
Conoscere la storia russa è essenziale per comprendere le radici dell’attuale guerra in Ucraina e la natura del regime politico di Vladimir Putin. Aiuta a cogliere quali sono gli elementi di maggiore continuità della Russia di oggi con il suo passato sovietico e imperiale, ma anche a considerare l’importanza di eventi più recenti, come il crollo dell’URSS, per rendersi conto che niente di ciò che osserviamo oggi era “scritto” o inevitabile. Ad esempio, la stessa lunga tradizione imperiale e imperialista russa non basta a spiegare le iniziative della Russia in politica estera né perché le posizioni del Cremlino si siano radicalizzate nel tempo. Nel contesto del conflitto attuale ci sono poi alcuni temi fondamentali da conoscere e su cui si concentra il libro, come l’evoluzione delle relazioni tra russi e ucraini nella storia, l’origine dei numerosi conflitti irrisolti nello spazio post-sovietico, la storica complessità delle relazioni tra la Russia, l’Europa e gli Stati Uniti e la loro degradazione negli ultimi anni.
Quali sono le tappe fondamentali nella storia del potere russo?
La storia russa si può dividere in cinque macro-periodi.
Il primo periodo, che va dal IX secolo al XIII secolo, è quello della “Rus’ di Kyiv”, un’entità protostatale costituita da alcuni centri politico-commerciali importanti (tra questi, Kyiv) che si estendeva su un territorio compreso tra il nord dell’Ucraina attuale, la Bielorussia e parte della Russia europea fino alla città di Velikij Novgorod. Nella storiografia e la tradizione politica russe, la Rus’ di Kyiv è considerata l’embrione del futuro Stato russo ed è importante perché vi si fa risalire la nascita (in realtà tuttora oscura a causa di una carenza di fonti storiche) del popolo russo oltre che di quelli bielorusso e ucraino. È inoltre in questo periodo, con il Principe Vladimir I nel 998, che avvenne la conversione di queste popolazioni al cristianesimo bizantino (e quindi alla religione ortodossa) che caratterizza tuttora la Russia e la distingue dai paesi cristiano-cattolici.
Il secondo periodo è quello, durato circa due secoli (dal XIII al XV secolo) della dominazione mongola – più precisamente, dell’Orda d’Oro – che soggiogò i territori della Rus’ di Kyiv. Sebbene ci sia la tendenza ad affermare che la parentesi mongola determinò alcuni tratti “asiatici”, autocratici e permanenti dello Stato russo, il libro sottolinea come il maggiore lascito riguardò non tanto l’organizzazione delle strutture di potere, ma le strategie differenziate di gestione della diversità etnica e religiosa su un territorio immenso, che includevano, secondo i casi, la cooptazione delle élite locali e una maggiore tolleranza o la repressione.
Il terzo periodo è quello della “Russia imperiale”, che si apre con il declino dell’Orda d’Oro nel XV secolo e la nascita vera e proprio di uno Stato russo, a cui segue la sua continua espansione fino alla fine del XIX secolo, e che si conclude circa cinque secoli dopo, con la Rivoluzione russa del 1917 e la fine dello zarismo. Più precisamente, la “Russia” per come la intendiamo oggi ha origine con la graduale conquista da parte della città di Mosca – che nel periodo mongolo acquisì un’importanza e poteri crescenti – prima dei territori facenti parte della Rus’ e poi di paesi e regioni non slave, a partire dal Khanato di Kazan’, sul Volga, conquistato dal famigerato Ivan IV “il Terribile”, che per primo si fece chiamare “zar”.
Una svolta politico-culturale cruciale fu poi impressa da Pietro il Grande, della dinastia dei Romanov, imperatore a cavallo tra la fine del ‘600 e gli inizi del ‘700. È con Pietro il Grande, e poi con Caterina II nella seconda metà del ‘700, che la Russia diventa un Impero “europeo”, per vari motivi: tra questi, la decisa espansione territoriale verso Occidente (vennero annessi, tra gli altri, la regione dei Baltici e parte della Polonia e dell’Ucraina, inclusa la Crimea), l’imposizione di costumi europei a Corte, un processo di modernizzazione dello Stato e della burocrazia che si ispirò – nonostante una permanente relativa arretratezza – alle potenze europee più avanzate; infine, il ruolo centrale acquisito in Europa dopo la vittoria dello zar Alessandro I su Napoleone Bonaparte nel 1812.
Il quarto periodo della storia russa, analizzato nel secondo e terzo capitolo del libro, copre quasi l’intero arco del XX secolo ed è quello dell’esistenza dell’Unione Sovietica, fondata nel 1922 a seguito della rivoluzione bolscevica, conclusosi con il suo crollo nel 1991. L’URSS ruppe in maniera radicale con la storia imperiale e allontanò il nuovo Stato comunista dall’Europa e dai paesi “capitalisti” proponendo un esperimento ideologico e di costruzione statuale rivoluzionario e del tutto nuovo. L’era sovietica è anche associata, ovviamente, alla Guerra Fredda e alla contrapposizione dei due blocchi a guida di URSS e Stati Uniti.
