uno spazio sia per la psicologia sia per la storia della psicologia. In Italia era facile trovare dei testi autoreferenziali, scritti eliminando pezzi della storia della psicologia; quelli non in linea con l’impostazione dello “storico”. Soprattutto dagli anni Novanta del Novecento lo scenario è tuttavia mutato e, anche se con molte difficoltà, è emersa una tradizione italiana di storici della psicologia, per lo più con una formazione multidisciplinare, che via via dialoga con i colleghi stranieri secondo categorie storiografiche aggiornate.

Come si giunse alle differenti nascite della psicologia in Germania, Francia e Inghilterra?
Parafrasando una nota intervista di Foucault del 1965 la psicologia contemporanea si è presentata come una sorta di modernizzazione dello studio della coscienza. Un’alternativa “scientifica” alla filosofia. A mio parere però fu la suscettibilità a essere applicata che favorì il radicamento della psicologia nelle varie nazioni europee. Intorno al 1870 in Europa si ebbe una svolta fondamentale per la storia contemporanea. Si pensò che l’ancien régime fosse finalmente superato. Si crearono i nuovi grandi stati nazionali per lo più fondati su nuove carte costituzionali, di matrice liberale e con una propria burocrazia statale. Iniziarono profonde riforme della previdenza sociale, della sanità, del sistema giudiziario, della scuola. Servivano nuove discipline e tecnici in grado di fornire un’expertise ai politici per affrontare le riforme. Il contesto scolastico fu uno dei primi settori in cui operarono gli psicologi.

Le storie della psicologia tendono poi a diffondere la vulgata che essa nacque come scienza sperimentale per merito del lavoro a Lipsia di Wilhelm Wundt. La psicologia sperimentale venne intesa come filiazione della fisiologia tedesca e della cosiddetta “filosofia positiva”. Una sorta di partita di giro accademica. Come al solito il quadro è invece assai più complesso e interessante. L’intero contesto in cui operava anche Wundt era oramai maturo ad accogliere questi nuovi tecnici-scienziati che promettevano di affiancare i governi nella riforma delle istituzioni e ciò portò alla elaborazione di metodologie caratteristiche in Germania, Francia e Inghilterra. La psicologia “scientifica” nasceva dunque sulla scorta di una multimetodologia: quella derivata dai laboratori di fisiologia in Germania, quella neurologico-clinica di orientamento neolamarckiano in Francia e infine quella evoluzionista e psicometrica inglese.

Quale percorso ha segnato il radicamento delle maggiori tradizioni di ricerca?
Dalle esperienze pionieristiche della seconda metà dell’Ottocento sono filiate delle scuole in qualche caso fondate da giganti del pensiero del Novecento come la psicoanalisi di Freud in cui addirittura l’inconscio sostituì per importanza la coscienza. Da allora il desiderio, il sogno e la sessualità furono legittimate a entrare nel discorso scientifico, filosofico o politico del Novecento. Occorre poi ricordare i contributi di Janet sul piano psicologico clinico, di Binet su quello testologico, oppure della stessa Montessori che si era formata nel medesimo milieu tardopositivista, fortemente influenzato dall’antropologia e dalla psicologia. Un ruolo fondamentale nella nascita della psicologia contemporanea lo hanno poi svolto il pragmatismo e la fenomenologia. Quest’ultima ha costituito un contesto davvero speciale da cui hanno preso il via esperienze d’avanguardia come la Gestalt, oltre a correnti cliniche sia europee che americane.

A lezione mi accorgo poi che le matricole sono del tutto digiune di conoscenze fondamentali che magari avrebbe dovuto fornire la scuola superiore, come quelle riguardanti il pragmatismo americano. Per certi versi la psicologia scientifica contemporanea ha direttamente risentito della concezione epistemologica pragmatista. Approfondire il pragmatismo serve anche per capire come funzioni la nostra società e la produzione del sapere scientifico.

Secondo me, occorre studiare e conoscere la storia della psicologia per comprendere l’enorme cambiamento antropologico avvenuto negli ultimi cinquant’anni. Adriano Ossicini aveva ottimisticamente intitolato la sua autobiografia che copriva gran parte del Novecento: la “rivoluzione” della psicologia. Non so se si tratti di vera rivoluzione, sicuramente però studiare la storia della psicologia significa calarsi pienamente nella storia della contemporaneità. Il mio libro è un testo che serve ai lettori per iniziare un viaggio verso l’approfondimento di tematiche che servono proprio per capire i termini e i limiti di questa “rivoluzione”.

Quali modelli indigeni si svilupparono con l’affermarsi della psicologia in Russia e negli Stati Uniti?
Ho utilizzato il termine indigeno per mettere l’accento soprattutto sulla crescita di modelli psicologici tipici di un contesto culturale. Il pavlovismo e la scuola storico culturale dal lato russo-sovietico e il comportamentismo e il cognitivismo dal lato americano rappresentarono le principali forme di indigenizzazione. Le metodologie europee trovarono quindi un loro sviluppo in queste altre due nazioni che le ibridarono creando dei modelli specifici attraverso cui egemonizzarono, di ritorno, anche gli altri paesi. Fino alla caduta del muro di Berlino il modello sovietico era seguito da moltissimi psicologi che erano spesso organici ai partiti comunisti occidentali. Dunque, siamo di fronte ad una storia complessa in cui anche la guerra fredda ebbe un ruolo; certi modi di fare psicologia erano criticati da alcuni e celebrati da altri, come nel caso del pavlovismo o della psicoanalisi. C’era poi il comportamentismo americano che ha profondamente condizionato il Novecento e ancora oggi si nasconde nelle pieghe della ricerca e delle applicazioni. In molti casi non si ha contezza che persino scelte politiche dall’apparenza innocua e utile, come quello della “patente a punti”, hanno un’implicita derivazione teorica dal comportamentismo.

