“Sociologia dei media digitali. Relazioni sociali e processi comunicativi del web partecipativo” di Davide Bennato

Prof. Davide Bennato, Lei è autore del libro Sociologia dei media digitali. Relazioni sociali e processi comunicativi del web partecipativo edito da Laterza: quale rilevanza hanno assunto, nella nostra società, i media digitali?
Sociologia dei media digitali. Relazioni sociali e processi comunicativi del web partecipativo, Davide BennatoI media digitali sono diventati strumenti fondamentali sia come mezzi di comunicazione, sia come mezzi di relazione sociale.
Come mezzi di comunicazione si sono inseriti all’interno delle caratteristiche dell’industria culturale contemporanea diventando anch’essi una nuova forma di produzione industriale di contenuti.

Come mezzi di relazione sociale sono diventati strategie per la costruzione di rapporti interpersonali con i limiti e le opportunità di un medium.
Limiti, nel senso che è necessario rispettare i vincoli tecnologici che le piattaforme digitali pongono nel fornire un servizio di comunicazione, per esempio la visibilità dei contenuti, funzionali a logiche algoritmiche di ottimizzazione degli spazi social.

Opportunità invece nella capacità di porre un nuovo livello dei rapporti sociali che si possono avvalere delle potenzialità di tali mezzi digitali come la possibilità di interagire contemporaneamente con un gran numero di persone, ampliare la gamma comunicativa grazie alle opportunità iconiche e multimediali (come gli emoji e le Gif animate) e così via dicendo.

Questa doppia articolazione ha fatto si che ci sia stata una sovrapposizione fra dinamiche dell’industria culturale e processi di relazione sociale, nel senso che le une hanno adottato strategie delle seconde e viceversa. Per fare un esempio consideriamo la promozione di libri, film e altri prodotti attraverso le piattaforme social: il social media marketing insiste molto sulla dimensione relazionale – rispondere ai commenti, ringraziare gli apprezzamenti – con lo scopo di costruire una community intorno all’oggetto culturale. Se invece consideriamo soggetti mediali come gli influencer, non sono altro che frutto di dinamiche relazionali a cui sono state associate strategie di media broadcast (aumentare il numero di follone e di like, rivolgersi ai propri contatti come fossero un pubblico).

Quali dinamiche sociali ingenera la tecnologia?
Distinguiamo i social media come strumento di produzione culturale e come strumento per le dinamiche relazionali.
Come strumento di produzione culturale, le piattaforme digitali sono intervenute in tre aspetti diversi.

Il primo è la complessità dei linguaggi. I social media con la loro capacità di mescolare diverse forme mediali di comunicazione hanno dato vita a prodotti ibridi come l’uso didattico dei video (i video tutorial), la produzione di testi mediali complessi (ipertesti didattici, enciclopedie collaborative come i wiki), l’uso del suono come strumento di costruzione di contenuti (podcast e altre forme asincrone di fruizione audio). Il vero problema è che l’industria culturale tradizionale non sa come usare questi strumenti e non è stata in grado di dare vita a prodotti culturali che valorizzassero le opportunità espressive della rete. Si pensi per esempio agli ebook: la difficoltà nel loro prendere piede non è un limite tecnologico, ma un limite contenutistico, ovvero non esistono testi pensati per essere fruiti come ebook. Al momento gli ebook sono la versione digitale di testi pensati per la forma cartacea: a fruizione lineare e sequenziale. Ovviamente questo non aiuta la nascita di una nuova industria culturale.

Il secondo è la frammentazione. La grande quantità di contenuti che le piattaforme social mettono a disposizione ha creato una frammentazione dei gusti ed una polverizzazione dei palinsesti fruitivi. Nonostante l’impegno delle piattaforme che cercano di dare una agenda condivisa dei contenuti (i trending topic di Twitter o i video più visti di Youtube), le dinamiche di fruizione sono molto balcanizzate, tanto che alla fine prevale la logica broadcast ovvero si considera rilevante il pubblico dei contenuti più visti, quando esistono tanti canali – su Youtube, nel mondo dei blog, negli account Instagram – che invece propongono contenuti diversi, innovativi e spesso di qualità.

