“Sociologia dell’istruzione e della formazione. Un’introduzione” di Guglielmo Malizia e Giovanni Lo Grande

Prof. Guglielmo Malizia, Lei è autore con Giovanni Lo Grande del libro Sociologia dell’istruzione e della formazione. Un’introduzione edito da FrancoAngeli: quale impatto possono esercitare sulla società la scuola e la formazione professionale?
Sociologia dell'istruzione e della formazione. Un’introduzione, Guglielmo Malizia, Giovanni Lo GrandeLe indicazioni che vengono dalla letteratura più recente circa l’incidenza dell’istruzione e della formazione sullo sviluppo attestano un superamento delle posizioni più negative del passato e il raggiungimento di una nuova sintesi. l’educazione è concepita come il principale motore dello sviluppo ed è impegnata ad innovare in tutti gli ambiti rilevanti. Una dimensione fondamentale consiste in una concezione umanistica dell’educazione e dello sviluppo che, secondo la Dichiarazione di Incheon dell’Unesco nel 2015, si caratterizza per i seguenti valori: «i diritti dell’uomo e la dignità umana; la giustizia sociale; l’inclusione; la tutela; la diversità culturale, linguistica ed etnica; una responsabilità e un obbligo a rendere conto condivisi».

Tuttavia, la relazione è tutt’altro che semplice e diretta: in altre parole non esistono automatismi per cui si possa affermare che qualsiasi investimento nel sistema educativo conduca necessariamente ai risultati voluti e, pertanto, non sono da escludere casi di eccessiva fiducia nelle strategie dell’istruzione e della formazione o di una scelta di modalità sbagliate di intervento. Al tempo stesso va affermato che non è pensabile per un Paese realizzare una politica per lo sviluppo senza il sostegno di una popolazione adeguatamente formata, in particolare se si tiene conto dell’attuale fase di esplosione delle conoscenze e di espansione della tecnologia. Pertanto, si può dire che l’educazione è il fattore principale dello sviluppo a condizione che la sua traduzione in un progetto concreto corrisponda alle esigenze proprie di ciascun Paese.

Quale interpretazione del ruolo del sistema di istruzione e di formazione ha dato il funzionalismo?
Il funzionalismo, che ha dominato la scena negli anni ’50 del secolo scorso e nella prima metà della decade successiva, concepisce la società come un sistema di parti interdipendenti al cui interno si realizza una vera divi­sione del lavoro nel senso che ciascun sottosistema svolge fun­zioni proprie e specifiche e mette a disposizione degli altri le sue prestazioni in modo da consentire la conservazione e lo sviluppo del sistema. Entro questo quadro la prima funzione del sottosistema dell’istruzione e della formazione è quella di trasformare le capacità in competenze. Nelle società tradizionali provvedono principalmente istituzioni che sono incaricate contemporaneamente di altri compiti; nel mondo industriale a causa dell’intensificarsi della divisione del lavoro e della specializzazione nasce e si sviluppa un sottosistema specifico e differenziato come quello della scuola/FP.

In secondo luogo il funzionalismo mette in risalto l’inter­dipendenza fra istruzione/formazione ed economia. La forte espansione dei sistemi educativi che ha avuto luogo nel mondo durante gli anni ’50 e ’60 del secolo scorso andrebbe ricondotta allo sviluppo parallelo della domanda di forza lavoro qualificata; più specificamente, per effetto del ritmo accelerato del cambio tecnologico si era verificato un passaggio della forza lavoro dal settore primario verso quello industriale e successivamente in direzione del terziario, cioè verso comparti che si caratterizzano per una domanda più ampia ed elevata di competenze. Al tempo stesso la scuola/FP espandendosi svolge una funzione determinante nello sviluppo economico perché rende più produttivo il lavoro e aumenta il ritmo dell’innovazione.

