“Social media e politica. Esperienze, analisi e scenari della nuova comunicazione politica” di Claudio Riva

Prof. Claudio Riva, Lei è autore del libro Social media e politica. Esperienze, analisi e scenari della nuova comunicazione politica edito da UTET Università: come è cambiata la comunicazione politica nell’era dei social media?
Social media e politica. Esperienze, analisi e scenari della nuova comunicazione politica, Claudio RivaIl ruolo della rete e dei social network nella politica contemporanea è uno dei punti d’arrivo di quel più generale processo di mediatizzazione, che ha visto i media e le tecnologie della comunicazione partecipare alla modificazione e riorganizzazione di vasti ambiti e settori della realtà sociale, dall’economia all’istruzione, dallo sport alla religione e all’arte. Per non parlare delle interazioni quotidiane. Anche la politica ovviamente si è mediatizzata, per permettere agli attori politici di guadagnare visibilità, potere di influenza sull’agenda dei media e maggiore prossimità ai cittadini/spettatori. Quando si è aperta alla tv, la politica ha rivisto le sue retoriche e i suoi discorsi, abbracciando i linguaggi dei formati mediali di maggior successo come l’intrattenimento, lo spettacolo e la pubblicità e producendo quei fenomeni di spettacolarizzazione, personalizzazione, vetrinizzazione e popolarizzazione del discorso politico che oggi si ripropongono ai tempi dei social network, ma entro nuove logiche di disintermediazione e di partecipazione di quelli che siamo abituati a chiamare pubblici connessi. I social hanno prodotto un allargamento sia del palcoscenico in cui rappresentare la politica, sia della platea dei pubblici che vi partecipano: l’offerta d’informazione politica, le narrazioni, i racconti e le storie, provengono da una molteplicità di fonti che non sono solo quelle ufficiali ma comprendono tweet e post di commentatori specializzati o personalità di vario genere, meme, foto e video girati da persone comuni. Cittadini e politici devono interagire con una mole continua e incessante di eventi e informazioni circolanti su social, app di messaggistica e piattaforme, che solo i primi possono eventualmente consumare passivamente, mentre per i secondi è preziosa la capacità di gestirli, partecipando e influenzando la produzione di notizie.

Quali caratteristiche presenta la comunicazione politica sui social media?
I media digitali e i social media riducono la distanza tra politici e cittadini, offrendo la possibilità di creare una maggiore interlocuzione tra i due attori – i like, i commenti ai post, i messaggi privati a questo o quell’attore politico – ma, più spesso, dando modo di accentuare la trasformazione degli attori della politica in celebrità, offrendo nuove strategie di spettacolarizzazione e personalizzazione. I social media sono infatti particolarmente efficaci per le strategie di self-promotion, tramite la customizzazione del proprio profilo e la pubblicazione di informazioni inerenti alla propria vita privata. I social hanno aperto la strada a nuove forme di intimizzazione del rapporto con i cittadini: alle immagini formali e ingessate pubblicate dai media tradizionali seguono le fotografie personali, scelte direttamente dai politici o dal loro staff, che ritraggono il politico nelle sue attività professionali e nei contesti informali esterni al suo ruolo, manifestare le sue emozioni, guardando in modo diretto il pubblico. Con i selfie o i video-selfie, parlare della propria intimità, esporre al pubblico la propria sfera privata non è più considerato inappropriato e, anzi, i politici accettano di buon grado di soddisfare la curiosità del pubblico, convinti che questo gli permetta di accrescere il proprio consenso elettorale. Questi nuovi strumenti di spettacolarizzazione e politicizzazione della propria vita privata creano le condizioni per l’accentuazione dei fenomeni di leaderizzazione e personalizzazione, che possono mettere ancor più in crisi il ruolo dei partiti, comitati elettorali a sostegno del leader, e trasformare ancor più le logiche della rappresentanza in quelle della rappresentazione, spostando in secondo piano le dimensioni programmatiche e i processi decisionali, accentuando alcune retoriche più efficaci comunicativamente. Aggiungiamo, inoltre, le nuove forme di popolarizzazione del discorso politico, improntate al coinvolgimento emozionale e all’entertainment: è il fenomeno della memetic politics, l’umorismo politico in rete tramite i meme, arma nelle mani del cittadino digitale che saccheggia la cultura pop per creare significati collettivi, replicati e condivisi in rete.

