“Storia dei carabinieri” di Gianni Oliva

Storia dei carabinieri, Gianni OlivaStoria dei carabinieri. Dal 1814 a oggi
di Gianni Oliva
Mondadori

«Invocati nel momento del bisogno (quante volte capita di sentire esclamare: «Chiamo i carabinieri»?); temuti nel momento della trasgressione («Attento, ci sono i carabinieri»); ricordati con orgoglio nazionale per il ruolo nelle missioni internazionali («In Afghanistan l’Onu vuole i carabinieri»); ridicolizzati in barzellette di ogni tipo («Sempre in due, perché uno sa leggere e l’altro scrivere»). Tra manifestazioni di consenso ed espressioni di dissenso, i carabinieri rappresentano l’istituzione dello Stato che più profondamente è penetrata nell’immaginario collettivo degli italiani: più popolari del Tricolore e dell’Inno di Mameli, più conosciuti del profilo di Montecitorio e del Quirinale, più «presenti» nel quotidiano di qualsiasi altro corpo delle forze armate.

Dalla constatazione di tanta indiscutibile popolarità è nata l’idea di questa ricerca sulla storia dell’Arma, pubblicata in una prima edizione nel 1992 con il sottotitolo Immagine e autorappresentazione dell’Arma (Leonardo), e riproposta oggi in versione aggiornata (in particolare, con un paragrafo conclusivo sull’evoluzione legislativa più recente e sulla trasformazione dei carabinieri in forza armata autonoma). Il lavoro non è stato facile. Una ricerca scientifica sulla storia dei carabinieri fondata sull’analisi di documenti inediti è infatti pressoché impossibile: per ovvie ragioni, gli archivi centrali del corpo, dove sono custoditi i segreti nazionali di ieri e di oggi, non sono di fatto accessibili agli studiosi. Il personale dell’ufficio storico di viale Romania a Roma, dove ha sede il comando generale dell’Arma, riceve i ricercatori non militari con gentilezza, mettendo a disposizione scrivania e fotocopiatrice, ma il materiale che si ottiene in visione non va al di là di regolamenti, pubblicazioni ufficiali, relazioni destinate alla divulgazione, produzione iconografica.

A questo ostacolo di fondo si aggiunge il fatto che sull’Arma mancano contributi storiografici anche parziali, analisi sociopolitiche, ricostruzioni cronachistiche, se si fa eccezione per la produzione interna all’Arma e per alcuni lavori prodotti negli anni Settanta, dove l’interesse è però limitato a singoli episodi oppure rivolto ai carabinieri nel quadro più generale della storia delle forze di polizia. In questo caso si scontano sia le carenze di dibattito politico sugli apparati di forza dello Stato, sia le conseguenze del disinteresse che a lungo ha circondato in Italia le questioni militari sotto la duplice copertura ideologica del patriottismo strumentale delle destre e dell’antimilitarismo di principio delle sinistre.

Da queste condizioni oggettive di partenza deriva il «taglio» scelto per questo lavoro. Posto che la documentazione disponibile limita l’analisi di ciò che l’Arma è effettivamente stata, si è cercato di ricostruire accanto alla storia propriamente detta il modo in cui i carabinieri si sono proposti (l’«autorappresentazione») e quello in cui sono stati avvertiti dall’opinione pubblica (l’«immagine»): forme contraddittorie nel loro sviluppo storico, talvolta parallele o coincidenti, talaltra in palese contrasto, attraverso le quali si sviluppano duecento anni di «ordine», dalla monarchia sabauda di Vittorio Emanuele I all’emergenza mafia dell’Italia repubblicana negli anni Novanta. In questa prospettiva di ricerca, che interseca le tematiche proprie della storia politica con quelle della storia sociale, il materiale cui attingere risulta invece molteplice: documenti ufficiali (regolamenti, circolari, «memorie storiche» dei reparti), per rintracciare modi e tempi dello sviluppo dell’Arma; testimonianze letterarie, riproduzioni iconografiche e immagini pittoriche, per cogliere i modelli rappresentativi veicolati fra il grande pubblico; dibattiti alla Camera e al Senato e relazioni di commissioni parlamentari, per ricostruire i termini generali del rapporto fra «ordine» e «potere»; cronache giornalistiche, per valorizzare le notizie frammentarie che volta a volta sono state rese note e ricomprenderle in un’ipotesi di percorso evolutivo; infine, la bibliografia esistente sui diversi momenti della vicenda nazionale; il tutto sullo sfondo di una storia, prima sabauda poi italiana, con la quale la storia particolare dei carabinieri ha interagito fin dalla costituzione del Corpo.