In terzo luogo, il funzionalismo concepisce l’istruzione e la formazione come strumenti di progresso sociale. È vero che le disparità sono accettate come necessarie, ma è anche vero che la distribuzione dei ruoli deve avvenire in base al merito. In questo senso l’espansione della scuola/FP consente l’ascesa sociale dei giovani dei ceti sociali bassi, dotati di elevate capacità, e contribuisce a una ripartizione più giusta delle opportunità educative fra le clas­si.

La scuola/FP è anche funzionale all’integrazione sociale, cioè alla coesione tra i vari sottosistemi e tra i membri della società. Essa infatti motiva a comportarsi secondo i modelli sociali: in altre parole, essa educa ai valori comuni per cui, anche se i conflitti diventano intensi, tuttavia i cittadini trovano sempre in tali valori ragioni sufficienti per vivere insieme e non separarsi, perché ciò che li unisce è più forte e importante di ciò che li divide.

Alla fine degli anni ’60 del secolo scorso il paradigma funzionalista è entra­to in crisi. La sua visione consensuale non riusciva più a interpretare in modo adeguato una società che era divenuta con­flittuale. In aggiunta la contestazione studentesca e la ricerca pedagogica avevano messo a nudo le gravi carenze della scuola/FP, ponendo così in discussione la esaltazione ingenuamente positiva che ne aveva fatto il funzionalismo. Esso inoltre si poteva facilmente prestare ad essere usato ai fini di giustificare le ingiustizie sociali e la subordinazione del sistema educativo al mondo economico. Comunque, l’approccio non è scomparso ma, seppur rivisitato, esso ha continuato e continua a svolgere un ruolo importante nella riflessione teorica e nelle applicazioni concrete.

Qual è la visione dell’istruzione che emerge dalle teorie neo-marxista e della riproduzione?
Gli anni ’50 e ’60 del secolo scorso, in cui fiorisce il neo-marxismo, assistono al consolidamento e all’espansione del capitalismo nei Paesi occidentali ma tale andamento sembrava contrastare con gli assunti del marxismo. Infatti, nonostante l’emergere della caratterizzazione collettiva della produzione, il capitalismo non perdeva certamente consensi, ma anzi li guadagnava, mentre nell’ipotesi marxista, secondo la quale è la struttura, cioè l’economia, che comanda l’evoluzione, il comunismo avrebbe dovuto trionfare da anni nei Paesi dell’occidente perché l’economia industriale aveva assunto una connotazione sociale.

Il neo-marxismo ha cercato di risolvere questa evidente contraddizione, partendo dall’analisi delle condizioni di sopravvivenza della società capitalista. Lo strumento più efficace nella sopravvivenza di quest’ultima viene identificato nella riproduzione dei rapporti di produzione.

Per rendere più chiaro il discorso, vanno ricordate due premesse. La prima è che, a parere del neo-marxismo, la sovrastruttura che comprende l’istruzione, la formazione, la cultura, il diritto, la politica, la morale e la religione, cioè tutti gli aspetti che compongono il patrimonio ideale della società, gode di autonomia relativa, anche se la struttura è determinante in ultima istanza; di conseguenza, è possibile un ritardo nel cambiamento della sovrastruttura rispetto al mutamento della struttura.

L’altra premessa riguarda la concezione dello Stato. Per i primi interpreti di Marx questo è costituito dai soli apparati repressivi (AR) per cui ai fini del sovvertimento della società capitalista bastava conquistare gli AR capitalisti. Al contrario, per il neo-marxismo esistono due tipi di apparati: gli AR che comprendono il governo, l’amministrazione, l’esercito, la polizia, i tribunali e sono caratterizzati: dalla unità di comando, dalla natura pubblica, dall’uso della forza che li rende repressivi; gli AIS, cioè gli apparati ideologici di Stato, che includono la scuola, la famiglia, il sindacato, i partiti, le chiese e le religioni e si contraddistinguono per la unità della ideologia, per la funzionalità alla diffusione di quest’ultima e per la loro natura privata. Secondo il neo-marxismo, nessuna classe può conservare il potere senza AIS perché il governo di un Paese si conquista e si mantiene sulla base del consenso, cioè della condivisione di una ideologia.