Il quinto e ultimo periodo, analizzato in maniera approfondita nel quarto, quinto, e ultimo capitolo del libro, è quello della Russia post-sovietica dal 1991 ad oggi e delle Presidenze di Boris El’cin, Vladimir Putin e Dmitrij Medvedev, periodo ancora poco studiato e che serve osservare da vicino per capire la Russia di oggi.
Come nasce lo Stato russo e quale funzionamento lo ha caratterizzato lungo l’arco della sua storia?
Si può dire che lo Stato russo nasce con il Principato di Mosca nel XV secolo, prima tappa nella costruzione dell’Impero zarista, e conosce una progressiva espansione territoriale, verso Occidente e Oriente, e delle strutture politiche e burocratiche. A parte alcune brevi parentesi storiche caotiche durante periodi di transizione o vuoti di potere, il centro politico russo si è caratterizzato per una gestione autocratica del potere e il controllo su una società in cui ancora nel 1861 esisteva la servitù della gleba e che fino all’epoca di Stalin, negli anni ’30 e ’40 del XX secolo, era in larghissima parte agricola. Il Partito Comunista in Unione Sovietica ha poi dato vita a uno Stato repressivo e poliziesco senza precedenti nella storia. Negli anni di Gorbaciov e Eltsin c’è stato un momento di allentamento, ma soprattutto crisi, del potere centrale, che si è poi nuovamente rafforzato con l’arrivo di Vladimir Putin, a seguito di un processo di ricentralizzazione sistematica dei poteri.
Quali problemi di governabilità hanno storicamente sollevato la natura multietnica della Russia e un territorio che equivale ad un continente?
Come per tutti gli Imperi, anche nel caso della Russia la vastità di un immenso territorio da gestire e soprattutto la grande diversità per etnia e religione dei popoli che lo hanno abitato ha rappresentato un dilemma permanente per il centro politico su come garantire la stabilità politica ed evitare ribellioni e tendenze centrifughe nelle periferie. Ciò ha comportato, secondo i periodi e le regioni, l’adozione di strategie molto diverse tra loro e, più precisamente, un continuo bilanciamento tra repressione e concessione di forme di relativa autonomia politica ed economica locale, tra cooptazione, discriminazione e persecuzioni sistematiche di alcune popolazioni.
Sebbene si ispirasse in parte a pratiche passate, la specifica soluzione data dai leader bolscevichi alla questione nazionale negli anni ’20 del XX secolo – che costruirono una federazione atipica ed elaborarono una politica di nazionalità sovietica – fu qualcosa di nuovo e di sconosciuto fino ad allora. Fu presa a modello da altri paesi socialisti, in particolare la Jugoslavia di Tito. Il libro spiega perché per comprendere molte questioni irrisolte nelle relazioni tra Russia e Ucraina del dopo 1991, ma anche i conflitti post-sovietici, sia fondamentale conoscere i fondamenti, il funzionamento e l’eredità di questa politica.
Quale mentalità caratterizza le élite politiche russe e che rapporto esse hanno intrattenuto con l’Europa e l’Occidente?
Dai tempi di Pietro il Grande e fino alla Rivoluzione del 1917, la Russia ha guardato all’Europa e ha aspirato ad essere riconosciuta come Stato europeo al pari delle altri grandi potenze sette e ottocentesche, come la Francia, l’Inghilterra, la Prussia, l’Impero asburgico. La Russia ha anche contribuito grandemente allo sviluppo, soprattutto musicale e letterario, della cultura europea, in particolare nel XIX secolo. Se quindi la definizione della Russia come di un paese europeo è fuori discussione, già in epoca imperiale alcuni tratti del suo sistema – come l’arretratezza del sistema economico e della società russa o la professione della religione ortodossa– hanno causato alcune incomprensioni di fondo con le potenze europee, che hanno guardato il più delle volte alla Russia come un paese vicino, ma anche diverso, e spesso con un senso di superiorità. In maniera speculare, in Russia un sentimento di inferiorità si è manifestato con una ricerca continua di un riconoscimento esterno, europeo e più tardi statunitense, del proprio status di potenza. La Guerra Fredda nel XX secolo ha poi dato forma a una vera e propria ideologia di una contrapposizione tra la Russia e “l’Occidente” (nozione vaga e ideologica che non amo utilizzare: da ultimo, Putin ha definito di recente l’attuale guerra in Ucraina come uno scontro tra la Russia e un presunto “Occidente collettivo”) che ancora pesa, trent’anni dopo, sulla maniera in cui si guarda alla Russia ma anche in cui la Russia percepisce se stessa e il suo ruolo nel sistema internazionale.
Carolina de Stefano è ricercatrice e docente di Storia e politica russa all’Università Luiss Guido Carli e membro associato del Centre d’études des Mondes Russe, Caucasien & Centre-Européen di Parigi. Le sue ricerche si concentrano sugli anni del crollo dell’URSS e le questioni nazionali nello spazio sovietico e post-sovietico. Sue pubblicazioni recenti sono apparse su “Russian Review” e il Journal of Eurasian Studies.