
L’italiano è una lingua fortemente maschilista, che assimila il genere femminile, concordando al maschile aggettivi e sostantivi ogni qual volta i generi siano diversi. Come discriminati sono i femminili professionali: avvocata, sindaca o architetta, ai quali viene negato il diritto di cittadinanza nella nostra lingua. È il genere umano stesso a essere di volta in volta indicato come «gli uomini» o «l’uomo», con una sineddoche di chiara impronta sessista. E via dicendo, attraverso una lunghissima catena di esempi.
Contribuiscono ad alimentare la cultura della discriminazione di genere anche pratiche più sottili, come il mansplaining, l’atteggiamento paternalistico di alcuni uomini che tendono a commentare o a spiegare a una donna quasi qualsiasi cosa.
Nel nostro Paese le donne vedono scomparire il loro cognome, fagocitato da quello dell’uomo, l’unico che si tramanda alla prole. Una società sessista, la nostra, che nega alle donne anche il più basilare dei diritti, quello alla parola, e le vuole dome e silenti. E così, contundente come un pugno sferrato con intenzione, è quel “Stai zitta!”, sui cui tristi episodi televisivi esordisce il libro.
Michela Murgia ha un’ambizione: che tra dieci anni una ragazza o un ragazzo, trovando il suo libro su una bancarella, possa sorridere pensando «che queste frasi non le dice più nessuno.»