Come si esprime la popolarizzazione del discorso politico?
Quello della popolarizzazione è il concetto che forse meglio esprime e, in un certo senso, riassume l’insieme dei principali nessi e tendenze della politica mediatizzata e spettacolarizzata contemporanea. Sotto il cappello della politica pop, espressione introdotta da Gianpietro Mazzoleni e Anna Sfardini, vi sono tutte quelle forme di presentazione della politica e dei suoi protagonisti nei programmi di infotainment e politainment, nella comunicazione politica divertente, nella partecipazione dei leader a film, programmi di varietà o eventi sportivi, nelle campagne elettorali curiose e nelle azioni politiche stravaganti etc. Modi che hanno reso familiari, oggetto di curiosità e interesse, i fatti e i personaggi di una sfera, quella politica, tradizionalmente distante dalla vita quotidiana delle persone e diventata invece, ora, un argomento di discussione e una fonte addirittura di divertimento. I social oggi offrono nuove risorse per i processi di personalizzazione e vetrinizzazione dell’attore politico, che può più facilmente portare nella scena pubblica il suo privato (l’intimate politics), entro un frame che ambisce a essere quello delle celebrità (la celebrity politics). La pubblicizzazione delle informazioni relative alla vita personale del politico può riguardare le sue competenze e qualità individuali, i suoi sentimenti e le sue emozioni, le sue relazioni amicali, sentimentali e familiari e coprire anche i suoi spazi personali, esterni al suo ruolo politico. La narrazione, di natura scandalistica o consensuale, di hobby, educazione, tempo libero, gusti, sessualità del politico è al centro di quella personalizzazione che rende sfumati i confini tra la tradizionale immagine pubblica associata alle cariche istituzionali e la diffusione di un lato più personale e privato, più accessibile e più informale, che aumenta il senso di vicinanza agli elettori e amplia i giudizi favorevoli nei confronti del politico. Gli attori politici si comportano come uomini e donne “comuni”, che riproducono gli stili di vita e le azioni quotidiane delle persone, mostrandosi in grado quindi di rappresentarne i bisogni, raccoglierne e incarnarne le piccole e grandi aspirazioni. È la politica non più astratta e lontana dalle esigenze degli elettori ma quella che, innescando processi di identificazione tra il leader e il singolo cittadino, perde la sua aura di intangibilità, sa dare risposte concrete a tanti micro-temi, anche quelli più personali. L’immagine di una persona vicina alla gente comune negli affetti, nelle vacanze, nei comportamenti delle “gente normale” è la cifra di quella normalità esibita dai leader che ambiscono a essere riconosciuti come celebrità ordinarie, di tutti i giorni. Il dilemma, semmai, è quando si tratta poi di giustificare l’esercizio della leadership: ecco allora l’uso di strategie alternate, di strumenti comunicativi che, a seconda dell’opportunità, enfatizzano e glorificano la straordinarietà del leader o, al contrario, ne sottolineano l’autenticità e l’ordinarietà.

