
Come si sono storicamente imposte logiche monosessuate di potere?
Le logiche monosessuate al maschile si sono imposte sempre con la violenza brutale. La risposta è semplice, ma non semplicistica. L’inclinazione delle donne alla non belligeranza e alla ricerca e al presidio della giustizia e della vita, è stata malintesa: gli uomini hanno creduto che fosse debolezza e sentimentalismo insulso. In realtà, sappiamo bene ormai, che il potere si costituisce violentemente, ma c’è violenza e violenza. Le logiche monosessuate al maschile, il cosiddetto “fallologocentrismo” oltre che imporsi con un atto di ingiustizia radicale, la negazione misogina dell’intelligenza femminile, si è imposto con la violenza brutale sui corpi delle donne e sulla loro segregazione al di fuori della politica e dei luoghi di cultura.
Come si manifesta l’autorità a radice femminile?
Ho scritto Sovrane. L’autorità femminile al governo per dare una risposta articolata, ma ancora incompleta, a questa domanda. Per entrare solamente in argomento, posso dire che l’autorità a radice femminile si manifesta con la forza di legame, con la cura della parola, con il prendersi cura di tutto ciò che vive, o che sta morendo per logica propria, con la testimonianza della priorità della violenza dell’amore rispetto a ogni altra violenza, con la capacità di riconoscere e rispettare l’alterità, con il desiderio di mettere al mondo ancora, nonostante tutto, vite umane.
Insomma l’autorità a radice femminile è generativa e conservativa della vita in tutte le sue forme, materiali, spirituali, psichiche. Speriamo che gli uomini trovino presto un limite alla loro invidia dell’autorità generativa femminile da loro intesa solo letteralmente come capacità di partorire fisiologicamente.
Nel Suo libro Lei racconta alcune figure storiche di donne, lontane e diversissime tra loro, da Elisabetta I d’Inghilterra a Cristina di Svezia fino a Carla Lonzi e Anna Maria Ortese: perché le ha scelte?
Ciascuna delle figure storiche di donne su cui mi soffermo brevemente nel libro, le ho scelte per la loro genialità differente di cui ci è rimasta documentazione scritta, ancora da rileggere con lenti impreviste dalla tradizione misogina d’accademia. Sono donne che hanno saputo avvantaggiarsi del fatto di essere donne, dunque di essere storicamente fuori dalle tradizioni maschili, comprese quelle culturali, non solo quelle di potere. E hanno potuto così creare nuove politiche di governo del tutto impreviste e differenti, nuove pratiche filosofiche, nuove pratiche politiche. Non sono poi così diverse tra loro almeno su un punto: sanno rinunciare al potere, non ne sono sedotte, sono libere, sono spiritualmente e mentalmente potentissime senza dover appoggiarsi al potere costituito. Cristina di Svezia lascia il trono, Carla Lonzi se ne va dall’università e anche dalla brillante carriera di critica d’arte, Anna Maria Ortese poi… non aveva neanche da sopravvivere. Ma perfino Elisabetta I d’Inghilterra si è fatta “vergine” ricoprendo il volto di biacca bianca per rendere simbolicamente intangibile e impersonale la sua posizione regale. Nel libro racconto anche, con l’aiuto degli studi inarrivabili di Benedetta Craveri, come le Preziose salottiere della Francia dell’Ancien Régime siano riuscite a governare, per un certo periodo, senza avere uno straccio di posizione di potere costituito.
Ho tratto lezione dalle vicende di queste donne di genio non considerandole donne eccezionali, ma anzi come donne che fortunatamente hanno potuto “passare alla storia”, mostrando di cosa è capace l’eccellenza femminile diffusa tra le mie simili.
“Il meglio è accaduto a Brescia e a Ostiglia”, sono le parole con cui chiude il Suo libro: quale lezione per il futuro dalle vicende delle operaie tessili di Manerbio e di Graziella Borsatti?
Il libro è uscito alla fine di luglio di quest’anno in edizione aggiornata e accresciuta, per cui non si chiude più con le parole citate nella domanda, ma con un nuovo capitolo che si intitola “Donne e popolo”, in cui lavoro sull’intrecciarsi contemporaneo di due rivoluzioni in corso: una pericolosa, il populismo, e una benefica e benevola, quella delle donne in tutto il mondo, il cui destino, a mio parere, è fortemente intrecciato con le vicende di quella presenza storica che viene chiamata “popolo”.
Comunque la domanda mantiene la sua importanza: perché le vicende delle operaie tessili di Manerbio (che hanno inventato pratiche di contrattazione al di fuori della rappresentanza sindacale) e quelle della sindaca di un piccolo paese del mantovano (in cui si è sperimentato un modo di governare comunitario) dimostrano la verità di quello che sostengo nella risposta precedente. Le geniali pratiche politiche delle donne nella storia non sono appannaggio solo di figure “eccezionali”, ma anche di donne del popolo, di donne non intellettuali di professione, di donne non necessariamente ricche e famose. È evidente che è la differenza femminile, quando è radicata e praticata, sa essere eccellente. Le invenzioni politiche della ex sindaca di Ostiglia, e delle operaie tessili di Manerbio, hanno già fatto storia e hanno già un futuro nell’oggi: sindache come Ada Colau a Barcellona, donne di governo statale come Angela Merkel, imprenditrici, scienziate, filosofe ecc. stanno portando avanti il testimone della possibilità concreta di un cambio di civiltà, quanto mai urgente nella deriva brutale in cui la civiltà post patriarcale sta trascinando il mondo.