“Sparta. Storia e rappresentazioni di una città greca” di Marcello Lupi

Prof. Marcello Lupi, Lei è autore del libro Sparta. Storia e rappresentazioni di una città greca edito da Carocci: il mito di Sparta ha attraversato, al pari di quello di Atene, i secoli. Quanto c’è di vero e quanto di leggendario in quello che tradizionalmente associamo alla città lacedemone?
Sparta. Storia e rappresentazioni di una città greca Marcello LupiLa difficoltà nella ricostruzione della storia spartana consiste, per una parte consistente, proprio nell’individuare quanto, fra le molteplici tradizioni che ci sono pervenute sui costumi e la storia di Sparta, sia realtà e quanto invece invenzione. Sparta, infatti, è stata oggetto di un processo di idealizzazione, soprattutto ad opera di quegli ambienti oligarchici greci che guardavano al suo sistema politico e sociale come un modello di riferimento. Andare al di là di questa rappresentazione idealizzante risulta estremamente difficile, ma è ciò verso cui si è indirizzata la ricerca degli ultimi decenni, con risultati, peraltro, non sempre condivisi. Che fare, per richiamare un celebre esempio, della notizia secondo cui a Sparta i neonati venivano esaminati alla nascita ed allevati solamente se giudicati robusti, o altrimenti eliminati? Una parte della critica recente è propensa a negare storicità a questo costume, ritenendolo espressione di una rappresentazione “totalitaria” di Sparta non corrispondente alla realtà. Ora, certamente l’immagine di una città totalitaria, che controllava strettamente la vita dei suoi cittadini, è un mito, ma questo non significa che tutte le testimonianze utilizzate per costruire questo mito siano da rigettare. Bisogna distinguere caso per caso. Personalmente, nel libro ripropongo la tesi espressa in una mia precedente pubblicazione, dove sostenevo che difficilmente si ricorreva ad un infanticidio di stato, ma la minaccia di ricorrervi era coerente con un sistema ideologico secondo il quale non sarebbero cresciuti robusti i figli nati da genitori che non erano nell’età del pieno vigore fisico. Il preteso infanticidio dei neonati era, a mio avviso, un incentivo affinché si procreasse nell’età del pieno vigore fisico.

Come si svilupparono le istituzioni politiche spartane?
Bisogna sottolineare, anzitutto, che si trattò di uno sviluppo precoce se messo a confronto con quello della maggioranza delle città greche. Sparta, in altri termini, venne a configurarsi come una comunità di cittadini dotata di strutture politiche formali nel corso dell’età arcaica, fra VII e VI secolo a.C. Si suole ravvisare la precocità di questo processo in un documento di età arcaica noto come “Grande rhetra” (il termine rhetra significa “legge”). In verità, si tratta di un documento di interpretazione assai controversa ed il cui valore credo sia stato enfatizzato più di quanto opportuno, al punto che non è non è mancato chi ha ritenuto la “Grande rhetra” la prima costituzione dell’Occidente! Ma è indubbio che il potere dei due re – la doppia regalità è una peculiare istituzione di Sparta –, così come quello del consiglio degli anziani e quello degli efori, i cinque magistrati eletti annualmente dai cittadini, venne a formalizzarsi relativamente presto, quando altre città greche erano ancora gestite da poteri più fluidi ed informali. C’è però un dato che bisogna tenere a mente: proprio perché sviluppatesi precocemente, le istituzioni politiche della città conservarono sempre una patina arcaica. Peraltro, si riteneva che esse fossero state introdotte dal legislatore Licurgo, una figura certamente mitica, ma giudicata tanto autorevole che gli era stato tributato un culto. Di conseguenza, le leggi attribuite a Licurgo non potevano essere modificate. Una delle maggiori difficoltà con cui si dovette confrontare la società spartana in età classica fu proprio la presenza di un sistema istituzionale ingessato e non in grado di adeguarsi al cambiamento dei tempi.