Come si svolgono le campagne elettorali online?
Le tecniche della comunicazione politico-elettorale si sono progressivamente adattate al dinamismo dei media, prima della tv, poi del web, ora dei social. Alla fine del XX secolo compaiono i primi web politici, che sfruttano le potenzialità del digitale: la multimedialità, i video di presentazione dei candidati, le call to action, la ricerca di interazione con gli elettori etc. I social media danno ulteriori possibilità di personalizzare e targettizzare – tramite big data, cookies e più tradizionali forme di raccolta di informazioni sugli elettori, come le survey – la comunicazione a costi estremamente contenuti, sia in senso assoluto sia se paragonati alle più tradizionali tecniche di persuasione. Dal messaggio generale televisivo, con un taglio mainstream, si passa a una moltitudine di micromessaggi personalizzati su specifici segmenti e divulgati con un investimento economico modesto. La grande efficacia dell’online advertising è dovuta anche alla possibilità di testare con anticipo i messaggi e i materiali divulgati, con strumenti che consentono di prendere decisioni data driven, una tendenza della consulenza politica contemporanea, sempre meno fondata sugli istinti degli strateghi e sempre più sulla raccolta – e sulla successiva interpretazione – di una mole importante di dati. Inoltre, le analisi del sentiment dei social media aiutano a verificare il livello di engagement e mobilitazione del proprio pubblico sulle singole tematiche, sui singoli messaggi e sull’immagine del leader. In aggiunta, le web analytics permettono di misurare e quantificare non soltanto le performance di un’inserzione o di una campagna, ma anche la sua capacità di generare mobilitazione. Sul fronte del fundraising, l’online ha portato una rivoluzione nell’attrarre nuovi, piccoli donatori, abbattendo contemporaneamente i costi delle operazioni di raccolta fondi in modo importante. Il futuro delle campagne elettorali, però, non sarà mai esclusivamente digitale, come ci spiega Giovanni Diamanti in uno dei capitoli del volume: il contatto personale è fondamentale e resta il metodo di persuasione più efficace, così come i materiali cartacei e la televisione sono insostituibili per divulgare un messaggio. Quello che certamente è cambiato è l’approccio alla comunicazione politica: se un tempo i consulenti strutturavano le strategie mediatiche cercando di far riprendere i leader dai quotidiani della mattina successiva e sui telegiornali, oggi l’agenda pubblica è cambiata in modo irreversibile e passa per i profili social dei leader e i media online, tra loro profondamente interconnessi. Non ci sono pause, e non esistono eventi pubblici minori, in cui possiamo permetterci gaffe: tutto viene registrato, tutto viene archiviato, tutto può riemergere ad anni di distanza.

Quale rilevanza hanno assunto concetti come pubblici connessi, transmedialità e memetic politics per comprendere il funzionamento della sfera pubblica digitale contemporanea?
I media digitali sono certamente strumenti che permettono di ampliare gli spazi di discussione e formazione delle pubbliche opinioni, sostenendo discorsi, posizioni, pratiche di argomentazione e contro-argomentazione su temi di interesse generale. In questo, le nuove tecnologie fissano potenzialmente le basi per una cultura politica diversa, in termini di cittadinanza politica, formazione delle opinioni e coinvolgimento civico. Grazie ai social, alle attività politiche convenzionali si affiancano quelle che non si inscrivono all’interno di una cornice istituzionale e che spesso possono essere isolate e estemporanee come partecipare a forum o gruppi di discussione online, firmare o raccogliere firme per una petizione, mettere un like o ritwittare dei messaggi.

La questione è la qualità di questa nuova sfera pubblica digitale. I pubblici connessi possono condividere informazioni o produrre contenuti originali sotto forma di testi, immagini o audiovisivi, agire tramite i commenti, le reaction o lo sharing, aderire a particolari hashtag di protesta o celebrazione, utilizzare come foto profilo immagini simbolo di particolari situazioni etc. entro un racconto pubblico le cui logiche di funzionamento sono tuttavia definite dalle affordance e dagli algoritmi delle piattaforme social. Sono community che si formano per via transitoria attorno a un argomento o causa specifica, ponendo attenzione a un particolare hashtag su Twitter per poi passare a un altro tema o semplicemente svanire. Spesso hanno la forma di fan community che affiancano o addirittura assumono il ruolo dei militanti di partito, sostituendo il confronto democratico con l’uso di slogan e invettive, demagogie e azioni virali che modellano l’informazione diffusa nei sociali, chiudendola in bolle comunicative targettizzate e segmentate, ambienti di discussione politica di natura principalmente ideologica, che mettono in discussione uno dei fondamenti della logica democratica, ovvero la tolleranza e il riconoscimento della legittimità di posizioni diverse dalla propria.

