
Sotto la prima dinastia regnante (detta “di Pamplona”, 1035–1137), l’Aragona visse un cospicuo periodo di sviluppo e cambiamenti, rispettivamente nei settori: territoriale, ampliando significativamente le aree sottomesse, tra cui finì, addirittura, la Navarra (1054–1134); religioso (in senso ampio), forte dell’attraversamento in loco di pellegrini diretti a Santiago de Compostela e dall’elevazione del sito di Jaca; architettonico, con la sostituzione dell’austero e privo di elementi decorativi stile locale con forme eleganti e raffinate provenienti da climi italici e francesi; amministrativo, dove si nota in particolare una nuova macro-suddivisione in “Vecchia Aragona” e “Nuova Estremadura”, attuata negli anni di Alfonso I il Battagliero (1104–1134); ed economico, data dal controllo della città di Saragozza e parte del corso del fiume Ebro, rispettivamente una delle principali postazioni interne e collegamento fluviale fra terra navarrese–coste atlantiche e località catalane–sponde mediterranee.
Quali vicende principali segnano la storia del Reame aragonese?
Ogni monarca – chi più, chi meno – dette una caratura singolare (il libro intende mostrarlo), ma non tutti furono protagonisti e/o testimoni di eventi segnanti.
Sul fronte della storia politica, abbiamo cinque date: 1137, 1410–1412 e 1479. La prima indica il passaggio della corona dalla casata di Pamplona a quella dei Conti di Barcellona – materialmente rappresentato dall’accordo matrimoniale con cui re Ramiro II il Monaco (1134–1137) dette in sposa la sua unica figlia, Petronilla, al conte Raimondo Berengario IV (1131–1162) – e la conseguente “unione” – benché sul termine si potrebbe discutere – di Regno d’Aragona e “Principato di Catalogna”. Il triennio 1410–1412, corrispondenti all’interregno seguito al trapasso di Martino il Vecchio/l’Umano (1396–1410), oltre a decretare, mediante il Compromesso di Caspe (1412), l’ascesa della dinastia regia castigliana dei Trastámara nella persona di Ferdinando (dalla Storia conosciuto come “Ferdinando I il Giusto”, monarca dal 1412 al 1416), rivela perfettamente il livello di autorità e potere raggiunto dagli organi di rappresentanza, ovvero decidere chi si sarebbe seduto sul trono. Il 1479, infine, segna l’inizio di una nuova fase storica, quella del Regno di Spagna; al fianco di questa data, è bene porre il 1469, poiché fu allora che si celebrò il matrimonio tra Ferdinando (II) d’Aragona e Isabella di Castiglia, alla base della nuova fusione politica iberica.
Nel variopinto rapporto sugli esteri, furono decisive le campagne verso le Baleari (1229–1235) e la regione valenciana (1236–1245) e la firma sul Trattato di Corbeil (1458, col quale vennero barattati i domini trans-pirenaici per il riconoscimento signorile sulle contee catalane) – momenti decisivi per i territori in questione –, tutto ad opera di Giacomo I il Conquistatore (1213–1276). Indimenticabili, inoltre, la partecipazione alla Guerra del Vespro (1282–1302) e i coerenti trattati di Anagni (1295) e Caltabellotta (1302), che portarono alla nascita del Regno di Trinacria (Sicilia isolana), affidata a una propaggine famigliare aragonese, e l’autorizzazione da parte del papa – in quanto signore di tutte le isole mediterranee, come stabilito dalla Donazione di Costantino – a invadere e sottomettere Corsica e Sardegna (da allora, più volte tentate e mai del tutto riuscite); sempre su campo italico, non si può tralasciare le due spedizioni nel Mezzogiorno (1421–1423; 1435–1442) di Alfonso V il Magnanimo (1416–1458), conclusesi con l’ “annessione” – termine, anche questo, di natura opinabile – del Regno di Napoli, il quale, alla morte del Sovrano (1458), venne separato dai restanti domini per “dare vita” a un’entità autonoma in mano a un ramo cadetto, sorto col seme illegittimo del Magnanimo, Ferrante (I, dal 1458 al 1494).
In ambito economico, la strategia adottata da quasi tutti i sovrani di promuovere e favoreggiare l’azione dei mercanti “nazionali”, senza, comunque, privare loro e il Regno di supporto e abilità forestiere, dette significativi incentivi nello sviluppo di una marina bellica e mercantile forte e capace. Fu specialmente con Raimondo Berengario IV, Giacomo I e Alfonso V che si hanno risultati degni di attenzione. Alla signoria del primo, si legano i primi commerci col ricco Vicino Oriente (Egitto e Impero bizantino); durante quella del Conquistatore, gli operatori catalano-aragonesi cominciarono a farsi spazio nello spietato mondo degli affari dominato dagli italiani; con il culmine toccato negli anni del Magnanimo, quando la rete commerciale intesseva rapporti dai mari del Nord e dell’Est alle coste calde del Sud e dell’Ovest, ma a questo periodo di fortune fece seguito – già durante il regno di Alfonso V – una progressiva discesa.
