
Quello che però non dobbiamo dimenticare è che il primo valore del racconto biblico sui progenitori è letterale, storico. Per i medievali Adamo ed Eva sono realmente esistiti e prima di essere portatori di verità simboliche sono i protagonisti reali del libro della Genesi.
La cosa più stupefacente è piuttosto il modo in cui filosofi e teologi trattano in molti casi quegli elementi, cioè quella che nel libro ho chiamato “interrogazione controfattuale” della vicenda dei progenitori. Questi autori si chiedono infatti spesso non solo che cosa sia successo con Adamo ed Eva, e cioè gli effetti del peccato originale e la caduta, ma “che cosa sarebbe successo se Adamo ed Eva non fossero caduti?”. È questa la storia che cerco di ricostruire nel libro, ed è una storia filosofica in senso pieno e proprio.
Non si tratta infatti per loro in questo caso di spiegare il testo biblico, perché il testo biblico non dice nulla di questo, non si tratta neppure di un ricorso alla storia biblica, intesa come serie di avvenimenti reali, perché Adamo ed Eva sono realmente caduti, hanno davvero deciso di disobbedire e sono stati realmente cacciati dal paradiso terrestre.
Chiedersi non che cosa sia successo, ma che cosa sarebbe successo se una cosa che è avvenuta – il peccato originale e il conseguente cambiamento della natura umana – non fosse avvenuta, è una domanda strategica dal punto di vista filosofico, perché è un questionamento controfattuale della realtà.
I fatti della realtà non bastano per capire la realtà, bisogna immaginare i nessi causali che legano i fenomeni tra di loro: eliminato il peccato, si dissolverebbe la politica? Se Adamo fosse rimasto saldo, si sarebbe potuta pensare la proprietà? Tolta la caduta, si annienta anche la gerarchia? Questi sono i temi del libro, che seguono le domande dei vari autori, che hanno risposte per nulla univoche, anzi spesso opposte e contrastanti. Questo era quello che mi interessava, da storico del pensiero politico.
Qual è la visione di Agostino su disobbedienza e peccato originale?
Ad Agostino dobbiamo la messa a punto di un formidabile (direi anche etimologicamente) dispositivo di comprensione della natura umana. Per Agostino il peccato dei progenitori è un peccato di disobbedienza che “ha ricevuto in cambio la disobbedienza”. Il peccato determina un prima e un dopo. Il prima è quello della natura umana come istituita da Dio, il dopo è quello di una natura umana che fa esperienza di quella disobbedienza che ha causato. L’esperienza del limite si manifesta attraverso la disobbedienza del proprio corpo, delle proprie passioni, dei propri pensieri. Agostino nota che il primo effetto del peccato originale (e l’espressione “peccato originale” è forse proprio invenzione agostiniana) è la vergogna per la nudità che i progenitori hanno istantaneamente avvertito. Quella vergogna è in realtà, così interpreta, la percezione di un fremito sessuale. E quel fremito diventa immagine di ogni futura disobbedienza, perché se il corpo stesso disobbedisce – cioè fa quel che vuole – è segno che tutto sfuggirà al controllo. È una vera e propria rivolta che si annuncia.
La disobbedienza dei progenitori ha infatti modificato la natura umana rendendola preda di paure, bisogni, istinti, pulsioni antisociali che assediano ogni essere umano e rendono la convivenza un progetto instabile e sempre incompleto. Il peccato originale crea dunque una cesura, un salto, che segna la distanza irrimediabile tra due stati dell’uomo, lo stato d’innocenza e quello della natura decaduta, che però in questo modo si implicano a vicenda, tanto da dover essere analizzate insieme. Va poi sottolineata la grande capacità di Agostino di tradurre, con la sua scrittura, queste concezioni antropologiche in una sorta di metateoria di ogni esperienza individuale. Ogni lettore ne rimane come intrappolato (anche solo per il tempo della lettura). Agostino crea qui un meccanismo di comprensione dell’esistenza che è un dispositivo totalizzante. Diciamola tutta: Agostino è un autore pericoloso, come lo sono stati il marxismo e il freudismo nel Novecento (se mi passa il gioco del tutto estrinseco del paragone e della provocazione).
Quali legami uniscono Adamo, la politica e le forme storiche del potere secondo la concezione medievale?
Stando così le cose, come le abbiamo accennate, la comprensione della realtà non può svincolarsi da questo antefatto antropologico, anzi da questa doppia antropologia, quella della natura innocente e quella della natura decaduta, insieme. Se gli uomini sono assediati da pulsioni antisociali dovranno organizzare la convivenza tenendo conto di questi limiti. Se ciascuno è affetto dalla libido dominandi, la pulsione del potere, ma anche del possesso, della prevaricazione, della violenza, allora è necessario accordarsi per difendersi da tutto questo. È il senso profondo della costruzione politica. Sarà forse necessario accettare qualcosa che non farebbe parte della natura umana istituita nell’innocenza, per esempio la proprietà privata, che è un rimedio contro l’aggressione del più forte (ma i Francescani, ad esempio, nel libro lo si vede, rifiuteranno proprio la difesa della proprietà, anche quella legale, perché la intenderanno come mezzo eminente di potere), e anche l’uso di una forza pubblica, di un potere giudiziario ed esecutivo. Si può addirittura pensare a regolare la guerra, che vuol dire accettarla, o ad assumere i rapporti di dominazione e di servaggio, ma mai perché siano naturali. Al contrario, nello stato d’innocenza sarebbero stati impensabili e quindi pur ammettendoli vanno tenuti a bada, vanno usati con realismo. Per Aristotele lo schiavo è schiavo per natura, è stato fatto così, per un medievale no, anche se gli schiavi esistono e forse non possono non esistere. In fondo tutto questo discorso sullo stato d’innocenza è un discorso di realismo politico.
Quale concezione dello stato d’innocenza emerge dagli autori medievali?
Non c’è una sola concezione e nel libro si parla di molti autori, da Marsilio da Padova a Tolomeo da Lucca, da Alessandro di Hales a Egidio Romano e Wyclif, da Filmer a Suárez e molti altri.
Per esempio Tommaso d’Aquino non concorda con Agostino sull’esistenza concettuale di due nature umane, una precedente e una posteriore la caduta. Per Tommaso la natura umana è unica, quella voluta da Dio e data ad Adamo, ed è una natura sociale e politica fin dall’inizio. Se anche Adamo non fosse caduto ci sarebbe stata una comunità politica, gli esseri umani sarebbero stati diversi tra loro, avrebbero avuto necessità di qualcuno che li dirigesse, che coordinasse le legittime diversità di progetti, di capacità di interessi. Però non ci sarebbe stata violenza, coercizione, esercizio della forza. Non si tratta qui né di un eden anarchico, né di un’utopia innocua e convenzionale, ma al contrario di un’analisi della natura umana a partire da quello che è (ma che cos’è?).
Quello dello stato d’innocenza non può essere un modello univoco, altrimenti non avrebbe prodotto un dibattito filosofico così duraturo, non tutti gli autori hanno le stesse finalità e le stesse idee, dialogano a distanza o si scontrano anche ferocemente con altre posizioni. Qualcuno rischia anche di lasciarci la pelle, qualcun altro imbraccia le armi, i più si scontrano nelle aule e con i libri e quasi tutti provocano il potere in un modo o nell’altro. Non si capisce la realtà se non si capisce lo stato d’innocenza, sembrano dire tutti, che è come dire che stato di natura è un altro nome della realtà.