Il recente ban di Donald Trump da Twitter si configura come un vero e proprio atto politico: quale ruolo hanno assunto i social media nel panorama politico contemporaneo?
La decisione di Twitter e degli altri social network di applicare restrizioni ai profili social di Donald Trump, mentre era ancora Presidente in carica, ha aperto una riflessione sul ruolo delle piattaforme nelle democrazie occidentali e sulle contraddizioni di quella che, efficacemente, José Van Dijck ha definito platform society.

Durante l’emergenza Covid, abbiamo visto quanto Amazon, Microsoft, Alphabet/Google, Apple e Facebook (le Big five), assieme alle altre piattaforme web e social, siano elementi fondanti della nostra socialità, del nostro poter lavorare e fare impresa, studiare, comunicare, divertirci. Sono realtà che governano la rete, con le loro infrastrutture e modelli economici, a cui abbiamo assegnato compiti e responsabilità tese alla risoluzione di problemi pubblici, ma che pur sempre sono imprese private con proprie strategie e logiche profit che ne orientano la politica economica. Nel censurare Trump, i social hanno legittimamente agito come società private che intervengono a seguito di violazioni – ripetute – delle loro policy. Si tratta però di aziende che producono tecnologie, vendono servizi pubblicitari, moderano contenuti, gestiscono dati e soprattutto utenti, influenzandone le decisioni e i comportamenti. Sempre meno operatori di rete e software o applicazioni che gli utenti usano come vogliono e sempre più attori centrali nelle dinamiche istituzionali, economiche, sociali e culturali, partecipando alla strutturazione, sul piano organizzativo, delle società democratiche. Più che imprese, hanno lo status di istituzioni pubbliche che stanno modellando le pratiche economiche e sociali della contemporaneità ma che non sono necessariamente competenti o sensibili per operare scelte le cui conseguenze, culturali e politiche, sono di per sé esterne alla loro struttura di business.

Può davvero una società privata, in posizione dominante e addirittura indispensabile per la nostra quotidianità, decidere in base a propri criteri chi può o non può stare sui social, cosa può o non può portare nel dibattito tra cittadini, in quella sfera pubblica indispensabile per lo svolgersi delle democrazie? È sicuramente urgente discutere di qual è il ruolo, nell’ecosistema globale delle piattaforme, rette da algoritmi e culture aziendali socialmente opache, della società civile, delle piccole e grandi imprese, dei governi locali, che sempre più si confrontano con le piattaforme in aree legali grigie e fortemente ideologizzate. Se Cambridge Analytica ha rappresentato la fine dell’era dell’innocenza dei social, facendo emergere un bisogno di conoscenza e consapevolezza rispetto al ruolo delle piattaforme nelle nostre società, il caso Trump può essere forse il motore per quella richiesta di attenzione ai temi del ruolo delle piattaforme dell’organizzazione dei valori pubblici delle democrazie occidentali, della trasparenza dei flussi di dati, della responsabilità pubblica di monitoraggio, regolazione e co-regolazione delle piattaforme online, a partire dall’insostituibile e decisivo ruolo che i governi nazionali vorranno assumersi nel negoziare attivamente i valori pubblici per conto dei cittadini.

Claudio Riva, PhD, è Professore associato presso l’Università degli Studi di Padova, dove insegna Sociologia dei media e presiede il corso di laurea in Scienze Sociologiche. Tra le pubblicazioni più recenti: Social media e politica. Esperienze, analisi e scenari della nuova comunicazione politica (Utet, Torino, 2021); Sociologia dei consumi (Utet, Torino, 2019, con P. Degli Esposti e F. Setiffi); Sguardi digitali: studenti, docenti e nuovi media (FrancoAngeli, Milano, 2017, con C. Pattaro e C. Tosolini).

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