
Dopo lunga riflessione, sono arrivata a considerare la sorellanza come la relazione fondativa della singolarità, e della soggettività, femminile, come la forma di un suo amoroso “sdoppiamento” ovvero di una sua necessaria alterità. Poiché, a ben vedere, da sempre e a molti livelli una donna tende a presentarsi in compagnia di almeno un’altra, ad agire e a pensare di concerto con lei, riconoscendovi inscritta la dimensione collettiva che la mette al mondo. La sorellanza insomma è una forma che modella così costantemente e così a fondo la materia della vita femminile da lasciarsi individuare quale vera e propria categoria del pensiero e dell’esperienza di questa parte di umanità, vera e propria “costante” dell’essere al mondo delle donne.
Preciso quindi da subito che non faccio distinzione fra sorellanza biologica e simbolica, ovvero che riconduco a una le due distinte dimensioni. Poiché per fare esperienza di un’autentica sorellanza occorre che le sorelle di sangue si riconoscano e si scelgano come tali, non bastando il dato di essere nate da una stessa madre; mentre per contro ci si può riconoscere e scegliere come sorelle pur senza essere consanguinee: assumendo il tratto che è dato in concessione al legame sororale come quello che orienta ogni altra relazione, e sul quale si impernia l’immenso accadere della relazione fra donne.
Per indicare quindi in che cosa di fatto la sorellanza consista, direi – ereditando per l’appunto qualcosa del pensiero di un’altra – che si tratta di far valere un comune patrimonio di pensiero, di affetti e di linguaggio, il quale supporti e favorisca il divenire di ciascuna; di situarsi in una relazione nella quale ciascuna testimoni della vita dell’altra, facendone memoria, facendone storia, e salvandola dall’oblio; di riconoscersi in un passato comune nonché, per l’umanità femminile, svantaggiato e drammatico così come in un presente – un progetto, un sapere, un ideale, un amore – fiduciosamente partecipato e condiviso, lanciato verso il futuro delle donne che verranno e che ognuna a suo tempo ha desiderato per sé.
In che modo la sorellanza ha permesso l’accesso femminile alla vita activa?
Come certificano i testi che ho reperito e studiato, da sempre, per una donna, “sorella” è colei che l’accompagna o la precede sul percorso della conoscenza, che la incoraggia col suo esempio all’esercizio della mente e alla presa di parola pubblica, che la percepisce e la accoglie come significativa altra da sé entro lo spazio sociale e vitale di «comparizione», o dell’apparire insieme, il quale garantisce di ciascuna come cittadina e le dà compiutezza in quanto essere umano. È questo, a mio avviso, uno dei nodi più importanti del discorso e della vicenda stessa della sorellanza. Fin dalle origini della storia letteraria, infatti, le donne percepiscono, riconoscono e onorano la presenza dell’altra, o di altre, sulla scena pubblica; spendono in suo/loro nome parole di ammirazione e di lode (fondando l’istituto, tutt’uno col genere letterario, dell’elogio da donna a donna); rafforzano nei suoi/loro riguardi la pubblica stima, e nei casi migliori propiziano la sua/loro gloria, sapendo che ne va allo stesso tempo di sé: dal momento che agisce fra donne il meccanismo di un rispecchiamento rafforzante, tale per cui nelle occasioni e nelle opportunità di un’altra ciascuna riconosce le proprie, e si sente incoraggiata a perseverare nella fatica, così come nel desiderio, di esistere nella pienezza delle proprie possibilità.
Hannah Arendt, con la complicità del verbo Scheinen che nella sua lingua sta per “apparire” così come per “risplendere”, parla dello spazio pubblico – quello della citata «comparizione», dove esistiamo solo se qualcuno ci vede e testimonia di noi – come dello spazio che conferisce “splendore” all’essere umano, servendo su un piatto d’argento a chi come me si occupa di sorellanza una meravigliosa possibilità di significarla. Io parlo infatti delle sorelle come di “compagne di splendore”, dato che insieme esse si fanno strada e si affermano sulla scena pubblica e contemporaneamente, o contestualmente, vi “risplendono”, essendo data loro (ed essendosi loro date) la possibilità di esprimere pienamente i propri talenti. La sorellanza dunque, per come l’ho vista e la discuto, mi è apparsa come la dimensione forse in assoluto più intimamente aderente al progetto di una condizione positiva del soggetto femminile, quella che maggiormente lo rende competente nello stare al mondo con profitto (partecipando appunto, con le azioni e le parole, alla “vita activa”) e nell’assecondare l’intensità dell’esistenza.
Quando ha inizio la vicenda della sorellanza nella letteratura italiana?
Si potrebbe rispondere che ha inizio con i suoi stessi inizi, come se fosse là da sempre. Con la sororitas di Chiara d’Assisi, corrispettiva della fraternitas di Francesco. Con Dante che a Chiara riconosce l’«alto merto» della fondazione dell’ordine (sororale) delle Clarisse e che nello stesso canto (il terzo del Paradiso) rende onore a Piccarda Donati come modello di sorellanza celeste. Con Boccaccio, che narra di sorelle secondo moduli e schemi narrativi destinati a trasmettersi in tutta la successiva tradizione novellistica. Ma soprattutto, per come la intendo io, nel tardo Trecento e nella prima età umanistica, quando sono le donne ad affacciarsi finalmente sulla scena letteraria e immediatamente, o quasi, si accorgono di non essere sole, di essere già un “gruppo” (come abbiamo imparato a dire da Dionisotti), o almeno una “nidiatella” (come senza troppo rispetto si esprimeva Carducci), e in ogni caso in numero sufficiente per attivare il meccanismo del rispecchiamento rafforzante di cui dicevo in precedenza, e dare origine a un’altra storia.
