Il numero di sigilli d’oro, insieme a quelli più rari d’argento, conservati negli archivi o musei europei non supera le cento unità; la raccolta custodita nei depositi dell’Archivio Segreto Vaticano, rappresenta dunque un unicum nel panorama sfragistico mondiale, vista la quantità e la qualità degli esemplari che la compongono. Si tratta, infatti, di ottantuno pezzi, di cui sessantaquattro costruiti in lamina d’oro, quattro in oro massiccio, mentre i restanti tredici sono rappresentati da teche d’oro e argento che contengono impronte in cera. Tutti questi sigilli sono giunti sino a noi appesi ai rispettivi documenti di appartenenza, secondo varie vicissitudini storiche. Tali specimina compaiono, infatti, negli antichi inventari dell’Archivio pontificio, tanto medioevali che cinquecenteschi, i quali danno conto di sparizioni e rinvenimenti avvenuti nel corso delle epoche, seguiti agli spostamenti dei complessi documentari; in epoca napoleonica la collezione dei sigilli d’oro vaticani fu addirittura trasportata a Parigi per ordine del Bonaparte e successivamente recuperata, insieme ad altri tesori, nel 1815 dopo la caduta dell’imperatore. Gli esemplari della raccolta corrono da Federico Barbarossa fino al XIX secolo, documentando sette secoli di storia, di iconografia, di tecniche di arte orafa.
Quale funzione avevano i sigilli aurei?
Come tutti i sigilli in senso generale anche quelli d’oro avevano funzione di garantire patente di autenticità ad un atto scritto, caratteristica più universalmente attestata e nota nel mondo medievale. Dobbiamo tuttavia sottolineare che le prerogative dei sigilli erano anche quelle di affermare una proprietà, certificare la provenienza di un bene o attestare chiusura garantendo integrità o segreto di un contenuto, già a partire dall’Età Antica. Per definizione diciamo che un sigillo è un’impronta ottenuta su un supporto (cera, ceralacca, carta o appunto oro) mediante una matrice che reca incisi i segni specifici di una autorità o di una persona fisica; è opportuno tuttavia ricordare che i sigilli aurei in molti casi sfuggono a questa definizione essendo realizzati in pezzi unici mediante intervento manuale dei singoli orafi e non imprimendo semplicemente la matrice nel metallo.
In quali occasioni venivano adoperati tali sigilli?
I sigilli d’oro – o per meglio dire le bolle auree o crisobolle – ricordando che il termine latino bulla designa nella fraseologia sfragistica un sigillo realizzato in metallo, venivano impiegate per conferire l’autenticità agli atti scritti più solenni che promanavano dalle cancellerie sovrane. La prassi sfragistica aurea, simbolo del ruolo di autorevolezza che il titolare ricopriva, fu appannaggio dell’impero bizantino, come dei sovrani o imperatori delle corti dell’occidente europeo, fino ai dogi della Repubblica Veneta e in misura minore anche dei pontefici, che tuttavia di regola sigillavano i loro atti con il piombo. Come accennato, a motivo dell’elevato prestigio che rivestiva l’uso del sigillo d’oro, la realizzazione di questi esemplari era commissionata dai titolari ad artisti eminenti che crearono di volta in volta veri e propri capolavori di eccelsa fattura orafa; l’artista infatti non otteneva un sigillo semplicemente premendo una matrice nel metallo ma lavorandolo a cesello: le varie tecniche costruttive prevedevano in alcuni casi la realizzazione di due lamine che venivano assemblate l’una sull’altra a formare una sorta di meccanismo che permetteva il passaggio dei cordoni di appensione del sigillo alla pergamena. In questi casi l’interno dell’esemplare era riempito con materiali diversi, per lo più cera o resine, che servivano a consolidare le due lamine allo scopo di evitare lo schiacciamento delle due facce.
Quali sono gli esemplari più significativi conservati nell’ASV?
Come detto la collezione dei sigilli d’oro dell’Archivio Segreto Vaticano annovera esemplari di interesse unico: su tutti spicca ad esempio, il sigillo dell’imperatore Federico Barbarossa, appeso a un diploma del 1164, esemplare più antico della collezione. Questo sigillo raffigura al recto, la figura dell’imperatore barbuto e coronato che tiene lo scettro gigliato e il globo crocigero; il verso mostra la veduta stilizzata di Roma, con il motto leonino, ROMA CAPUT MUNDI REGIT ORBIS FRENA ROTUNDI. Non meno interessanti sono gli esemplari di Enrico VI, (1195-1197), Federico II, (1120-1250) e Ottone IV, (1209-1218), imperatori e del re Bela IV di Ungheria, (1235-1270), che sono simili al primo per tecniche di costruzione e iconografia. Di particolare interesse sono anche le bolle dei sovrani angioini Carlo I (1266-1285), Carlo II (12685-1309) e Giovanna (1343-1381) nelle quali, al verso, è raffigurato lo scudo araldico del loro casato. Menzione di merito spetta al sigillo del papa Clemente VII, Giulio de’ Medici, realizzato in oro massiccio, apposto alla lettera solenne del pontefice con la quale si annuncia la duplice incoronazione di Carlo V avvenuta a Bologna nel 1530 e si invita la cristianità tutta a prestargli obbedienza. Nel recto dell’impronta sono raffigurati i volti dei santi Pietro e Paolo, elementi identificativi dell’iconografia sfragistica pontificia, ancora oggi presenti nelle bolle del papa regnante. Tuttavia l’esemplare probabilmente più significativo della collezione rimane quello del sovrano di Spagna Filippo II (1527-1598); tale sigillo del peso di circa otto etti, ottenuto per fusione, è appeso alla pergamena con fili pure d’oro e mostra il sovrano in tutta la sua magnificenza. Al recto egli siede su trono dal sontuoso baldacchino, armato di spada e con la mano appoggiata sul Grande scudo di Spagna; nel verso invece è raffigurato in sella al proprio destriero, sempre armato, al galoppo e accompagnato dalle medesime insegne araldiche. La pergamena da cui pende il sigillo contiene il giuramento di fedeltà del monarca al papa Paolo IV per l’investitura del regno di Sicilia.
Quali particolari accorgimenti richiedono la conservazione ed il restauro dei sigilli aurei?
Le bolle auree della collezione vaticana, data la natura nobile del metallo di cui sono costituite che non è colpito da fenomeni di degrado fortemente aggressivi, non sono state oggetto di particolari procedimenti conservativi. Nel corso degli ultimi decenni sono state sottoposte a minuziose pratiche di lucidatura per esaltarne le qualità chiaroscurali, soprattutto in occasione di mostre documentarie in cui sono state esposte; più significativi interventi di restauro sono stati eseguiti sui sistemi di vincolo ai documenti, in alcuni casi indeboliti o chiaramente compromessi, come i rispettivi fili o i cordoni di seta. Da un punto di vista più generale di condizionamento, rammentiamo che i sigilli d’oro vaticani sono custoditi in apposite sale climatizzate dell’Archivio pontificio, ove i parametri ambientali di temperatura e umidità vengono costantemente monitorati: parallelamente per ogni singolo documento sono state realizzate delle teche di policarbonato trasparente. Quanto alla loro conservazione preventiva, interessanti lavori di riproduzione dei singoli esemplari della collezione sono stati condotti con tecniche d’avanguardia ad opera del Laboratorio di Restauro e Riproduzione dei sigilli dell’archivio; queste procedure hanno prodotto la realizzazione di copie fedeli agli originali nell’ordine del micron, per evitare la consultazione assidua e indiscriminata dei pezzi e al contempo per favorire iniziative didattiche e di studio dell’intera raccolta.