“Storia del videogioco. Dagli anni Cinquanta a oggi” di Marco Accordi Rickards

Prof. Marco Accordi Rickards, Lei è autore del libro Storia del videogioco. Dagli anni Cinquanta a oggi edito da Carocci: a quando risalgono le origini del videogioco?
Storia del videogioco. Dagli anni Cinquanta a oggi, Marco Accordi RickardsLa nuova edizione della mia Storia del videogioco, alla quale ho dedicato molto tempo ed energia (dopo sei ristampe, l’ho in gran parte riscritta e integrata di moltissimi nuovi elementi), ha evidenziato ai miei occhi con ancor più forza ciò che già avevo riscontrato sin dall’inizio: per quanto quello che chiamiamo “videogioco” sia un medium giovane, è estremamente difficile raccontarne la storia in modo sintetico e con un approccio realmente divulgativo in senso generalista.

Chiarisco il mio pensiero. Rispetto ad altre forme espressive dalla storia ultramillenaria o quantomeno ultracentenaria, le opere interattive (questo il termine corretto per riferirsi al videogioco dando conto del suo ormai incontestabile valore artistico culturale) nascono tutto sommato “ieri”. Possiamo individuare il primo vero proto-videogame nell’esperimento Tennis for Two, sviluppato dal fisico statunitense William Higinbotham nel 1958, un rudimentale simulatore di tennis con visuale laterale che usava lo schermo di un oscilloscopio e nel quale, oltre al net, al terreno di gioco e alla palla (un puntino), non c’erano giocatori o racchette, né si poteva fare punto o vincere: ci si limitava a palleggiare, apprezzando la riproduzione fisica dei rimbalzi, certamente impressionante, per l’epoca. Se invece cerchiamo il primo vero e proprio videogioco, in possesso di tutte le caratteristiche che possono qualificarlo come tale, allora ci spostiamo negli anni Sessanta, restando in USA: si tratta di Spacewar!, geniale creazione datata 1962 di Steve Russell e altri nerd ante litteram del celeberrimo M.I.T., un duello stellare tra due navicelle guidate da altrettanti giocatori. Nonostante ciò, l’industria del videogioco sarebbe nata solo nel decennio successivo, con l’americana Atari e il suo Pong, travolgente simulatore di tennis da tavolo. A seguire i vari Space Invaders, Pac-Man e Donkey Kong.

Ecco, tornando alla difficoltà espositiva alla quale mi riferivo, il problema nasce dal fatto che, una volta nato, il videogioco si è trasformato con una velocità non paragonabile a quella degli altri media, e questo per la sua natura così intrinsecamente ancorata alla tecnologia: un’opera interattiva, infatti, è costituita da codice informatico e necessita di un computer per poter essere fruita; ciò significa beneficiare di opportunità espressive in costante e rapidissima evoluzione, che ci portano a raccontare una storia sorprendentemente densa di avvenimenti, rivoluzioni e apparenti contraddizioni, dove si intrecciano le trasformazioni del medium, i cambiamenti degli scenari industriali (che lo influenzano) e, appunto, la costante e vertiginosa evoluzione tecnologica di questo settore, sempre più centrale nella nostra società.

Quali trasformazioni ha subito nella sua storia il videogioco?
Moltissime, sotto tutti i punti di vista. Esteticamente, si è passati da rappresentazioni necessariamente minimalistiche (pensiamo a schermate monocromatiche fatte solo di puntini e qualche segmento) al fotorealismo più estremo, che a tratti sembra rendere le opere interattive indistinguibili da un film. Ma questa è in realtà solo la punta dell’iceberg, perché il videogioco è cambiato infinite volte e in maniera ancor più radicale sotto il punto di vista delle sue meccaniche di interazione, ciò che di norma chiamiamo “gameplay”. Le esperienze per giocatore singolo (pensiamo ad esempio a quelle fortemente narrative) hanno ad esempio beneficiato dell’evoluzione dell’intelligenza artificiale, mentre il multiplayer, cooperativo e competitivo che sia, è passato dal doversi limitare alla condivisione di uno schermo alle infinite possibilità dell’online, che oggi hanno permesso la nascita e il successo esplosivo di un fenomeno come lo sport elettronico. In fondo, la ricchezza del videogioco sta proprio in questo: nell’esplorare un numero elevatissimo di dimensioni tutte differenti tra loro, che offrono esperienze diverse e interessanti. Non dimentichiamo che il videogioco, in tempo ormai lontani, ha dato anche vita a un genere meraviglioso come quello delle avventure testuali, veri e propri esempi di letteratura interattiva, totalmente priva di immagini o elementi sonori. Opere come Zork, Deadline o A Mind Forever Voyaging di Infocom restano immortali capolavori, tanto che persino il grande Douglas Adams realizzò con Infocom l’adattamento interattivo della sua Guida galattica per autostoppisti e, poi, l’inedita (e spassosa) interactive fiction Bureaucracy.

