
Ecco, nella domanda c’è già non un errore, ma un’imprecisione, direi un po’ tendenziosa. L’islam è una visione del mondo che pretende di avere una estensione pubblica, nella società e nel diritto, certo, ma non automaticamente nella politica. A parte il fatto che, quando si parla di islam, anche le cose più ovvie e banali provocano scandalo. Quale religione non pretende di condizionare e dirigere la vita dell’uomo in società? Tutte in realtà. Papa Francesco ha mai detto che il cattolicesimo non deve avere alcun contatto con la sfera pubblica e sociale? Che i cristiani devono starsene in casa a pregare e non occuparsi di quel che succede nel mondo? Direi proprio il contrario; per non parlare di Giovanni Paolo II che ha fatto del cattolicesimo una religione decisamente “politica”. L’ebraismo ortodosso si comporta nella stessa maniera. Il Dalai Lama non è certo solo un monaco che si inebria di campanelli e suffumigi. Eppure, chissà perché, questa cosa del tutto normale e diffusa (non voglio dire che sia giusta e condivisibile, voglio dire che è un dato di fatto), riguardo all’islam fa scandalo. Diversa è potenzialmente la questione dello stato e del rapporto tra religione e stato, cioè la tanto fraintesa questione della “teocrazia” islamica. Teocrazia significa che il clero e le autorità religiose pretendono di detenere anche il potere politico. Questo non è mai accaduto nell’islam, tranne che nel caso del khomeinismo iraniano contemporaneo. Ma il caso del khomeinismo, che oltre tutto è sciita, non vuol dire che “tutto” l’islam, e soprattutto quello maggioritario sunnita, abbia le medesime tendenze. Anzi. A parte il fatto che l’islam sunnita non conosce alcuna forma di Chiesa o di clero, se si studia la storia dell’islam (e ci sono molti buoni libri) o la storia del pensiero politico islamico (che è appunto l’argomento del mio libro di cui si parla), si scoprirà facilmente che è stato piuttosto il potere pubblico a strumentalizzare la religione e non i religiosi a occupare i troni e i sultanati. Quindi la “teocrazia” islamica non esiste, né l’automatica identificazione per cui l’islam sarebbe “religione e stato”. La teocrazia è un idea sorta del cristianesimo, non nell’islam.
Qual era la visione politica del profeta Muhammad?
È una domanda che consente di specificare ulteriormente quanto detto più sopra. Il Profeta Muhammad non aveva alcuna visione politica definita, né ha mai avuto intenzione di creare uno stato su basi religiose. Naturalmente, egli era la “guida” politica della sua comunità (lasciamo da parte la funzione profetica in senso proprio che ovviamente non è politica), ma nella stessa misura di uno “sceicco” beduino: dal punto di vista politico era un primus inter pares, chiedeva consiglio all’assemblea dei compagni e dei saggi e decideva sulla base del consenso. È stato anche un capo militare, ma non certo un monarca. Né il Corano contiene indicazioni politiche in grado di formare un fantomatico “stato islamico”. Tre sole sono le indicazioni potenzialmente “politiche” del Corano: 1) che i governanti devono essere giusti e i governati obbedire al governante giusto (Q. 4:58-59); 2) che i musulmani “decidono consultandosi tra di loro” (Q. 42:38), e 3) che è obbligatorio per ogni musulmano “ordinare il bene e proibire il male” (Q. 3:110). Come da queste indicazioni soprattutto etiche si possa dedurre che cos’è lo “stato islamico” e come è organizzato, è francamente incomprensibile, fantasioso. O pretestuoso. Ai tempi del Profeta e dei primi califfi non esisteva alcuno “stato islamico”, ma una comunità organizzata che si sentiva coesa dal legame religioso della fede piuttosto che dall’idea della civica romana o del socialismo egualitario marxista. Non esisteva alcuna “teocrazia”, ribadisco.
Quali sono le origini del pensiero filosofico e politico moderno dell’Islam?