In questa chiave interpretativa, la ricostruzione sgombra il terreno dai luoghi comuni e dagli equivoci che spesso si trovano a proposito della «Benemerita». Nella mistica dell’Arma la fedeltà alle istituzioni e l’apoliticità ricorrono con estrema frequenza e sono proposte come i fondamenti etici del Corpo; per contro, gli oppositori politici (fin dai moti costituzionali piemontesi del 1821) ne hanno denunciato la partigianeria degli interventi e la complicità con settori specifici delle classi dirigenti. Riconducendo il problema al piano epistemologico, va osservato che i carabinieri sono per definizione i difensori dell’«ordine», e in quanto tali legittimati all’uso della forza in funzione repressiva. «Ordine» è però un’astrazione che di per se stessa non significa nulla. Come hanno osservato Ilya Prigogine e Isabelle Stengers, «poche nozioni sono così difficili da ridurre nei limiti delle scienze come quelli di ordine e disordine», e il rilievo vale a maggior ragione per le categorie storico-sociologiche. Dal 1814 a oggi l’«ordine» si è materializzato in forme storiche diverse, espressione degli equilibri che andavano formandosi e trasformandosi, a ognuno dei quali sono corrisposti differenti indirizzi di governo. Ogni equilibrio raggiunto e ogni gruppo di potere, a loro volta, hanno cercato di consolidarsi e di rafforzarsi, impedendo la crescita delle forze di opposizione con l’impiego di tutti gli strumenti di coercizione disponibili. In questo senso tra «difesa dell’ordine» e «conservazione dell’ordine esistente» si stabilisce un’equazione automatica, con le evidenti implicazioni politiche che ne conseguono. I carabinieri del colonnello Cavassanti che nel 1821 si oppongono ai costituzionalisti di Santorre di Santarosa sono i difensori di un «ordine assolutista» sancito dal congresso di Vienna e garantito dalla Santa Alleanza, così come i reparti che sul finire del secolo reprimono le agitazioni contadine e operaie difendono un «ordine liberale» diverso da quello delle epoche precedenti. In entrambi i casi si tratta di azioni di contenimento e di freno che se da un lato circoscrivono i rischi degenerativi, dall’altro ritardano un’evoluzione storica destinata ad affermarsi comunque più tardi, nel Piemonte di Cavour prima e nell’Italia giolittiana poi. Allo stesso tipo di equivoco si prestano altre astrazioni ricorrenti, come legalità, eversione, delinquenza. «Stato» non è l’espressione di una realtà atemporale e assoluta, ma la forma storica mutevole nella quale i diversi gruppi sociali si aggregano in rapporto alla forza di ognuno, ridefinendo di volta in volta ciò che deve intendersi per legalità, eversione, delinquenza. Ne deriva che «fedeltà allo Stato» è espressione generica quanto «difesa dell’ordine», calata in situazioni storiche che dal 1814 a oggi si sono diversamente definite e nelle quali non sempre «Stato di diritto» e «Stato di fatto» sono risultati coincidenti. Riletta in questa chiave, la storia dei carabinieri esce dall’astrazione e dall’agiografia per diventare pagina concreta della storia nazionale, illuminata e nel contempo illuminante rispetto a periodi, situazioni e personaggi del passato sui quali la storiografia si è soffermata.

Il percorso di ricerca che abbiamo indicato risulta tuttavia percorribile in modo adeguato soltanto per un tratto: affrontando il periodo più recente – l’Italia della Repubblica – ci si imbatte spesso nei misteri che hanno contraddistinto gli ultimi decenni di storia nazionale. Dalla vicenda del bandito Giuliano al Piano Solo, dalla struttura di Gladio alle stragi degli anni Settanta, la storia repubblicana propone pagine oscure che, in rapporto alla documentazione disponibile, si prestano assai più alle congetture giornalistiche che alle ricostruzioni storiche. Che cosa sia accaduto si può ipotizzare, ma non certo documentare in modo adeguato. Anche se una storia dell’«ordine repubblicano» risulta prematura, in questo lavoro è stato tuttavia inserito un capitolo conclusivo sul periodo successivo al 1948: senza pretesa di completezza ma, al contrario, nella coscienza dei limiti che la trattazione comporta, sono state tratteggiate alcune possibili linee interpretative, con il proposito di problematizzare i momenti chiave che successivi approfondimenti storiografici saranno chiamati a chiarire.»

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