“South Working. Per un futuro sostenibile del lavoro agile in Italia” a cura di Elena Militello e Mario Mirabile

Dott.ri Elena Militello e Mario Mirabile, Voi avete curato l’edizione del libro South Working. Per un futuro sostenibile del lavoro agile in Italia pubblicato da Donzelli. Lo smart working, complice anche la pandemia, ha ormai conosciuto un’enorme diffusione: cosa ha significato, tale fenomeno, per molti lavoratori meridionali?
South Working. Per un futuro sostenibile del lavoro agile in Italia, Elena Militello, Mario MirabileSulla base delle analisi che abbiamo condotto, il fenomeno più ampio noto come “smart working” o, con terminologia più corretta, il telelavoro emergenziale ha presto mostrato significative criticità, tra cui: il mantenimento di un equilibrio tra vita privata e vita lavorativa, l’eccessivo carico lavorativo e altri aspetti significativi. Ma il buon lavoro è sinonimo di equità, che è anche una questione di spazio e di accesso alle infrastrutture. In tale senso, nel nostro Paese c’è chi ha potuto lavorare avendo una connessione rapida e sicura, e chi ha dovuto gestire complesse situazioni familiari, condividendo dispositivi e spazi domestici.

Immaginare un futuro sostenibile del lavoro agile significa, però, trovare soluzioni atte a risolvere o a mitigare tali criticità, come abbiamo voluto iniziare a fare tramite questo libro. Noi siamo convinti che il South Working® abbia anche questo scopo. Ad esempio, sulla base delle indagini che abbiamo condotto, tra le principali ragioni che porterebbero i lavoratori impiegati al Centro-Nord e all’estero a lavorare agilmente dal Sud e dalle aree marginali italiane ci sarebbe proprio la percezione di una migliore qualità della vita. Cambiare città per lavorare da remoto è una scelta importante che inevitabilmente sottintende l’adozione di un diverso stile di vita. I primi studi dimostrano sia un aumento della produttività, che del benessere generale dei lavoratori e delle lavoratrici. South Working®, allo stesso tempo, ha significato la possibilità per i lavoratori di ritorno di ricreare i legami sociali persi o allentati dopo anni passati al Nord o all’estero, come anche la possibilità di investire nel proprio territorio attraverso la creazione di nuove imprese, associazioni e mettendo le proprie competenze a disposizione della comunità locale, generalmente afflitta da spopolamento, depauperamento e depressione socio-economica. Il potenziale di questo capitale umano di ritorno è incredibilmente elevato e capace di portare un vero cambiamento nei nostri territori.

Quali dimensioni ha assunto il fenomeno South Working?
L’indagine condotta nell’autunno 2020 da Datamining per SVIMEZ in collaborazione con South Working quantifica 45.000 lavoratori delle grandi aziende del Nord che dall’inizio della pandemia lavorano in smart working dal Sud. Un’indagine condotta su un campione di 150 grandi imprese, con oltre 250 dipendenti, operanti in diverse aree del Centro Nord nei settori manifatturiero e dei servizi. Se si considerano anche le piccole e medie imprese, con oltre 10 dipendenti, la stima mostra che il fenomeno ha coinvolto circa 100.000 lavoratori del Sud durante il primo lockdown. Più recentemente, i risultati di un sondaggio condotto dall’Associazione Italiana per la Direzione del Personale (AIDP) ha dimostrato un risultato molto promettente per il futuro del fenomeno. Il South Working negli ultimi 24 mesi ha riguardato il 27% delle aziende. Dopo il 30 giugno il 15% avrebbe consentito ai dipendenti originari delle regioni del Mezzogiorno di continuare il lavoro in south working a fronte del 58% delle aziende che ha espresso un parere contrario. Il 28%, invece, ci sta ancora pensando. Queste stime saranno da rivedere alla luce dell’ulteriore proroga alla modalità semplificata di comunicazione dello smart working nel settore privato. La data, infatti, è stata recentemente spostata dal 30 giugno al 31 agosto.

Anche lavoratori non originari del Sud Italia hanno approfittato dello smart working per trasferirsi in quei luoghi: quali vantaggi offre il South Working?
Effettivamente sono tanti i lavoratori e le lavoratrici che hanno la possibilità di accedere a questa modalità, soprattutto se facciamo riferimento alla definizione di South Working che include non solo i territori del Sud geografico dell’Italia, ma anche di tutti i territori marginali. In questo quadro ancora così complesso da decifrare è possibile comprendere i benefici del South Working® rispettivamente per i lavoratori, le imprese e i territori.