Come venne costruita l’egemonia della città?
La costruzione dell’egemonia attraversa diverse fasi. In primo luogo c’è, nel corso della prima età arcaica, la conquista della Messenia, che permise a Sparta di controllare direttamente un territorio di circa 8.000 km2: possono sembrare poca cosa, ma sono un’enormità se misurati rispetto all’ordine di grandezza del territorio delle singole città greche, consistente spesso in poche centinaia, se non in poche decine di km2. In conseguenza di ciò, i cittadini di Sparta divennero tutti dei proprietari fondiari in grado di dedicare il loro tempo all’esercizio delle armi, perché non impegnati nelle attività agricole assolte in loro vece dai servi, i cosiddetti iloti. Di seguito, gli Spartani passarono ad esercitare un controllo sull’intero Peloponneso, avvalendosi a questo fine di quello strumento che i moderni chiamano “lega del Peloponneso”: un’alleanza in cui la città egemone, e cioè Sparta, poteva condurre i suoi alleati in spedizioni militari dovunque essa volesse. A cementare questa lega c’era il legame ideologico tra Sparta e le élites oligarchiche delle città alleate, che vedevano nel sistema politico spartano un garante dei propri interessi. La forza dell’egemonia spartana era tale che quando nel 480 a.C. la Grecia venne invasa dalle armate persiane, nessuno fra quanti si unirono nella resistenza contro l’invasore mise in discussione che a guidare i Greci dovessero essere gli Spartani, nemmeno gli Ateniesi, che pure stavano attraversando in quegli anni una straordinaria fase di crescita. Il sacrificio del re Leonida alle Termopili poté legittimare il diritto spartano al comando, ma sta di fatto che dopo la vittoria sui Persiani Atene si affiancò a Sparta come potenza dominante nel mondo greco, così da creare quell’equilibrio bipolare che durò fino al termine della guerra del Peloponneso nel 404 a.C., quando, sconfitta Atene, Sparta si trovò brevemente a disporre dell’egemonia sia per terra che per mare.

Qual era la struttura economica spartana?
Era una struttura economica assai poco dinamica e quasi esclusivamente agraria. Come si è detto, i cittadini spartani erano proprietari fondiari, ma non è vero che tutti possedessero una eguale quantità di terra o addirittura che la terra fosse posseduta in comune. Quella dell’eguaglianza fondiaria è un’invenzione tarda, che è piaciuta molto, tra gli altri, a quei rivoluzionari francesi che a cavallo tra Settecento e Ottocento inneggiarono all’abolizione della proprietà privata. È un dato oramai riconosciuto, però, che la terra non fosse equamente divisa e che la diseguaglianza andò aumentando col tempo. I ricchi, peraltro, erano poco propensi a versare tributi per la propria città: le casse di Sparta, pertanto, erano sempre vuote pur a fronte di ricchezze private di origine agraria che potevano essere consistenti. Queste ricchezze, poi, trovavano il modo di essere esibite, ma non in patria, dove gli Spartani erano tenuti ad uno stile di vita sobrio, ma all’estero, soprattutto in occasione delle competizioni che avevano luogo nei grandi santuari panellenici.

Come era regolata la vita collettiva a Sparta?
Era regolata per mezzo della partecipazione obbligatoria ad alcune pratiche, pena la perdita della cittadinanza. In particolare, i giovani erano tenuti fino ai trent’anni a prendere parte all’educazione collettiva, e tutti, persino gli anziani, partecipavano quotidianamente ai pasti in comune, i cosiddetti sissizi. È in queste pratiche che si è voluta cogliere l’eccezionalità spartana, il suo essere un mondo a parte. Di nuovo, però, va ribadito che gli studi più recenti si sono sforzati di reinterpretare queste pratiche, non giudicandole più come il segno del controllo pervasivo della comunità statale sulla vita dei singoli cittadini e riconoscendo piuttosto il ruolo della famiglia e del privato nella vita sociale degli Spartiati.

Come tramontò Sparta?
L’egemonia che Sparta aveva conseguito a seguito della vittoria contro Atene si rivelò presto fragile. Nel giro di pochi decenni, infatti, il dominio spartano collassò. A proposito di questo collasso Aristotele scrisse che Sparta non fu in grado di resistere ad una sola sconfitta ed andò in rovina per mancanza di uomini. Aristotele si riferiva alla battaglia di Leuttra del 371 a.C., in cui i Tebani guidati da Epaminonda umiliarono gli Spartani: un evento che i contemporanei percepirono come epocale, tanto pareva incredibile che gli Spartani fossero stati sconfitti in una battaglia campale. Ma se bastò una sola sconfitta a mettere fine all’egemonia spartana, ciò poté avvenire, evidentemente, perché la crisi che attraversava la società spartana aveva raggiunto un punto di non ritorno. Di questa crisi la scarsità di uomini richiamata da Aristotele era il dato più evidente: dopo la sconfitta di Leuttra il corpo cittadino spartano – mi riferisco ai maschi adulti – non doveva essere di molto superiore al migliaio di individui. In questo contesto non si dava più la possibilità di esercitare una politica egemonica, tanto più che l’emergere verso la metà del IV secolo della Macedonia relegò Sparta in un ruolo sempre più marginale. Eppure, è proprio nel momento in cui la potenza spartana tramonta che il mito della città si cristallizza: Sparta esce di scena, ma la sua immagine di città austera, politicamente assennata, dedita alle armi ma non militarista, trionfa e passa dal mondo antico a quello moderno. Ed è questo che spiega l’interesse che ancora oggi suscita Sparta.

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