Il pensiero politico moderno dell’islam si forgia in dialettico confronto con quello occidentale. Attraverso l’imperialismo e la subordinazione coloniale, l’Occidente ha impattato la visione politica musulmana classica con nuove idee: il secolarismo, lo stato-nazione, la democrazia, la libertà individuale fondata sul diritto naturale. Tutto questo come è ovvio ha condotto a un profondo ripensamento delle categorie islamiche classiche e, dal punto di vista metodologico, ciò è avvenuto o attraverso la modernizzazione dell’islam o attraverso l’islamizzazione della modernità. Nel primo caso, si è trattato, ad esempio, di negare le forme tradizionali di organizzazione politica, come il califfato, in nome di una democrazia che ha oscillato a lungo tra i caratteri liberal-liberisti e un socialismo molto peculiare e adattato ai contesti storici; nel secondo caso, ad esempio, si è trattato di rivendicare all’islam la capacità razionale di produrre scienza e di proporre e di difendere i diritti umani in modo più equilibrato e razionale di quelli occidentali.
Il califfato, come dimostrano i fatti recenti, continua ad esercitare una forte attrazione nel mondo islamico
Il califfato mantiene una attrattiva per i musulmani nella misura in cui è il simbolo e la nostalgia della potenza e della grandezza dell’islam, quando l’islam (secoli VIII-XII) era all’apice della sua potenza culturale e civile e dominava sull’Eurasia. È un po’ come, da noi, rimpiangere la grandezza dei greci e dei romani. Ma l’idea del califfato ha in sé un altro elemento importante: l’universalismo. Sebbene nel mondo moderno ormai i musulmani siano scissi in stati e nazioni diverse, l’una contro l’altra armate, l’idea, anche questa mitica, della umma, della comunità dei credenti, sovranazionale e sovrastatale, simbolo della coesione e dell’identità culturale dei musulmani, ha anch’essa conservato un valore simbolico importante. E per tradizione, il califfato è sempre stato la concretizzazione politica della umma, almeno sul piano ideale. Ciò ne giustifica il potenziale mobilitante.
Che differenze vi sono tra pensiero politico sunnita e sciita?
La differenza fondamentale ruota attorno al concetto di imamato/califfato (si badi che anche per i sunniti il califfo è un “imam” nel senso che è la “guida” della comunità). Ebbene il califfo/imam sunnita è, secondo la dottrina classica, un uomo qualsiasi della tribù dei Quraysh, eletto dal basso per libera scelta del popolo (ikhtiyar) attraverso un consenso (ijma’) mediato dai rappresentanti del popolo stesso, cioè gli ‘ulema. L’imam sciita invece, innanzi tutto deve appartenere direttamente alla famiglia del profeta Muhammad, inoltre è designato da Dio (nass) dall’alto e gode di una autorità che non ha bisogno del consenso popolare, essendo, appunto, di designazione ispirata. Inoltre, grosso modo, il califfo/imam sunnita ha potere esclusivamente esecutivo di proteggere e applicare la Legge, mentre l’imam sciita ha il potere di “cambiare” la Legge fino ad abrogarla in certe correnti estreme dello sciismo. Il pensiero politico sciita contemporaneo, grazie soprattutto a Khomeini, ha effettuato un salto in avanti rivoluzionario: ha rivendicato agli ‘ulema, ai giureconsulti (quelli che l’opinione comune chiama ayatollah), il diritto di sostituire l’imam nelle sue funzioni politiche durante la sua assenza. Siccome per lo sciismo maggioritario l’ultimo discendente di Muhammad e di suo genero ‘Ali non è morto, ma occultato e atteso nella prospettiva della palingenesi della fine del mondo, nel frattempo il mondo musulmano non deve rinunciare alla “guida”: per cui i giurisperiti possono prenderne il posto, gestendo lo stato secondo i principi islamici (ma senza poter cambiare la Legge).
Che rapporti intercorrono tra salafismo ed islamismo?
