“Storia della cucina. Architettura e pratiche sociali” di Anna Giannetti

Storia della cucina. Architettura e pratiche sociali, Anna GiannettiProf.ssa Anna Giannetti, Lei è autrice del libro Storia della cucina. Architettura e pratiche sociali edito da Jouvence: quale importanza ha acquisito la cucina nella nostra società?
Le potrei rispondere semplicemente dicendo che è diventata il cuore delle nostre case nel momento in cui vi sono stati riammessi prima i membri della famiglia, poi gli ospiti, che erano stati scacciati in malo modo in nome di una razionale distribuzione degli spazi domestici, ma non sarebbe sufficiente perché è a partire dagli anni ‘80 del secolo scorso che gli uomini hanno ricominciato a cucinare trasformando il luogo della cura quotidiana e dell’oculata gestione, per definizione femminili, in uno spazio creativo, anzi in uno dei pochi rimasti, nei quali capacità tecniche, fantasia e curiosità si possono esprimere liberamente. Chef invece di bricoleur, ma anche cuoche invece di casalinghe disperate, con immediata soddisfazione, riscoprendo anche memorie e tradizioni perché la cucina è da sempre il regno della nostalgia.

Come si è tradotto questo processo dal punto di vista architettonico?
Per quanto possa sembrare sorprendente una tale rivoluzione non ha visto protagonisti gli architetti, ma fisici, chimici, cuochi, inventori, medici, industriali che hanno contribuito alla trasformazione degli ambienti, che integravano lo spazio dove si cuoceva, in oggetti più o meno maneggevoli. La cucina a gas o elettrica ha preso il posto dei grandi camini, ha eliminato il carbone da stivare e da smaltire, il fumo grasso e nero che si insinuava ovunque. Il frigorifero ha fatto fuori le cantine, la lavatrice la lavanderia, l’industria alimentare ha reso decorative le madie che servivano per impastare e soprattutto cancellato l’ambiente dove si lavavano le verdure e le tracce dei “rancorosi ammazzamenti”, come li chiamava Marcel Proust, degli animali da cortile. Rimozione necessaria e fondante del moderno rapporto con il cibo.

Quali processi hanno portato al ribaltamento nella gerarchia degli spazi e dei ruoli domestici?
Per poter entrare in un appartamento da condominio e adeguarsi al modello che ha preso forma sul finire dell’Ottocento la cucina si è dovuta trasformare da insieme di luoghi di produzione in più modesto spazio per la trasformazione. Solo il recentissimo arrivo del blocco di cottura al centro della stanza ha segnato la fine del suo tradizionale isolamento. Niente più casalinghe messe a cucinare faccia al muro, ma cuochi e cuoche che vanno in scena guardando a viso aperto il pubblico di familiari e di amici.

Si deve tenere ben presente che è stata per secoli un luogo essenzialmente maschile anche perché tutte le attività richiedevano forza e resistenza fisica. In una grande cucina nobiliare si doveva continuare a lavorare nonostante il calore di un paio di quintali di carbone che bruciavano contemporaneamente, in un ambiente dalle porte ben chiuse per non far raffreddare le pietanze, altro che le televisive cucine da incubo, ma anche nella più semplice cucina familiare l’unità di misura era la forza delle donne di casa.

Invenzioni e nuovi saperi scientifici le hanno permesso di rientrare tra gli spazi vivibili e ridotto la fatica, in cambio di un minimo di istruzione, necessità che ha giovato non poco all’emancipazione femminile. Le nuove macchine avevano bisogno che almeno si fosse in grado di leggere le istruzioni per l’uso.

Quando e in che modo la cucina ha ritrovato la sua centralità?
Dipende da cosa intendiamo. Se ci riferiamo alle attività che vi si svolgevano, allora possiamo dire che dalla seconda metà dell’Ottocento hanno attirato l’attenzione, quasi ossessiva, di medici, igienisti e scienziati. Fino a che i governi di mezzo mondo non hanno varato piani di educazione domestica dai quali è nata l’esperta casalinga moderna, ormai scomparsa.

Se, invece, parliamo della sua efficienza, allora è a partire dal primo dopoguerra che è diventata “il” problema. Solo una cucina ben organizzata sembrava potesse salvare le economie in crisi, con una fondamentale differenza: in Europa significava far lavorare meglio, ossia di più, le madri di famiglia, poveri animal laborans della Arendt; negli Stati Uniti trasformarle in consumatrici di prodotti e servizi, rilanciando il mercato interno.

In fondo, la cucina è così importante anche perché era l’ambiente domestico più arcaico ed è diventata quello tecnologicamente più avanzato. Le sue attrezzature si sono trasformate in simbolo di status sociale a cominciare dalla lavastoviglie di fine Ottocento, spesso inventata dal padrone di casa, in grado anche di prodursi da solo l’energia elettrica necessaria a farla funzionare.

Anna Giannetti vive e lavora a Napoli, dove è nata nel 1954. Professore ordinario, insegna Storia dell’Architettura Contemporanea presso il Dipartimento di Architettura e Design dell’Università Luigi Vanvitelli. Ha tenuto corsi e seminari a Parigi, Bruxelles, Gand e Madrid. È stata tra i primi ad occuparsi di storia del paesaggio napoletano –Il giardino napoletano dal Quattrocento al Settecento (1994) – e continua a farlo ricostruendone le geografie leggendarie e la trama dei giardini nobiliari. Tra le pubblicazioni più recenti Urban Design and Public Spaces in Naples, M.B. Hall, T. Willette, ed.s, New York, 2017.

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