
Dopo una iniziale trattazione delle vicende relative alle sette Famiglie reali degli Emirati Arabi Uniti e delle altre Case reali del Golfo, particolare attenzione viene rivolta al mondo germanico, «dove la problematica della ereditarietà ed elettività dei troni è stata storicamente determinante». Viene così «approfondita la vicenda del massimo trono imperiale d’Europa, vale a dire quello del Sacro Romano Impero, per cercar di capire come, in una situazione di costituzionale elettività dello stesso, in realtà, gli Asburgo siano riusciti «ad imporsi come l’unica famiglia principesca, fra i cui membri i Principi elettori del Sacro Romano Impero “potevano” scegliere l’Imperatore. Non a caso, a partire da Alberto II (eletto nel 1438) e che fa propria la politica (e i possessi) dei Lussemburgo, estintisi con la morte dell’imperatore Sigismondo, sul trono imperiale siederanno esclusivamente degli Asburgo».
Il processo di definizione delle modalità attraverso le quali avveniva la designazione e l’elezione dell’Imperatore impiegò vari secoli a cristallizzarsi, a partire dal 936 allorché, alla morte di Enrico I l’Uccellatore, salì sul trono Ottone I. In tale processo acquisirono un peso via via crescente «gli Arcivescovi renani (del resto praefecti, in quanto Cancellieri dei tre Regni: Colonia per l’Italia, Treviri per la Burgundia e Magonza per la Germania e l’Impero).» Enrico VI, successore del Barbarossa, «cercò di riformare, mediante trattative anche con papa Celestino V il meccanismo della successione con la creazione di un collegio elettorale composto di un ugual numero di principi e di elettori, mantenendo peraltro come condizione necessaria l’appartenenza alla stirpe regale»
A partire dal 1257 iniziò «a formarsi, dapprima in via informale (ne parla una Bolla di Urbano IV del 1263), il Collegio dei Principi elettori», che venne poi regolamentato da Carlo IV con la Bolla d’Oro (1356). Egli «dette una Legge fondamentale all’Impero e soprattutto codificò il Collegio degli Elettori in sette componenti», vale a dire: i tre Elettori ecclesiastici (Arcivescovi di Treviri, Magonza e Colonia), il Duca di Sassonia, il Marchese del Brandeburgo, il Re di Boemia e il Conte palatino del Reno. Dal Collegio Elettorale vennero esclusi i Wittelsbach di Baviera e gli Asburgo. L’imperatore fissò anche una capitale permanente (Praga) «come base del governo imperiale dei Lussemburgo: […] fino ad allora l’Impero non aveva mai avuto una “capitale” nel senso di sede di accentramento stabile e continuativo di corte, uffici, strutture burocratiche».
La morte senza eredi di Sigismondo, nel 1437, «stabilizzò in modo definitivo la situazione dell’Impero da punto di vista della successione al trono»: il duca di Austria Alberto d’Asburgo nel 1422 aveva sposato la figlia di Sigismondo, Elisabetta, spianando la strada al trono imperiale: fu eletto dai Principi elettori come Alberto II il 18 marzo 1438.
«L’abile connubio fra vicende familiari, ideologie ereditarie, tradizioni imperiali, e manovre di potere operato dagli Asburgo surclassava ormai le possibili dinastie rivali. Nessuna Casata infatti poteva vantare una situazione così solida ed estesa. e gli Asburgo si presentavano come gli unici degni di essere Imperatori: lo “stato di necessità” nelle elezioni imperiali era ormai definitivo.»
L’elezione dell’imperatore andò avvolgendosi di un’aura sacrale: nella prima metà del ‘400, «la riunione del Collegio elettorale venne avvicinata a quella del Conclave che eleggeva il Papa. In fondo si trattava di eleggere il “capo delle cristianità”, e non a caso si iniziò a parlare di una riunione “in conclave” degli Elettori allorché si riunivano nell’apposita cappella nella Chiesa di San Bartolomeo a Francoforte.»
Nel 1511, l’imperatore Massimiliano accarezzò addirittura l’idea di poter essere eletto Papa. Giulio II era seriamente ammalato e lui non era sposato: l’ambizioso quanto ardito disegno politico, detto “del piano di papato imperiale” vedeva «Venezia, con cui l’imperatore si era riconciliato, e un partito romano guidato dal cardinale Adriano Castellesi, […] per motivi diversi sensibili alla teoria austriaca della convergenza dei due poteri: la nobiltà e il popolo di Roma non volevano né un Papa francese né un Papa spagnolo (del resto il successore di Giulio II fu quello che nessuno si aspettava: Giovanni dei Medici col nome di Leone X). I mezzi finanziari la cui ripartizione era assicurata da Mathaus Lang von Wellenburg, arcivescovo di Salisburgo, dovevano essere forniti dai Fugger, che li avrebbero anticipati sui fondi della loro banca di Roma, rafforzati a tale scopo da massicci trasferimenti: 300.000 ducati destinati ad ottenere il favore dei prelati romani e 200.000 per le spese della cerimonia (inclusa una seconda incoronazione imperiale).» Il progetto, come è noto, naufragò per la ferma opposizione del papa che convocò il concilio Lateranense V dichiarando scismatico il conciliabolo pisano.
Ancora, poi, sono esposte «le vicende dell’altra dinastia imperiale germanica, vale a dire quella degli Hohenzollern, che, dalla modesta posizione di Conti nella Germania meridionale, giunsero a divenire Principi del Sacro Romano Impero, poi Re di Prussia e infine Imperatori di Germania, titolo questo che venne conferito loro nel 1870, dopo la vittoria delle armi prussiane su quelle francesi di Napoleone III, nella Galleria degli Specchi di Versailles, con il consenso di tutti gli altri principi tedeschi.»