Quali giochi hanno maggiormente segnato la storia del videogioco?
Davvero difficile rispondere a questa domanda. Sono infatti innumerevoli le opere che, in tempi distanti o recenti, hanno rivoluzionato il medium interattivo e il modo stesso nel quale vediamo il videogioco. Mi limiterò a due esempi tra i più significativi. Da un lato, la coppia improbabile Super Mario 64 e Tomb Raider, che nella metà degli anni Novanta impose prepotentemente la terza dimensione nel mondo del gaming, rivoluzionandone non solo e non tanto l’estetica, quanto le possibilità di interazione ed esplorazione date al giocatore-fruitore. D’altra parte, non posso non citare Half-Life di Valve, un titolo seminale che ha mostrato come la visuale in soggettiva, in un’opera apparentemente simile a Doom non sia automaticamente sinonimo di shooter, cioè gioco d’azione pura basato sul combattimento; Half-Life, infatti, è un’avventura dinamica in tempo reale basata sì sull’azione ma distante anni luce dal c.d. “sparatutto”. Il capolavoro di Gabe Newell e compagni, inoltre, apre la strada a una specifica scuola di narrazione interattiva, nella quale il giocatore non smette mai di essere attivo e interagire, in tutti i momenti della storia.

Cosa ha significato per il videogioco l’arrivo della realtà virtuale?
La realtà virtuale, per il videogioco, rimane tuttora una grande incognita. Se da un lato essa rappresenta il sogno di ciascun fruitore di opere interattive, perché sinonimo di totale immersività in un universo fantastico, dall’altro, per ragioni prettamente tecniche, non ha mai realmente funzionato a un livello tale da risultare realmente entusiasmante. Dopo essere stata per tanti anni solo un buffo esperimento dal sapore fantascientifico, la VR (virtual reality) è tornata al centro del palcoscenico grazie al genio visionario del giovanissimo Palmer Luckey, l’uomo che, poco più che ventenne, ha saputo creare con il suo Oculus Rift il primo visore realmente valido e seriamente competitivo in grado di concretizzare il miraggio della realtà virtuale. Dopo tante peripezie e vicende, la VR è oggi una realtà grazie a diversi modelli di visori di grandi aziende del settore, eppure resta ancora ai margini della scena del gaming mondiale. La potenzialità, tuttavia, rimane molto elevata, e titoli come il recente Half-Life: Alyx mostrano che, una volta che sarà superato qualche ultimo importante scoglio tecnologico e di design, la realtà virtuale potrebbe innescare una vera e profonda rivoluzione nel nostro modo di fruire i videogiochi, o almeno una certa parte di essi.

Come sono destinati a evolvere, a Suo avviso, i videogiochi?
Se c’è una cosa che la storia ci insegna, è proprio il fatto che non è possibile prevederla! Ciò che noi abbiamo sempre genericamente chiamato “videogiochi”, oggi corrisponde a tante esperienze interattive di tipo completamente diverso, che oggi richiedono approcci, competenze e studi radicalmente diversi tra loro. Si tratta del fenomeno chiamato “Sindrome di Asteroids”, dal nome del vecchio videogame spaziale di Atari dove, colpendo un meteorite, esso si frantuma in parti più piccole che si allontanano tra loro. Ecco, questo è il futuro dei videogiochi: distinguersi sempre più in esperienze diverse che seguiranno ciascuna una propria evoluzione, differenziandosi e distanziandosi vieppiù l’una dalle altre.

Marco Accordi Rickards, giornalista, scrittore e docente universitario, è il fondatore e direttore di VIGAMUS, il Museo del Videogioco di Roma, e di Vigamus Academy, l’Accademia dell’Immaginario. Professore di Teoria e critica delle opere multimediali e interattive presso la Macroarea di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, siede nell’Advisory Board di devcom (Colonia, Germania) e nella Board of Directors di EFGAMP, European Federation for Game Archives, Museums and Preservation projects). Ha diretto riviste tra cui Game Pro (EDGE Italia) e Game Republic e pubblicato saggi per Mondadori, Carocci, Unicopli e altri editori. Vive e lavora a Roma.

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