“Sovranità in vendita. Il finanziamento dei partiti italiani e l’influenza straniera” di Francesco Galietti

Sovranità in vendita. Il finanziamento dei partiti italiani e l’influenza straniera, Francesco GaliettiDott. Francesco Galietti, Lei è autore del libro Sovranità in vendita. Il finanziamento dei partiti italiani e l’influenza straniera edito da Guerini e Associati: quanto è profondo il rischio di eterodirezione della politica italiana?
Il rischio di eterodirezione è particolarmente forte perché il venir meno del finanziamento pubblico, ha accentuato la necessità dei partiti – perno dell’intero sistema politico italiano – di reperire fonti private di sostentamento. La crisi di popolarità dei partiti, poi, fa sì che, scarseggiando i finanziamenti domestici, vengano in rilievo i finanziatori esteri. Ma dell’agenda e degli interessi di questi ultimi è lecito diffidare.

Quale crisi attraversano i partiti politici nostrani?
È del tutto evidente che in questa fase storica proprio i partiti vivano una gravissima crisi di consenso. La tradizionale dialettica interna ai partiti ha lasciato il campo a forme di autentica egemonia da parte di oligarchie legate a un singolo leader, capace spesso di esercitare leadership e interpretare il ritmo senza soluzione di continuità dell’apparato massmediatico, eppure impossibilitato a cogliere i limiti di una gestione a senso unico. Non è un caso che, nelle rilevazioni dei sondaggisti, i leader forti in Italia si trovino per gradimento dietro ai tanto vituperati “tecnici” e – non di molto – davanti alle giubbe dei militari. Queste ultime, peraltro, pur rimanendo in una forchetta di gradimento «occidentale», riscuotono poi non poco successo specie se si opera un raffronto rispetto agli altri Paesi europei.Ai partiti, insomma, le cose vanno male. Nell’annuale studio di Demos & Pi dedicato alla fiducia nelle istituzioni si collocano per l’ennesima volta all’ultimo posto.Alla disaffezione degli italiani per i partiti si aggiunge lo smantellamento del sistema di finanziamento pubblico dei partiti. A lungo sopravvissuto sotto le insegne dei rimborsi, il finanziamento pubblico è in

Chi vuole condizionare l’Italia, come e perché?
Per i privati italiani – aziende e persone fisiche – l’opzione di supportare un partito e/o una fondazione di cultura politica si presenta complessa. Le ragioni possono essere diverse. Una potenza straniera, invece, non ha che da sguinzagliare le proprie aziende di Stato, o soggetti formalmente privati ma legati a filo doppio allo Stato e i loro numerosi fornitori, al grido di «andate e spendete». Lo spazio in cui dare corpo al disegno di condizionamento strategico è con ogni evidenza quello economico. Gli “indiziati” sono manco a dirlo i Paesi autoritari. Ad esempio, a Pechino questa consapevolezza si è fatta precetto, chiudendo qualsiasi spazio di ambiguità o speranza tra le anime belle occidentali. Lo indica con precisione millimetrica un comunicato stampa congiunto del Partito Comunista Cinese e del Consiglio di Stato cinese del 25 settembre 2017, appena pochi giorni prima del xix Congresso del Partito, che richiama il «patriottismo» come uno dei doveri degli imprenditori privati. Chi fa impresa in Cina è oggi tenuto a mettere in piedi degli organismi di collegamento con il Partito, istituzionalizzando in questa maniera un collegamento che in precedenza era invece più sfumato e meno chiaro al mondo esterno. Designati chiaramente come estensione della vis statuale, gli imprenditori cinesi sono ora ricondotti espressamente a uno status non differente da quello delle partecipate statali. A ciò si aggiunga che questo passaggio, che in Occidente verrebbe probabilmente vissuto come un depauperamento, una privazione di libertà e indipendenza inaccettabile, in Cina viene spesso accolto come un’opportunità unica di coltivare in maniera strutturata un rapporto con il motore di ogni attività: il Partito.

Quali formazioni politiche sono, a Suo avviso, più sensibili al rischio di condizionamento da parte di forze esterne?
L’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, operata dal decreto legge 149/2013 e applicata con una certa gradualità, è arrivata. Per certi versi si tratta della formalizzazione di una tendenza già in atto da anni. La politica, si sa, costa. Non è ben chiaro, a onore del vero, se esista una correlazione precisa tra l’organizzazione di un partito, la sua infrastrutturazione sul territorio e il fabbisogno di denaro. È lecito presumerlo, come pure ipotizzare che a costare di più siano i partiti con sezioni locali, movimenti giovanili e numerose attività per mantenere un presidio dell’elettorato. Se così fosse, a essere penalizzati sarebbero i partiti articolati secondo canoni tradizionali, come il PD e la Lega Nord. Non a caso il primo ha tenuto banco sui giornali per la contesa sul patrimonio degli ex DS, mentre la seconda è incappata in pesanti traversie giudiziarie per via di passate gestioni delle finanze di partito. Si tratta di problematiche che fino ad oggi non sembrano aver investito il Movimento Cinque Stelle, caratterizzato da una forte infrastruttura digitale e da notevole snellezza fisica. Si ritiene che questa combinazione si sia tradotta in minore necessità di denaro, anche se non sono certo mancate inchieste giornalistiche sulle bizzarre oscillazioni in politica estera del Movimento.

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