Il salafismo è in generale una attitudine culturale, religiosa e morale che afferma che i musulmani dovrebbero ispirarsi nel loro vivere, pensare ed agire al comportamento del Profeta Muhammad e dei suoi compagni, i “pii antenati” che in arabo sono chiamati appunto i “Salaf”. Ciò non implica affatto, automaticamente, un impegno politico. Anzi. La gran parte dei salafiti è a-politica, ritenendo l’impegno politico non congruo con il rigore morale e la concentrazione spirituale pretese dai “pii antenati”. Ci sono poi salafiti che, invece, hanno abbracciato l’idea della necessità di impegnarsi politicamente e, in tal senso, si sono omologati all’”Islamismo”, arrivando fino a scelte jihadiste. Nella terminologia scientifica contemporanea, l’islamismo indica appunto quelle correnti che intendono realizzare sulla Terra un ordine politico islamico, comunque ispirato ai tempi straordinari del Profeta, seguendo metodi diversi che vanno dalla partecipazione democratica alle procedure elettorali attraverso il pluripartitismo, alla lotta armata. I salafiti, perciò, sono islamisti quando sono politicizzati. Ma non vale però il contrario: non tutti gli islamisti sono salafiti nel senso sopra specificato. Lo sono nel senso che anch’essi si richiamano ai Salaf, ma la proposta islamista è del tutto contemporanea e contestuale alla nostra epoca, sebbene rivendichi punti di riferimento “medievali”.
Nel testo vengono trattati due esempi di pensiero politico islamico nel Sud-est asiatico: l’Indonesia, il più popoloso paese musulmano al mondo, e la Malesia
L’islam del sud-est asiatico o del cosiddetto Estremo Oriente è un islam profondamente diverso da quello del cuore della religione musulmana, il mondo arabo-iranico-turco. Certo i punti di riferimento sono gli stessi: il monoteismo, il Corano, la sunna del Profeta Muhammad, la tradizione delle suole giuridiche. Ma il modo di vivere, di interpretare i testi, di tradurre in pratica le norme sono condizionati da una tradizione e da una eredità civile e culturale diversa da quella arabo-iranico-turca (per esempio forti sono le venature di Buddhismo). Non vi è spazio qui per dettagliare siffatte differenze. L’unica cosa che mi preme dire è che l’islam arabo-iranico-turco è una visione del mondo, una religione e una cultura pienamente omologabile a quella dell’Occidente (l’islam è una religione dell’Occidente), mentre quella dell’estremo Oriente segue sue vie particolari spesso meticciate con un naturalismo che rielabora il carattere personale, agente e vivente del Dio monoteista creatore dal nulla.
Si può parlare di diritti delle donne nel pensiero islamico?
La risposta è certamente sì, ma non ho più alcuna intenzione di perder tempo su questioni pretestuose e ideologizzate su cui si fa solo falsificazione e propaganda.
Quale sarà una possibile evoluzione del pensiero politico islamico?
Il pensiero politico islamico contemporaneo è in cerca di nuove vie che gli consentano di proseguire il suo confronto con la modernità dell’Occidente. Tre sono i concetti su cui i pensatori musulmani contemporanei stanno lavorando intensamente: la rinegoziazione della shari’a, cioè la rilettura della base rivelata del diritto islamico in modo da renderne più flessibile il carattere, appunto, di origine divina; l’elaborazione del concetto di shura, che sarebbe la versione “islamica” della democrazia, comunque basata sui princìpi del consenso e della rappresentatività; e il concetto di dawla madaniyya, ovvero “stato civile”, un’idea di stato di diritto basato sull’imperio della legge in cui ancor più si accentui il carattere originariamente “secolare” dell’islam. Qui piuttosto è da ricordare il fenomeno ricco e misconosciuto del femminismo islamico, cioè di quelle donne che trovano nell’islam (ovviamente liberato dalla misoginia e dal patriarcato) e non nell’Occidente la garanzia della difesa dei propri diritti.