Per quanto riguarda la prima categoria, i lavoratori non devono affrontare i costi di vista in zone tipicamente più care rispetto a quelle di origine. Inoltre, possono in linea di massima contare sul supporto che la rete dei famigliari e degli amici può fornire. Il South Working rappresenta, inoltre, la possibilità per una maggiore qualità della vita e un maggiore equilibrio vita privata-lavoro.

Le imprese godono di importanti benefici derivanti dal South Working: incremento di produttività, miglioramento delle competenze digitali dei lavoratori e della loro motivazione, riduzione degli straordinari e dei fenomeni di assenteismo (per le PA), ottimizzazione dei costi, riflessi sulla reputation e sulla responsabilità sociale d’impresa, maggiore flessibilità nella gestione degli orari di lavoro, riduzione dei costi fissi delle sedi fisiche, maggiore motivazione da parte dei lavoratori, riduzione dei costi accessori del lavoro e la possibilità dell’azienda di ridurre gli oneri per immobili strumentali.

In che modo lavorare dal Sud rappresenta un’opportunità non solo per i singoli lavoratori ma anche per le comunità?
La peculiarità della nostra proposta come movimento culturale associazione “South Working-Lavorare dal Sud®” rispetto a realtà già esistenti prima della pandemia come il nomadismo digitale è che tutto il lavoro svolto è finalizzato al miglioramento della coesione economica, sociale e territoriale. Lo spostamento del capitale umano in South Working porta un immediato beneficio all’economia locale grazie all’iniezione di liquidità derivante dalla maggiore capacità di acquisto e consumo da parte di queste lavoratrici e questi lavoratori high-skilled. Inoltre, ancora più importante sarebbe il beneficio prolungato che il permanere di questi soggetti sul territorio potrebbe apportare in termini di investimenti, nonché di pretesa, da parte del pubblico, di servizi migliori e più efficienti, con la creazione di un ecosistema stimolante in un dialogo tra competenze ed esperienze raccolte altrove. I lavoratori trasferitisi al Sud stanno spendendo, in parte, i loro salari nei territori di destinazione. Un beneficio sicuramente non da sottovalutare. Ciò implica immediata iniezione di liquidità nell’economia per il miglioramento dell’intero ecosistema, con l’idea che la creazione di una massa critica organizzata a livello locale possa dare risposte nuove a problemi storicamente radicati. Le persone che arrivano nei territori in cui hanno scelto di vivere spendono il loro tempo, sulla base di un principio di volontarietà, nel costituire nuove imprese e nel mettere a disposizione delle comunità locali le competenze necessarie a un empowerment degli individui e delle comunità.

Infine, gli interventi di trasformazione, riqualificazione, valorizzazione attraverso il progetto South Working® hanno coinvolto spazi pubblici e privati, aggregati in una “Rete per il South Working”. Tali spazi vengono ripensati insieme alle comunità locali nuove e preesistenti sulla base dei loro bisogni. Le trasformazioni riguardano le infrastrutture digitali, l’organizzazione degli spazi e la loro gestione. In particolare, nel quadro dell’Agenda 2030, il progetto mira a utilizzare spazi dismessi o sottoutilizzati per svolgere attività di aggregazione sociale e infrastrutturazione sociale, trasformandoli in “presidi di comunità”. Tali spazi vengono riutilizzati dalle comunità locali, grazie al supporto di South Working®, delle amministrazioni locali e delle comunità territoriali, con l’obiettivo di lavorare da questi luoghi in maniera condivisa. L’associazione, infine, fornisce indicazioni specifiche e dettagliate sulle forme di organizzazione dei presidi e di prenotazione delle postazioni, tramite un vademecum.

Quali sono le attività dell’associazione?
L’associazione South Working® si basa su tre pilastri, strettamente interconnessi tra loro: il primo è un lavoro costante di advocacy, che significa dialogare costantemente con una pluralità di attori per portare un cambiamento all’interno delle istituzioni; questa prima azione è collegata con il secondo pilastro, l’osservatorio, per studiare il fenomeno del lavoro agile e i temi ad esso associati in profondità, con un forte approccio interculturale grazie a ricerca accademiche, tesi di laurea e pubblicazioni; il terzo pilastro, ma non per importanza, è volto a creare reti e progetti di sviluppo sostenibile tra i soggetti coinvolti.

Nel breve termine siamo partiti aumentando la consapevolezza delle possibilità che può offrire il South Working per tutti coloro che possono lavorare a distanza e dell’esistenza di contratti di lavoro strutturati in questo modo. Per questo siamo partiti con l’Osservatorio con ricerche statistico-sociologiche sui numeri potenzialmente coinvolti, inizialmente tramite un questionario rivolto ai lavoratori che sta già circolando con ampia diffusione, poi anche raccogliendo contributi di potenziali interessati e raccontando storie di migrazioni intellettuali e infine con la pubblicazione di questo volume interdisciplinare; la collaborazione con le imprese; il rapporto dei South Worker con i territori e le comunità di destinazione, anche tramite la creazione di una rete tra i coworking esistenti per evitare le sensazioni di isolamento che hanno caratterizzato il telelavoro emergenziale durante il lockdown.