Il terzo è la produzione collaborativa dei contenuti. Esistono moltissimi progetti in cui il prodotto culturale delle piattaforme social nasce dall’interazione tra i content creator e il proprio pubblico. Questo avviene sia per gli strumenti di analytics che le piattaforme mettono a disposizione dei creativi (video più visto, testo più condiviso, foto più apprezzata), sia perché i creativi chiedono spesso l’interazione col proprio pubblico nella produzione di contenuti suggerendo contenuti da sviluppare, argomenti da affrontare. Questo è uno de motivi per cui le giovani generazioni si rifugiano nella fruizione digitale: è asincrona, innovativa e si sente parte di un contesto più ampio.

Come strumento per le dinamiche relazionali le piattaforme digitali intervengono prevalentemente in due processi chiave.

Il primo è la fusione fra spazio pubblico e spazio privato. L’interazione sociale negli spazi social ha la curiosa caratteristica di essere una interazione individuale che avviene però in un contesto sociale allargato, nonostante ci sia l’illusione di un controllo del proprio pubblico di riferimento (ovvero controllare con scelte informatiche messe a disposizione delle piattaforme chi può vedere le proprie interazioni). Questa però è una illusione perché esistono molte contro-strategie per aggirare la privacy individuale. Le persone lo sanno e quindi si comportano da palcoscenico laterale (l’espressione è di Joshua Meyrowitz per la televisione), ovvero io sono che sto parlando alla mia cerchia di contatti, ma sono consapevole che altri potrebbero vedere i miei contenuti e quindi mi comporto di conseguenza: riducendo la dimensione personale dell’interazione o radicalizzando le posizioni espresse per risultare caustico o “anticonformista”.

Il secondo è l’interazione algoritmica. Io posso modulare la mia interazione sociale usando le opportunità comunicative che le piattaforme mettono a disposizione (like, sharing, multimedialità), oppure sfruttando i limiti degli algoritmi (inserire un like ai propri commenti face book per aumentare visibilità dei contenuti, aumentare esponenzialmente gli hashtag per rendere il contenuto ricercabile e così via). Tutto ciò fa si che l’interazione sociale deve presupporre una competenza di piattaforma per potersi esprimente nel modo migliore evitando così la rottura della netiquette condivisa, come nel caso delle interazioni trash dei bimbominkia o dei “buongiornissimo caffè”.

Quali sono le conseguenze etiche dell’uso delle nuove tecnologie?
Le conseguenze etiche sono molteplici perché dipendono da tre fattori: la comunità, le piattaforme, la consapevolezza d’uso. La comunità è quella che definisce le norme valoriali presenti nella piattaforma o nel gruppo che opera nella piattaforma, è espressione di un sistema di valori rappresentati dalla netiquette ovvero se vuoi far parte del nostro gruppo devi rispettare le regole del gruppo. Sociologicamente è una strategia piuttosto nota, ma nelle piattaforme digitali assume la forma di un contesto normativo che può incorrere in sanzioni (bannare, silenziare, sospendere eccetera). Le piattaforme definiscono i gradi di libertà all’interno dei quali possono operare le comunità. Possono essere espliciti – le norme di utilizzo della piattaforma – o implicite – il controllo algoritmico esercitato su contenuti controversi (la celebre questione dell’oscuramente dei capezzoli in Facebook). La consapevolezza d’uso è invece legata all’operato individuale. È necessario avere sempre ben chiari quali sono gli spazi d’azione del proprio agire per evitare effetti indesiderati di azioni considerati come di per sé prive di conseguenze. Pensiamo ad esempio alla condivisione social indiscriminata di contenuti intimi nelle piattaforme social che si trasformano in rituali di degradazione dei soggetti coinvolti. Oppure pensiamo all’ingenuità con cui alcuni genitori pubblicano foto dei figli nelle piattaforme social dimenticando che sono territori di caccia (spesso solo di immagini) di comunità legate alla pedopornografia.

È dunque necessaria una tecnoetica?
È indispensabile. Perché la tecnologia è frutto di valori (le piattaforme sono un prodotto umano e in quanto tale esprimono la visione della comunità che le produce), veicolo di valori (le piattaforme incorporano visioni del mondo che prendono forma nelle tecnologie come l’ideologia della condivisione, ovvero l’idea che la condivisione sua sempre un atto lecito e legittimo), forza modificatrice di valori (ovvero l’uso collettivo delle piattaforme altera la percezione soggettiva su alcuni valori come la riservatezza e la privacy).

Davide Bennato è Professore associato di Sociologia dei processi culturali e comunicativi presso il Dipartimento di Scienze Umanistiche (DISUM) dell’Università di Catania

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