“Siddhartha” di Hermann Hesse: riassunto

Siddhartha è un «romanzo dello scrittore tedesco, premio Nobel 1946, Hermann Hesse (1877-1962), pubblicato a Berlino nel 1922. Più che di un vero e proprio romanzo, si tratta di un “poema indiano” scritto in uno stile di trasparente raffinatezza. Siddharta, figlio di un bramino, lascia la casa paterna, tormentato da un’esigenza di verità totale, per mettersi in cerca di una saggezza che si accordi totalmente con la vita umana. Accompagnato dall’amico Govinda, penetra dapprima in una foresta dove i saggi Samana gli additano la strada della mortificazione della carne, del digiuno, della rinuncia totale che dovrà condurlo al nirvana; ma questo insegnamento non basta a procurare pace al suo spirito. Incontra successivamente un uomo, una figura diafana e splendente, Gotama detto il Buddha, l’Illuminato, colui che potrà essere il suo intermediario verso la saggezza.

Siddharta vorrebbe che gli insegnasse tutto, ma il Buddha non ha dottrine da diffondere: inviterà invece il figlio del bramino a staccarsi da ogni conoscenza aprioristica del mondo e a prepararsi a tutte le esperienze. La vera saggezza non è nel rinnegamento dell’anima, ma nella sua dilatazione sino a raggiungere l’anima del mondo; cioè nell’accettazione totale. Siddharta deve quindi vivere una vita banale per imparare a superarla. Lasciata la foresta, eccolo in città dove inizia il comune cammino degli uomini, incontra la bella e sensuale cortigiana Kumala e il mercante Kamasvani, al quale ben presto s’associa. Per lungo tempo egli sembra smarrirsi e soltanto quando sarà stato segnato dalle tare della civiltà, vecchio, stanco e prossimo alla morte, ritroverà la saggezza in un disgusto immenso che lo indurrà a una nuova solitudine sulle rive del fiume, simbolo dell’infinito e della pace concessa a coloro che hanno rinunciato a perseguire l’interesse materiale. Può così conoscere la libertà, che non è più quella meschina cosa additatagli dai Samana, ma il punto d’arrivo di un’esperienza di vita totale e consapevole, cioè un’adesione e una partecipazione all’universo.

Al personaggio di Siddharta, Hesse contrappone quello dell’amico Govinda, inteso verosimilmente come il simbolo della civiltà europea, che è indifferente ai valori spirituali o al più li considera alla stregua di tecniche conoscibili con metodi razionali. Alla fine del romanzo, Govinda naturalmente non ha imparato nulla e, vedendo che l’amico è arrivato alla verità suprema, viene a supplicarlo di “insegnargli” la saggezza. Ma questa non è cosa che s’impari, e Siddharta si limita a dargli un bacio.

Iniziato nel 1919, il romanzo testimonia quanto l’Oriente non fu per Hesse solo un paese o un’entità geografica, ma patria dell’anima. È del 1911 il suo “pellegrinaggio in Oriente”, di cui parla in poesie e lettere e che fu primo antecedente del romanzo. L’opera ebbe una seconda stagione di nuova, immensa popolarità dopo il successo incontrato fra i “figli dei fiori” del 1968 americano e da lì ripassando l’Atlantico in una costante fortuna che ha incrociato, al passaggio del millennio, lo spirito “new age”.»

tratto da Dizionario Bompiani delle opere e dei personaggi di tutti i tempi e di tutte le letterature, Bompiani

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