In questo quadro esplicativo, la riproduzione dei rapporti di produzione è garantita soprattutto dagli AIS e il sistema educativo sarebbe l’AIS che svolgerebbe nei Paesi capitalisti il ruolo centrale nella riproduzione dei rapporti di produzione. Infatti, la scuola/FP raccoglie i giovani di tutte le classi sociali a cominciare dalla materna, ne dispone per 8-10 anni (i più vulnerabili), per 5-6 giorni su 7, per 5-8 ore al giorno, e trasmette loro competenze e tecniche, imbevute dell’ideologia dominante, o l’ideologia dominante stessa. Completato l’obbligo, essa assegnerebbe agli studenti una posizione nella società corrispondente allo status socio-economico delle rispettive famiglie e li fornirebbe dell’ideologia che si adatta al loro ruolo: gli operai e i contadini dell’ideologia dello sfruttato, i quadri intermedi di agente dello sfruttamento, i funzionari dello Stato di agente della repressione e gli insegnanti di professionisti dell’ideologia.

Passando ora a una valutazione di queste posizioni teoriche, certamente non si può negare che il neo-marxismo sia riuscito a identificare dei meccanismi attraverso i quali la scuola/FP contribuisce alla riproduzione delle strutture di potere nelle società industrializzate, qualunque sia il loro regime. Se ci si sofferma invece sugli aspetti critici degli assunti proposti, va anzitutto evidenziata la contraddizione esistente tra due sue affermazioni: la struttura (l’economia) è determinante in ultima istanza e gli AIS con la sovrastruttura garantiscono la riproduzione dei rapporti produzione; in altre parole, non è chiaro se siano decisivi l’economia o l’ideologia o ambedue. Inoltre, anche nei Paesi comunisti l’istruzione e la formazione hanno svolto il compito di perpetuare la stratificazione sociale al servizio, non più della classe capitalista, ma della nuova classe formata dai membri della burocrazia del partito e dello Stato. In terzo luogo, la scuola/FP non può essere definita solo come riproduzione, oppressione, manipolazione, socializzazione, ma la storia dimostra che pure nelle situazioni più buie essa è riuscita ad assicurare cambiamento, liberazione, formazione al pensiero critico, cioè vera educazione.

La teoria della riproduzione culturale comprende un gruppo di sociologi che convergono su alcune tesi centrali della loro riflessione. Un primo aspetto caratteristico è che essa nasce dall’incontro delle diverse posizioni di partenza degli studiosi con il marxismo. In secondo luogo, i nodi problematici affrontati riguardano i meccanismi attraverso i quali il sistema di istruzione e di formazione contribuisce a ricreare le condizioni per la perpetuazione dell’ordine sociale. Da ultimo, il principale paradigma scientifico di riferimento è una specie di funzionalismo assoluto che concepisce la società come una macchina perfetta in cui ogni parte opera in funzione degli altri meccanismi e di tutta la macchina e in cui agiscono forze sociali che ci determinano totalmente nel bene o nel male.

Sul piano positivo questa teoria si segnala per il realismo dell’analisi, il rigore scientifico e l’apertura dell’ortodossia marxista. Al tempo stesso non si possono ignorare i punti deboli di tali posizioni: il sistema sociale appare caratterizzato da staticità e ripetitività; la scuola/FP viene concepita come una specie di burattinaio o regista malvagio che tira le file di tutte le ingiustizie del mondo; ogni tentativo di riforma della scuola perde di senso perché il vero rinnovamento può venire solo da un cambiamento del modello di società.

