“Stato d’assedio. Assedianti e assediati dal Medioevo all’età moderna” di Duccio Balestracci

Stato d'assedio. Assedianti e assediati dal Medioevo all'età moderna, Duccio BalestracciStato d’assedio. Assedianti e assediati dal Medioevo all’età moderna
di Duccio Balestracci
il Mulino

«Ci sono soldati che salgono furiosamente con le scale brandendo spade; altri che difendono le mura; ci sono fiamme che si alzano; minacciose bocche da fuoco puntate le une contro le altre dai due versanti; ci sono gli occhi sbarrati dei cavalli nel mezzo della battaglia e i gesti imperiosi dei comandanti che ordinano l’assalto. È l’assedio, anzi: sono i suoi aspetti drammatici e drammatizzati che emergono dall’iconografia che narra un assedio. Sono le immagini che trovano riscontro in forma di scrittura nelle pagine della letteratura o nei memoriali dei testimoni: i momenti di gloria esibiti all’occhio dell’osservatore e del lettore.

Il resto è silenzio. Il resto manca e non è, di regola, nemmeno alluso.

E il resto che manca è ciò che c’è prima e dopo l’assedio e in parallelo alle gesta gloriose che entreranno nella storia. In poche parole: manca da capire come si può misurare lo shock (condizione valida per gli assediati quanto per gli assedianti) e come si riscrive la vita dopo la «catastrofe», materia che, in genere, nei libri è elusa o che a essi, tutt’al più, timidamente si affaccia appena. Impresa, questa di cercare di misurare il peso complessivo dell’assedio, quanto mai scivolosa e rischiosa perché troppe analogie sono solo apparentemente tali e troppe similitudini hanno un significato analogo, ma un significante diverso. Cosa che espone ai pericoli di astoricità e al sempre periglioso tentativo di evitare (o, almeno, evitare il più possibile) superfetazioni interpretative. […]

Nella forma attuale, l’assedio non ha certamente l’aspetto che ha avuto fino alla fine dell’Ottocento, quando, con Parigi 1870, si può forse dire di essere in presenza dell’ultimo grande assedio di tipo tradizionale. A Leningrado come a Sarajevo o a Falluja, invece, non ci sono eserciti che pazientemente circondano mura che devono essere difese. Tuttavia non si può fare a meno di notare che certi aspetti di assedi contemporanei hanno le stesse caratteristiche dei loro predecessori. Da qui il ricorso a una narrazione diacronica, che ha il fulcro fra il pieno Medioevo e l’età moderna, ma non disdegna di aprire spiragli in avanti e indietro nella periodizzazione e di fare incursioni su latitudini anche molto distanti fra loro, e che non rifugge dalla spericolata e azzardosa tentazione della citazione di stati d’animo millenari in episodi a noi molto vicini.

Nella nostra cultura, un assedio è un evento eccezionale. Per quelle di alcuni secoli fa, al contrario, l’evento-assedio è un – per così dire – rischio prevedibile in una società che fa i conti con la morte attraverso calcoli diversi da quelli che usiamo noi, ma non per questo meno drammatici, che, tuttavia, ci impongono cautela nell’uso dei metodi di misurazione (non semplificabili con i soli segni aritmetici + e –) di episodi di questo genere.

Già le testimonianze che utilizziamo, a questo fine, sono di natura eterogenea: quelle dirette («coeve») devono essere tutte severamente tarate in base al tempo e alla circostanza in cui sono state redatte, perché coeve, di fatto, non sono quasi mai e risentono molto spesso di una letterarizzazione e teatralizzazione dei fatti che rischiano di vanificare ogni onesto tentativo di interpretazione non precondizionata. […]

Provo ugualmente a correre, consapevolmente, questo rischio cercando non tanto di parlare dell’assedio come fatto d’armi (tematica sulla quale abbondano eccellenti studi che non meritano l’umiliazione di un ulteriore centone) quanto di suggerire possibili interpretazioni su come questo evento era vissuto, sulle tracce che poteva aver lasciato su chi ne era stato protagonista – vittima o vincitore –, e sui processi sociali ed economici che, anche a seguito di atteggiamenti mentali, un assedio inevitabilmente contribuisce sempre a riscrivere.

In conclusione: da stato d’assedio a stato da assedio.

Per farlo ho privilegiato in modo particolare alcuni assedi considerati, dalla storiografia, più importanti e significativi (o che sono meglio documentati e più raccontati), presi come altrettanti case studies. Così il lettore si troverà con una certa frequenza a Iotapata nel 67, a Gerusalemme nel 70 e poi di nuovo nel 1098-1099, ad Acri nel 1191, sotto e dentro le mura di Costantinopoli nel 1203-1204 e poi nel 1453. Guarderà gli assedi toscani di Firenze fra il 1529 e il 1530 e di Siena del 1554-1555, per poi seguire gli avvenimenti di Malta (1565) e di Famagosta (1570). Dopo, tornerà in continente, dove incontrerà alcuni dei tanti assedi subiti da Parigi e quello, devastante, di Sancerre del 1573. Sentirà ricordare più e più volte Vienna (1683), ma approderà con una certa frequenza anche a Torino nel 1706 e a Mantova nel 1796. E accanto a questi, ovviamente, ne incontrerà altri e altri ancora, in una (comunque, minuscola) campionatura delle migliaia e migliaia di eventi ossidionali, grandi e piccoli, che hanno punteggiato la storia, talmente comuni, talmente costanti da aver avuto, alla fine, bisogno di essere esorcizzati e domesticati in letteratura (e perfino nel gioco di affrontamento: il Castello d’amore trevigiano del 1214), nella forma del finto assedio portato alle grazie gentili di una fanciulla, sostituendo così gli strali del cuore ai verrettoni e ai proiettili delle bombarde.»

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