Infine, su quello culturale, il rapporto mecenatico-protettivo di Alfonso II il Casto (1162–1196) e del figlio Pietro II il Cattolico (1196–1213) nei confronti dei Trovatori del Midi francese – in fuga dalle lame insanguinate dei crociati guidati dal capitano di ventura Simone IV di Montfort, sguinzagliati da papa Innocenzo III (1198–1216) per sopprimere l’eresia catara – stabilitesi su suolo iberico, contribuì a migliorare le composizioni catalano-aragonesi. I re d’Aragona, però, non si limitavano alla sola difesa e promozione letteraria – ai cui citati devono essere aggiunti Giacomo II il Giusto (1291–1327), Pietro IV il Cerimonioso/dal Pugnale (1336–1387) e Alfonso V –, cimentandosi altresì nella redazione di scritti propri, come nel caso del Conquistatore e della sua Crónica e Pietro il Cerimonioso, amante della lettura – tra i molti testi spicca il Corano –, autore di versi, traduttore in catalano e padre anch’egli di una Crónica, autobiografica e rimasta incompiuta. Sempre alla figura di Pietro IV, si lega la realtà artistico-architettonica, arricchita dalla fondazione di una ricca biblioteca a Poblet, luogo di riposo per le salme dei membri della sua dinastia, e di una serie di diciannove statue in alabastro per il regio Palazzo di Barcellona rappresentanti i primi conti cittadini e i monarchi aragonesi.
Quali, tra i sovrani, si distinsero maggiormente?
Senza dubbio Raimondo Berengario IV e Giacomo I, per i motivi già detti, tant’è che i loro stessi sudditi (contemporanei e posteri) erano soliti identificarli quali “sovrani ideali”. Non certo inferiori, però, furono Pietro III il Grande (1276–1285) e Pietro IV, protagonisti di vite che rasentano il romanzo di avventura, immortalate su pergamena, nella Divina Commedia (Purgatorio, canto VII, vv. 112–129), la Nuova Cronica (libro VIII, cap. LXIX) e il Decameron (giornata X, novella VII) Pietro III e nella suddetta Crónica il Cerimonioso. Assolutamente meritevole di essere ricordato è, altresì, Giovanni II (1458–1479), incoronato durante uno dei periodi più oscuri della storia aragonese, ferito nel profondo dall’insofferenza finanziaria, lo scontro col figlio ed erede Carlo di Viana e una guerra civile che vide coinvolti avversari imparentati con le famiglie regnanti di Castiglia, Francia e Portogallo. Nonostante le difficoltà – perdette temporaneamente perfino l’uso della vista –, Giovanni seppe reggere ai colpi e impedire la frattura totale, sino ad uscirne vincitore; artefice, inoltre, delle nozze tra il seme del secondo matrimonio Ferdinando e la castigliana Isabella.
Come era organizzato il regno d’Aragona?
Potremmo definirlo una sorta di “reame parlamentare confederale”, infatti, a partire dall’unione con la Catalogna (1137 de facto, 1150/1 de iure) o l’annessione delle Baleari e la Valencia (XIII secolo), tra gli storici si preferisce non utilizzare più il termine “Regno d’Aragona”, se non per riferimenti formali, ma “Confederazione catalano-aragonese”, i cui mebri (maggiormente rilevanti) erano – nel complesso, senza tener conto degli anni relativi alla signoria – i regni di Aragona, di Corsica e Sardegna, di Maiorca, di Napoli, di Sicilia e di Valencia, la Contea di Provenza, i ducati di Atene e di Neopatria e il “Principato di Catalogna”.
All’interno della Confederazione, il monarca la rappresentava nella sua interezza e compattezza, al di sotto di lui e la corte, però, le singole componenti avevano proprie leggi (fueros, o furs in catalano), statuti, organi di rappresentanza, delegati e tribunali. Tra gli enti di governo, le più celebri erano le Cortes (Corts in catalano), assemblee parlamentari dove i rappresentanti di clero, nobiltà e cittadini – fra le altre cose – discutevano e approvavano/respingevano proposte di legge o richieste di finanziamenti provenienti dal vertice. Fu proprio grazie a questo potere, che la loro influenza e peso nella vita politica del Regno crebbero a dismisura, barattate dai re per ricevere assistenza di fronte alla carenza di risorse (specie belliche). Questa situazione, comunque, non è riscontrabile ovunque, poiché alcuni membri erano amministrati indirettamente o mediante rami cadetti, mentre altri rimasero sotto il dominio catalano-aragonese per un arco temporale insufficiente a far sviluppare alcune di queste caratteristiche, forse non sorte anche per scelta, magari spinti dal desiderio di conservare quanto già esistente.
Come si concluse la storia (del Regno) d’Aragona?
A mio parere, le vicende del Regno d’Aragona si conclusero con la morte di Giovanni II e l’ascesa al trono di Ferdinando, il famoso Ferdinando II il Cattolico, marito della regina Isabella di Castiglia. Dall’anno 1479, quindi, non sarebbe corretto parlare di “Regno d’Aragona”, in quanto confluito assieme al Vicino nel Regno di Spagna, dando così inizio a una nuova fase storica, la quale – oltretutto – valica i confini del Medioevo. Questa, però, è solo una visione soggettiva e, giustamente, vi può essere chi non la accetti, presentando argomentazioni che, a seconda della tematica, pongono la conclusione dell’età medievale aragonese o del Regno a tutt’altra data o decennio. È comprensibile e più che legittimo. La mia proposta, semplicemente, ha tenuto conto del momento in cui questa entità cessò di esistere singolarmente per confluire in una più grande, alla quale appartiene una storia differente. Al massimo, si potrebbe ulteriormente ragionare sul quanto i membri della Confederazione catalano-aragonese siano stati davvero uniti al resto dei domini ispanici e/o quanto tempo hanno impiegato ad amalgamarsi a loro.