
Differenza e identità costituiscono le dimensioni simboliche – e retoriche – con cui, soprattutto nella modernità occidentale, si costruisce lo spazio del sociale, dell’appartenenza, dell’inclusione e dell’esclusione. Definiscono i confini che distinguono tra Noi e Loro, definendo in questo modo le aspettative e le regole che si applicano a chi è considerato parte del gruppo e chi invece ne è estraneo. La distinzione tra chi è ‘uguale’ e chi è ‘diverso’ riveste inoltre un carattere morale: le entità così definite assumono valore diverso che rende legittima l’assunzione di comportamenti e l’attribuzione di diritti differenziati.
Identità e differenza sono in stretta relazione reciproca: parlare dell’Altro è sempre un modo per affermare ciò che caratterizza – per differenza – il Noi. Entrambe sono relazionali, assumono pieno significato nella relazione che le lega. Nessuno è straniero in assoluto, per ‘natura’, né lo è in ogni situazione. Si è stranieri quando ci si considera o si è considerati diversi da qualcun altro. In questo senso identità e differenza sono modi di guardare al mondo, piuttosto che realtà del mondo.
Gli attuali processi di globalizzazione hanno un effetto paradossale sul modo in cui identità e differenza vengono concepite. Da un lato, promuovono l’idea di una progressiva omologazione, una riduzione delle differenze e delle identità collettive; dall’altro, identità e differenza divengono elementi necessari e irrinunciabili per la costruzione di un self autonomo, capace di essere riconosciuto e apprezzato per la sua particolarità. Le diversità culturali divengono evidenti e pervasive ma, contemporaneamente, la differenza dell’Altro viene sempre più percepita come una potenziale minaccia all’esistenza del Noi. La differenza – come l’ansia per la propria identità – è ovunque, nessuno intende rinunciare alla propria differenza/identità, ma l’attribuzione esterna di una differenza/identità negativa diviene sempre più motivo per politiche di chiusura, campagne nazionaliste e sovraniste, legittimazione di differenziazione nel riconoscimento dei diritti.
In che modo avviene la costruzione sociale dell’alterità culturale?
Differenza e identità vengono spesso considerate come dati naturali, qualcosa che le persone ‘hanno’, che possiedono, un’essenza che li distingue e orienta i loro comportamenti. Mi sembra invece utile guardare al carattere socialmente costruito della differenza culturale, guardare alla differenza come qualcosa che le persone ‘fanno’. Piuttosto che focalizzarsi sulle forme e i contenuti della differenza, è utile osservare come la differenza viene utilizzata, da chi, in quali contesti, con quali fini e con quali risultati. É privilegiando le domande relative alla costruzione sociale della differenza culturale che si comprendono meglio i dibattiti, nelle società occidentali, relativi a razzismo, etnicità e società multiculturali.
La differenza culturale non è un ‘oggetto’ con confini ben definiti, tutti gli individui e tutti i gruppi umani hanno caratteristiche comuni come tratti distintivi. La differenza culturale non è data da contenuti fissi: lingua, colore della pelle o altri tratti somatici, abitudini alimentari, riti, credenze religiose, modi di abbigliarsi o di fare famiglia e molto altro ancora possono diventare marcatori di differenza culturale così come essere ignorati. E il loro essere considerati rilevanti o indifferenti si modifica nel tempo, nelle diverse situazioni, nell’intreccio con altri fattori (età, genere, posizione sociale, istruzione, notorietà …).
Per questo è importante considerare identità e differenza non come dati naturali ma come costruzioni sociali, effetto di relazioni, di specifici rapporti di forza, linguaggi e pratiche. Identità e differenza sono uno dei modi attraverso cui cerchiamo – nelle nostre relazioni – di dare senso e ordine alla nostra esperienza. Senso che risulta tanto più stabile ed efficace quanto più le nostre costruzioni si presentano come senso comune, dato-per-scontato, oggettive, ‘naturali’.
Quali motivazioni sono alla base del razzismo?
Il razzismo è un fenomeno sociale totale, sfaccettato e mutevole. Questo significa che non ha una sola causa né si manifesta in forme sempre identiche. Come era solito osservare Malcolm X, “il razzismo è come la Cadillac, ogni anno ne esce un nuovo modello”. In generale, penso sia utile parlare di razzismo per riferirsi alla creazione, da parte del gruppo dominante, di una differenza permanente e generalizzata tra Noi e Loro, dovuta al fatto di appartenere a gruppi presunti diversi per fattori biologici, di discendenza, storia o tradizioni, che crea una differenza morale (per cui Noi siamo meglio di Loro) e che giustifica e legittima l’uso di un potere ‘straordinario’ ed ‘eccessivo’ nei confronti dei membri dell’altro gruppo (un potere che non si giustificherebbe se applicato nello stesso modo ai membri del nostro gruppo).
Il razzismo contemporaneo fa maggiormente leva sulla differenza culturale – pur se la rilevanza delle differenze fenotipiche continua a giocare un ruolo importante. Sono alcuni tratti culturali a essere utilizzati per tracciare un confine che distingue tra chi è ‘come noi’ e chi ‘è diverso da noi’. Ma, più che la materia prima con cui si costruisce la distinzione, è l’istituzione stessa di questo confine – quando viene utilizzato per giustificare una diversa distribuzione di riconoscimento, risorse e diritti – a definire il razzismo. Il razzismo è una forma di discriminazione attuata da un gruppo dominante a difesa dei propri privilegi e legittimata da fattori che sono presentati come ‘naturali’, dal ricorso a (selettive) differenze che sono presentate come ‘caratterizzanti’, ‘incarnate’ e ‘immodificabili’.