Come si sviluppa la storia letteraria della sorellanza, dal Rinascimento al Novecento?
Nel Rinascimento, quando per varie ragioni le donne “fanno gruppo” in proporzioni così massicce ed esorbitanti che non è più possibile farle recedere (eppure recederanno – almeno in apparenza – con la Controriforma…), si situa la svolta, poiché è il momento in cui culmina e viene pienamente in luce quella tradizione dell’elogio da donna a donna che sappiamo già attestata fra fine Trecento e inizio Quattrocento. Va detto peraltro che da sempre, e non solo nella letteratura italiana, la sorellanza è una relazione della quale è stata vista e messa in valore la forza; non occorrerà nominare tutti i grandi «poeti delle sorelle» (primo fra tutti Sofocle) per rendersene conto. Sono state le scrittrici, tuttavia, a volgere l’esperienza della sorellanza pienamente a favore del proprio genere, cogliendo in essa la possibilità non solo di addolcire una situazione penosa, come a lungo si è verificato e talvolta ancora si verifica, ma di incrementare la positività e l’intensità dell’esistenza tutta. È il mutamento che registro nel passaggio da «sorelle di pena» a «compagne di splendore», divenuto sensibile a partire per l’appunto dal Rinascimento, e che dopo un protratto avvicendarsi di sorellanze tragiche di cui Antigone e Ismene (ma nondimeno Didone e Anna, e Progne e Filomena) sono divenute l’icona, segna l’avvento di quella che nomino come «sorellanza felice».
A quali esiti ha condotto, nel presente, la sorellanza?
Ricorderei innanzitutto che “sorellanza” è esattamente il nome scelto per il sistema di relazioni posto dal femminismo in radicale alternativa al patriarcato, dunque per quella forma di presenza nel mondo in grado di aggirare e di debellare i principali modelli ivi vigenti di gerarchia e di dominio. Sorellanza ha significato pertanto, a partire dagli anni Sessanta, la solidarietà orizzontale – e universale, o «cosmica» addirittura – delle donne nel riconoscimento dell’oppressione, in una con quel formidabile «noi contro il non essere» (è un’espressione della filosofa Mary Daly) che hanno saputo pronunciare e con l’ondata di vita nuova, piena di allegrezza e di speranza, che hanno generato a partire dal loro secolare nulla di esistenza. Perciò è importante esplorare la sussistenza del significato politico della parola sorellanza, e le possibilità progettuali, creative e affettive che ancora perdurano di questa «famiglia senza precedenti» che è la sorellanza femminista.
Relazione fondativa, dalla quale la vita eredita molto e in cui si fonda ogni legame sociale fra donne, non ignoro tuttavia che la sorellanza per ciò stesso non manca, come è noto, di annoverare nella sua storia anche esempi in negativo, non conformi alla direttrice interpretativa da me privilegiata e restitutivi del suo rovescio, non di rado incandescente, di conflitti e rivalità. Ma se la portata e il significato di questi esempi ci interpellano, e continueranno ad essere oggetto di impegno e di riflessione, tuttavia nella mia ricerca io li ho volutamente tralasciati a favore di una inquadratura nettamente affermativa della sorellanza stessa, di cui mi è parso più urgente mettere in evidenza l’intima adesione al suddetto progetto di una condizione positiva del soggetto femminile.
Valorizzare la sorellanza come occasione, e renderle onore per questo, è quanto ho desiderato fare, indicandone sostanzialmente il nucleo più vitale: quello che promuove e garantisce condivisione, comunanza e solidarietà – di/in una storia, un progetto, un fare, un sentire -, che promuove le relazioni fra donne al loro grado più promettente e che permette di tracciare una linea continua, attraverso i secoli, fra tutte le donne “militanti” in nome di un’esistenza piena, autorevole e libera.
Monica Farnetti è professoressa ordinaria di Letteratura italiana all’Università di Sassari. Socia dall’origine della Società Italiana delle Letterate, è assidua frequentatrice della scrittura delle donne, cui ha dedicato numerose monografie fra le quali Il centro della cattedrale (Tre Lune 2002) e Tutte signore di mio gusto (La Tartaruga 2008). Editrice delle opere di Cristina Campo e di Anna Maria Ortese per Adelphi, e di Lettera aperta di Goliarda Sapienza per Einaudi, ha pubblicato studi su autori e autrici antichi e moderni ed edizioni di rimatrici (Gaspara Stampa) ed epistolografe (Maria Savorgnan) del Rinascimento. Recente il volume, a cura sua e di Giuliana Ortu, L’eredità di Antigone. Sorelle e sorellanza nelle letterature, nelle arti, nel teatro e nella politica (Cesati 2019), esito di un suo progetto quinquennale e di una appassionata ricerca di équipe.