Quale evoluzione caratterizza la psicologia contemporanea?
Credo sia difficile fare delle previsioni. Mi pare che le neuroscienze abbiano rappresentato l’ultimo tentativo di fornire alla psicologia un fondamento biologico. Sembra anche che le neuroscienze stiano oggi attraversando una fase critica. Esse si mostravano utili per comprendere i correlati neurologici dei fenomeni mentali e relazionali che la psicologia tradizionalmente evidenziava, senza ricorrere necessariamente alle “neuro”. Quando la ricerca ha dimostrato che molte concezioni riduzioniste di ambito neurologico non tenevano alla prova di fatti del tipo che a identici processi psicologici possano corrispondere differenti meccanismi neurologici, per giunta in persone diverse, l’utopia di costringere tutta l’attività psichica nei suoi fondamenti biologici ha perso slancio. Così si sono aperti più fronti epistemologici. A mio parere soprattutto il recente orientamento socio-cognitivista ha rappresentato una sorta di distillato delle migliori tradizioni di ricerca psicologica del Novecento e portato alla formulazione di idee chiave come il “potere della situazione” che sfidano le concezioni classiche relative alla responsabilità individuale delle condotte umane. Per finire oggi per fare psicologia sembra utile un approccio transdisciplinare che metta in comunicazione e integri modelli del mentale e approcci differenti. Superare gli steccati disciplinari, ibridare e connettere sembra la sfida del futuro. La storia della psicologia serve soprattutto per attingere dalla tradizione e proiettarci in avanti.

Quali tappe principali hanno segnato la storia della psicologia nel nostro Paese?
La psicologia in Italia ha avuto momenti di sviluppo simili a quelli avvenuti negli altri paesi europei. Da noi, tuttavia, alcune tappe sono state raggiunte più tardi e con maggiore difficoltà. Così come in Francia anche in Italia, i “tardopositivisti” hanno fondato una psicologia autonoma con i caratteri di una disciplina universitaria. Il periodo d’oro della psicologia nel nostro Paese è stato sicuramente l’inizio del Novecento quando sono state fondate le prime riviste scientifiche specifiche e sono state assegnate le prime tre cattedre università di psicologia sperimentale. Poi sono state fondate le associazioni professionali e accademiche. Nel 1905 a Roma ci fu un Congresso internazionale di psicologia promosso dalle varie società nazionali confederate, evento che dal 1889, anno del centenario della Rivoluzione Francese, si ripete ogni 4 anni e che però non è più stato ospitato da allora in Italia. Un momento di regressione c’è stato sicuramente dopo la prima guerra mondiale corrispondente all’ascesa del nazionalismo e poi soprattutto con l’avvento del fascismo che ha condizionato anche i canoni della psicologia. In questo periodo si è prodotta per lo più una psicotecnica che aveva pochi legami con il movimento psicologico internazionale e con i grandi modelli teorici. Tra la prima e la seconda guerra mondiale è emersa la figura di Padre Agostino Gemelli che ha poi influenzato gran parte dello sviluppo della psicologia del secondo dopoguerra. Un primo spiraglio per la fondazione di una psicologia italiana che fosse più a contatto con la società in cambiamento si ebbe ad Ivrea grazie a Cesare Musatti che collaborò con Adriano Olivetti alla progettazione di una organizzazione aziendale sensibile ai bisogni psicologici. Un passaggio fondamentale c’è stato poi con il “68”. Il movimento giovanile che voleva riappropriarsi della soggettività, combattere la repressione e svecchiare la società fornì molte intelligenze che contribuirono alla fondazione e all’avvio dei primi corsi di laurea in psicologia. Gli anni della contestazione furono anche pieni di contraddizioni. La generazione dei “giovani” da un canto contestava la psicologia accademica fino a chiederne la dissoluzione, dall’altro progettava un nuovo futuro per la psicologia. Se pure in ritardo rispetto ad altri paesi europei, negli anni Settanta il movimento psicologico italiano ha avuto una vera e propria esplosione. Ci fu soprattutto una diffusione popolare della psicoterapia e la fondazione di decine di indirizzi o scuole psicoterapeutiche che, più o meno fedelmente, facevano riferimento a modelli psicoterapeutici internazionali. Nel nostro paese ha avuto poi una grande importanza la riforma psichiatrica che ha favorito un rinnovamento delle istituzioni dedicate alla cura della salute mentale.

Queste sono state in breve le tappe fondamentali della storia della psicologia italiana e per ognuna di esse occorrerebbe guardare in filigrana le conseguenze di certe posizioni contrapposte ad altre, sempre in riferimento alla psicologia. Occuparsi di salute mentale o anche solamente far ricerca nel campo delle scienze della mente nel nostro paese ha polarizzato le posizioni. Le critiche sono state numerose, talvolta ideologiche. Ancora oggi si avverte la necessità di approfondire questa storia per comprenderne l’attualità e pianificare il futuro.

Renato Foschi, psicologo e storico della scienza, è professore di Storia delle scienze psicologiche presso la Sapienza Università di Roma. Tra le sue pubblicazioni: La psicologia italiana e il Novecento (con Giovanni Pietro Lombardo, 1997); Maria Montessori (2012); Percorsi di storia della psicologia italiana (con Guido Cimino, 2015); Storia critica della psicoterapia (con Marco Innamorati, 2020).

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