
di Giulia Galeotti
il Mulino
«Anche se il problema dell’aborto è una costante che ha sempre accompagnato la storia delle società umane, è cambiato il modo di affrontarlo: è possibile quindi tracciare una storia dell’aborto. Essa si snoda lungo un percorso in cui mutano non solo nozioni e tecniche mediche, ma anche soggetti, interessi, connotazioni etiche e regolamentazioni giuridiche. Molte delle convinzioni che oggi appaiono scontate costituiscono infatti il frutto di un difficile travaglio maturato nei secoli: ruolo della donna, modi di considerare feto e gravidanza, interventi esterni, interessi politici e parametri di valutazione sono cambiati dall’antichità ad oggi, assumendo funzioni e significati diversi.
La cesura principale che identifica un prima e un dopo si verifica nel Settecento: anticipata dalle scoperte scientifiche e dalle conoscenze mediche seicentesche, si manifesta in pieno nel secolo dei Lumi, suggellata dalle nuove istanze emerse con la Rivoluzione francese e dall’affermarsi deciso degli Stati nazionali. Tutto ciò ha avuto ripercussioni non solo sulla pratica dell’aborto, ma anche sulla percezione dei soggetti e delle istanze coinvolti.
Nella prima fase (l’arco temporale che va dalla remota antichità al Settecento, passando per l’antica Grecia, la civiltà romana, il Medioevo e l’età moderna) v’è un elemento di continuità: l’aborto è una questione di donne. La donna è la sola a poter accertare l’esistenza di quella gravidanza percepita come un misterioso cambiamento; dall’esterno è solo visibile una momentanea trasformazione del suo organismo, senza che occhi o strumenti terzi possano accertarla. Il sentire comune non vede nel feto un’entità autonoma, ma lo percepisce come parte del corpo materno. Del resto, il panorama è tutto femminile, con le donne indiscusse attrici sulla scena di parto e aborto. Questo stato di cose permane fino al Settecento, seppur in un panorama non monolitico. Con l’ebraismo prima e il cristianesimo poi, comincia infatti a delinearsi sin dall’età tardo-antica un’opposizione strutturata all’aborto, inteso come pratica che interrompe l’opera creatrice di Dio o sopprime una vita umana. Le indicazioni religiose però, pur conferendo al feto un rilievo proprio, nuovo rispetto ad altre tradizioni, non mutano i termini della questione: gestazione, parto e interruzione della gravidanza rimangono questioni di donne, il loro ambito lo spazio privato femminile. Anche l’ordinamento civile dal canto suo, pur disciplinando in qualche modo l’aborto, non interviene con una propria visione, limitandosi a ricalcare le disposizioni ecclesiastiche filtrate attraverso la percezione sociale.
Le cose invece cambiano radicalmente con la Rivoluzione francese, quando l’aborto viene ad assumere una valenza pubblica. All’origine di questa novità d’impostazione sono le conoscenze scientifiche sviluppatesi nel Seicento, che avevano reso possibile la visualizzazione concreta del feto, ora pienamente inteso nella sua individualità. Ciò comporta una nuova definizione di gravidanza, configurata nei termini ancora attuali della relazione tra due entità distinte – la gestante e il nascituro. Le ripercussioni saranno notevoli in termini di percezione comune, visione civile e implicazioni etiche. La Chiesa infatti non resta impermeabile ai progressi della scienza, ma modifica le sue posizioni alla luce delle nuove scoperte.
Se la gravidanza si configura come relazione, l’eventualità di un aborto vede il conflitto tra due esigenze antitetiche: vale più la vita della madre o quella del feto? Sono gli Stati nazionali usciti dalla Rivoluzione francese a dare la prima risposta netta: si tutela il nascituro in quanto entità politicamente rilevante. Il tasso di natalità diventa importante per la forza dello Stato che ha bisogno di cittadini-soldati e di cittadini-lavoratori. Questa impostazione permarrà per quasi due secoli: solo negli anni Settanta del Novecento verrà data una nuova soluzione al conflitto, quando le legislazioni terranno in maggior conto le istanze dell’altro soggetto della relazione, tutelando diritti e scelte della donna, pur con limiti e tempi diversi da paese a paese.
La ricostruzione della storia dell’aborto qui tracciata si sviluppa nella piena consapevolezza che si tratta di una vicenda in continua evoluzione. Infatti, non solo è impossibile stabilirne un inizio (l’aborto è una realtà da sempre esistente), ma come in tutte le grandi questioni che chiamano in causa la vita e la morte è difficile scriverne la parola fine. Come accade in altri ambiti, la storia dell’aborto non è una storia sempre al positivo giacché non necessariamente ciò che si presenta come occasione di progresso finisce per essere realmente tale (e così il contrario). Valga, su tutti i numerosi esempi possibili, una considerazione molto attuale: se in molti contesti gli strumenti diagnostici vengono considerati «un regalo della scienza e della tecnologia al genere umano», in altri (la Cina è il caso più clamoroso) essi finiscono per essere una maledizione per il femminile: utilizzata l’ecografia per conoscere il sesso del nascituro, se il feto è femmina più spesso segue l’aborto.»