In che modo la differenza culturale costituisce nelle società occidentali una risorsa politica?
Per comprendere le relazioni interculturali è importante focalizzarsi sull’uso concreto che della differenza viene fatto. Da questa prospettiva, la differenza ha sempre un carattere ambivalente e ambiguo, è potenzialmente in grado di veicolare richieste di equità, giustizia sociale e ampliamento dello spazio democratico così come richieste di nuove forme di discriminazione e di privilegio. Sostenere che la differenza funzioni oggi come una risorsa politica invita a considerare la differenza non per una sua presunta essenza costitutiva, ma nelle forme concrete che essa assume nelle pratiche situate. La differenza appare quindi non come un valore in sé, da riconoscere e proteggere in forma astratta e generalizzata, indipendentemente dai contesti sociali in cui emerge ed è invocata, quanto una risorsa argomentativa, politica e strategica, utilizzata per tracciare confini, definire inclusioni ed esclusioni, per creare consensi e definizioni condivise della realtà sociale. È uno strumento argomentativo e strategico che può essere usato sia per rivendicare una maggiore giustizia sociale e un maggiore grado di partecipazione e inclusione, sia per ottenere o difendere privilegi e generare nuove forme di esclusione.
Quali dinamiche sociali caratterizzano le società multiculturali?
L’idea di società multiculturale è oggi spesso considerata con sospetto se non con ostilità. Divenuta popolare negli anni settanta del secolo scorso per riferirsi a società in cui gruppi con differenti riferimenti culturali, abitudini e credenze vivono insieme nel medesimo spazio pubblico rispettandosi reciprocamente, con il nuovo millennio si fa largo l’idea che questo progetto sia fallito e che le politiche multiculturali abbiano portato alla creazione di ghetti, isolamento, conflitto sociale. Ci si può dividere sul giudizio da dare alle politiche che hanno cercato di favorire una società multiculturale, ma è più difficile negare che la questione di trovare forme di convivenza sociale rispettose delle differenze culturali sia una esigenza fondamentale per il mantenimento e il rafforzamento delle società democratiche contemporanee. In un mondo in cui la differenza culturale è divenuta un valore irrinunciabile per la costruzione di sé e del proprio gruppo come soggetti politici autodiretti la necessità di trovare forme di organizzazione della vita comune in grado di promuovere una maggiore inclusione democratica, assicurando reale parità di accesso e partecipazione a tutti i membri della società, senza subordinare l’inclusione all’assimilazione nel gruppo dominante rimane una questione vitale per le democrazie.
Quale futuro per il rapporto tra globalizzazione e differenza?
Le interpretazioni più radicali degli effetti che i processi di globalizzazione avrebbero sulle differenze culturali suggeriscono scenari opposti, sebbene entrambi poco rassicuranti. Da un lato si sostiene che la differenza culturale sia destinata, se non a scomparire, a divenire sempre meno rilevante. Questo perché la globalizzazione produrrebbe un processo di omologazione – di americanizzazione per i più critici – che imporrebbe come modello egemonico il modello delle società occidentali, saldamente in controllo dei centri nevralgici di produzione delle risorse economiche, tecniche, politiche e culturali. Dall’altro lato, si sostiene che la globalizzazione stia rendendo sempre più evidente l’irriducibile differenza tra diverse visioni del mondo, innescando uno scontro di civiltà che ha come posta in gioco la distruzione delle prospettive culturali concorrenti per salvaguardare la sopravvivenza della propria. Sebbene capaci di illuminare alcuni tratti dell’esperienza contemporanea, ritengo che entrambe le prospettive semplifichino eccessivamente la realtà attuale. La globalizzazione sta favorendo processi di circolazione, scambio, mescolamento delle differenze culturali. Le differenze culturali sono, contemporaneamente, sia la materia prima con cui si cerca di costruire il senso comune che stabilizzi una specifica realtà, sia la posta in gioco in questa lotta costante per l’attribuzione dei significati con cui provare a mettere ordine nell’esperienza umana. I processi di globalizzazione rendono evidente che le nostre differenze (e le nostre identità) più che nel passato – oggetti sacri che ora dobbiamo difendere strenuamente da ogni trasformazione – sono collocate nel nostro futuro, nella nostra capacità di trovare senso nelle nuove esperienze di un mondo globalizzato, nella nostra capacità di adattare ciò che abbiamo ereditato e ciò che ora siamo alle necessità di un mondo in rapida trasformazione.
Enzo Colombo insegna Cultura e società e Globalization, Social Justice and Human Rights all’Università degli Studi di Milano. Tra le sue pubblicazioni: Youth and the Politics of the Present (a cura di, con P. Rebughini; London 2019); Children of Immigrant in a Globalized World (con P. Rebughini; London 2012); Multiculturalismo quotidiano (con G. Semi; Milano 2007); Rappresentazioni dell’Altro (Milano 1999).