In che modo un approccio multidimensionale che sottolinei gli aspetti evidenziati dalla riproduzione contraddittoria, dalla concezione neo-weberiana e dall’interazionismo fenomenologico può aiutare per una corretta interpretazione sociologica della scuola e della la formazione professionale?
La domanda tocca proprio l’ipotesi alla base del volume. La ricordo brevemente: la scuola e la formazione professionale possono esercitare un impatto positivo sulla società, anche se a determinate condizioni, che però sono quelle che consentono un efficace servizio all’educazione dei giovani, in particolare di quelli più svantaggiati.

Infatti, sembrano del tutto insufficienti sia l’interpretazione trionfalista e ingenua che del ruolo del sistema di istruzione e di formazione ha dato il funzionalismo, sia il pessimismo radicale delle teorie neo-marxista e della riproduzione. Per il primo, infatti, la scuola/FP è solo positività in quanto: è perfettamente funzionale alla trasformazione delle capacità in competenze e allo sviluppo economico, risulta un valido strumento di promozione sociale e contribuisce adeguatamente all’integrazione delle nuove generazioni nella società e alla coesione di quest’ultima. Per la teoria marxista e della riproduzione, al contrario, la scuola/FP è solo: sovrastruttura e apparato ideologico di Stato in quanto trasmette l’ideologia e la fa accettare, e non fattore di cambiamento, ma frutto del cambiamento che avviene nel modo di produzione; agenzia di riproduzione sociale nel senso che perpetua l’ingiusta distribuzione delle ricchezze e del potere nella società; strumento di corrispondenza tra le pratiche sociali della educazione e quelle del mondo produttivo per cui convince ad accettare acriticamente le storture del capitalismo; irriformabile se prima non avviene una riforma delle strutture sociali; uno strumento di lotta tra i gruppi e non di apprendimento; una forma di spreco perché si può imparare tutto nel mondo del lavoro; determinata da fattori macro-sociali che sfuggono al controllo dei singoli.

Per una corretta interpretazione sociologica della scuola può aiutare un approccio multidimensionale che cerca di integrare con gli aspetti negativi elencati sopra quelli positivi evidenziati dalla riproduzione contraddittoria, dalla concezione neo-weberiana e dall’interazionismo fenomenologico. In base alle loro conclusioni si può dire che la scuola/FP è anche: dotata di autonomia relativa riguardo alle dinamiche sociali; strumento di contraddizione che svolge una funzione contro-funzionale rispetto alle diseguaglianze sociali; riformabile anche nella società capitalista; mezzo di elevazione delle classi subalterne in quanto fornisce ai loro figli i titoli di studio per l’accesso alla classe dirigente; in grado di trasmettere competenze e cultura con una valenza di emancipazione e di liberazione; costruita sull’interazione degli attori sociali e non solo determinata dalla dinamiche macro-sociali.

Pertanto, la conclusione confortante è che scuola/FP può esercitare un impatto positivo sulla società, anche se a determinate condizioni, che però sono quelle che ne possono assicurare un efficace servizio all’educazione dei giovani, in particolare di quelli più svantaggiati. L’istruzione e la formazione professionale, nonostante le emergenti difficoltà, hanno sufficienti spazi di manovra, per “decondizionare” gli allievi e promuovere la loro crescita e una società più ugualitaria.

Il volume affronta anche i rapporti tra istruzione e stratificazione sociale; istruzione e politica; istruzione ed economia nonché l’organizzazione dell’istruzione e della formazione: quali sono i principali problemi che affliggono il sistema di istruzione e di Formazione attuale?
Anche limitandosi ai principali, i problemi sono molti e complessi per cui non si possono enumerare tutti. Pertanto focalizzerò l’attenzione su quelli più controversi.

Il primo nodo, anche in ordine temporale, è quello dei rapporti con la stratificazione sociale e l’interrogativo di fondo è se la scuola/FP riesca a ridurre le diseguaglianze oppure contribuisca a riprodurle sostanzialmente così come sono presenti nel sistema sociale.