Nel medio termine vogliamo stimolare una collaborazione strutturata tra i vari soggetti interessati e tra i vari livelli di governo per agevolare chi decide di iniziare a lavorare in modalità “south working” (ad esempio, puntando al miglioramento delle infrastrutture digitali necessarie a un lavoro sicuro ed efficiente; partecipando a bandi che promuovano la coesione territoriale, la partecipazione, la collaborazione e la socialità).

Nel lungo periodo, la nostra missione è contribuire a creare una maggiore flessibilità per una vasta gamma di lavoratrici e lavoratori, anche a livello intraeuropeo, che potranno approfittare delle reti di soggetti già esistenti per una maggiore mobilità, una maggiore qualità della vita, una maggiore vicinanza alle proprie reti sociali (rammentando che il Sud rimane un concetto relativo).

In che modo il South Working può contribuire alla rinascita del Sud Italia?
South Working® non è solo un modo diverso di parlare di telelavoro ma può rappresentare un vero e proprio volano per i territori marginalizzati; concentrandosi molto sul concetto di “presidi di comunità”, intesi come punti di scambio di competenze e dialogo non solo tra i south workers stessi ma anche soprattutto con la comunità, dove i South Worker hanno restituito alla comunità il sapere maturato durante i periodi di studio e di lavoro al Nord o all’estero Le politiche su cui tradizionalmente si sono basati i tentativi di colmare il divario territoriale tra le regioni più e meno sviluppate sono state incentrate su una successione teorica tra il miglioramento di servizi e infrastrutture, gli incentivi agli investimenti delle imprese al Sud e poi l’assunzione di lavoratori. Tuttavia, non essendosi realizzati gli auspicati miglioramenti in relazione ai servizi e alle infrastrutture, gli incentivi annunciati per le aziende non sono stati sufficienti ad attrarre investimenti reali e duraturi. L’idea di South Working è di invertire questo tradizionale modo di procedere, spostando immediatamente per alcuni periodi, almeno settimanali, alcuni lavoratori che lo desiderano al Sud, iniettando liquidità nell’economia, tramite i consumi nel breve termine e anche gli investimenti nel medio termine, stimolando anche l’intero ecosistema all’ideazione di nuove risposte ai problemi storicamente percepiti.

Con South Working vogliamo ripensare le dinamiche occupazionali, consentendo un ampliamento sostanziale dell’offerta lavorativa nel Mezzogiorno con prospettive non più vincolate allo spostamento fisico, ma integrando modalità di lavoro agile che possano soddisfare le necessità aziendali e alti standard di benessere del dipendente.

Per coloro in cerca di occupazione, si riscontra la necessità di nuovi stimoli e nuove esigenze che, abbinate a competenze digitali solide, possano tradursi in lavoro agile. Crediamo che questa possa essere una modalità capace di contribuire alla mitigazione degli effetti indesiderati derivanti dai flussi di ‘emigrazione forzata’ dal Sud al Nord, rilanciando, quindi, sia le prospettive di lavoro dal Sud Italia, quanto il tessuto economico locale.

Per i giovani lavoratori “emigrati” che si sono allontanati da casa per necessità o per trovare una soluzione lavorativa che potesse garantire migliori condizioni di vita, ma anche più semplicemente per i lavoratori che vogliano spostarsi altrove per vivere, vogliamo concretizzare la possibilità di ristabilire un ”work-life balance” sostenibile.

Il modello che abbiamo sviluppato dal basso, con la nostra community, a due anni dalla sua nascita, si sta dimostrando più efficace di tanti tentativi arrivati dall’alto, non nascondendo anche le criticità e le difficoltà affrontate, diventando una risorsa di cui quei territorio non possono più fare a meno come leva di trasformazione e di innovazione.

Mario Mirabile, analista e studioso dei fenomeni sociali e tecno-geografici, ed Elena Militello, giurista, entrambi palermitani di origine, sono i fondatori dell’associazione South Working – Lavorare dal Sud (www.southworking.org), nata a marzo 2020 con l’obiettivo di mettere a frutto le idee e le esperienze di chi è riuscito a tornare nei propri comuni d’origine e colmare il divario economico, sociale e territoriale tra Nord e Sud, tra aree industrializzate e marginalizzate del paese.

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