Un altro problema centrale riguarda le relazioni con il sistema politico e ci si può chiedere se l’istruzione e la formazione riescano a educare cittadini consapevoli e partecipi, capaci di un atteggiamento critico-costruttivo verso l’autorità politica, o si limitano a preparare sudditi sottomessi e passivi nei confronti del potere.

Un terzo interrogativo può essere sintetizzato nel dilemma: un Paese è ricco perché è istruito o è istruito perché è ricco?

Quanto al sistema stesso di istruzione e formazione, ricordo due questioni fondamentali: se debba essere considerato prevalentemente come un’organizzazione formale o come un sistema sociale e come assicurare che il personale docente e dirigente possa svolgere con successo il proprio ruolo di chiave di volta di ogni progetto per l’educazione e l’apprendimento per il XXI secolo.

In base a quanto affermato nella domanda precedente si può rispondere agli interrogativi enunciati sopra, affermando che la scuola/FP è in grado di svolgere le proprie funzioni in maniera positiva, anche se a determinate condizioni.

Quali prospettive, a Suo avviso, per i sistemi educativi nella società della conoscenza?
Le numerose problematiche, riscontrabili nei sistemi educativi all’inizio del terzo millennio, hanno provocato un acceso dibattito sulla validità ed efficacia dell’attuale offerta di istruzione e di formazione. L’obiettivo non è tanto quello di introdurre qualche cambiamento, quanto piuttosto quello di puntare a una riforma generale e vi sono anche proposte di procedere a una vera e propria descolarizzazione. Ovviamente chi scrive si schiera per una riscolarizzazione.

Come si è già accennato nella prima risposta, il punto di partenza è una nuova concezione dell’educazione ispirata alla Dichiarazione di Incheon dell’Unesco del 2015 (e al relativo programma “Education 2030”) che descrive la meta da conseguire nei termini seguenti: «assicurare un’educazione di qualità, equa e inclusiva, e promuovere opportunità di apprendimento per tutti lungo l’intero arco della vita». La proposta intende caratterizzarsi per essere olistica, ambiziosa, capace di ispirare strategie efficaci e finalizzata a non lasciare nessuno da parte o indietro in relazione al percorso comune. In aggiunta, il sistema di istruzione e di formazione è considerato come il più importante motore dello sviluppo e a questo fine deve puntare a far progredire tutti i settori, mirando specialmente a portare a conclusione tutte le innovazioni avviate con il programma dell’“Educazione per tutti” dell’Unesco (lanciato nel 1990 a Jomtien), ma non concluse nel 2015, e al tempo stesso impegnandosi a superare tutte le nuove sfide sia generali che continentali, nazionali e locali.

Una dimensione basilare della nuova concezione dell’educazione va ricercata nella sua visione umanistica non solo dell’educazione stessa, ma anche dello sviluppo, come ho già detto nella prima risposta. Una chiara testimonianza in questo senso viene dai valori di riferimento, ricordati nella medesima risposta: «i diritti dell’uomo e la dignità umana; la giustizia sociale; l’inclusione; la tutela; la diversità culturale, linguistica ed etnica; una responsabilità e un obbligo a rendere conto condivisi». In tale visione occupa una collocazione centrale il principio che l’educazione è un bene pubblico, un diritto fondamentale e una condizione che rende possibile l’esercizio di altri diritti. La nuova concezione vuole essere una garanzia essenziale per la pace, per la tolleranza, per l’autorealizzazione delle persone e per lo sviluppo sostenibile. Un’atra finalità fondamentale consiste nel contributo al conseguimento del pieno impiego e all’impegno per l’eliminazione della povertà. “Education 2030” si propone di garantire a tutti l’accesso ai sistemi di istruzione e di formazione, l’equità, l’inclusione e risultati positivi di apprendimento nel quadro dell’educazione permanente.

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