
Da quali condizioni originano i principali rischi per la sicurezza urbana?
Le condizioni che fanno insorgere rischi e criticità per la sicurezza urbana sono dovute alle trasformazioni della società che inducono un maggiore bisogno di protezione, che rischia spesso di essere fronteggiato secondo modalità che portano a opportunità e sofferenze profondamente diseguali, sino ad accettare l’esclusione – per quello che “è” e non per quello che “fa” – di chi rappresenterebbe un pericolo per la società. Il legislatore, nonostante le forti resistenze di chi vorrebbe affidarsi alla sola repressione, sta acquisendo consapevolezza di dover realizzare un controllo sociale capace di dare risposte efficaci alla vittimizzazione diffusa e al disordine urbano, che non sia discriminatorio o meramente simbolico, attraverso interventi sinergici dello Stato di diritto e dello Stato sociale. Lentezze e ritardi ostacolano la capacità di dare vita a metodi di lavoro stringenti, per costruire una forte e vincolante integrazione tra le diverse funzioni pubbliche che governano l’organizzazione sociale, il contrasto ai fatti criminosi, il rispetto delle regole e la protezione della coesione sociale. Non si è ancora imposta l’idea che la sicurezza urbana è un fenomeno indivisibile e che non basta che ogni «attore» faccia bene, ma in solitudine, la propria parte.
Come può una cultura condivisa della prevenzione porsi quale fondamento delle politiche integrate di sicurezza?
Apparentemente sono tutti d’accordo che, in presenza di criticità per la sicurezza urbana, non può bastare il limitarsi a prevedere e applicare sanzioni nei confronti di chi viola obblighi e divieti e men che meno, il considerare risolutivo allontanare da specifici luoghi le presenze non gradite. Allontanare dall’atrio della stazione una persona che non ha più la casa sposta il problema da un’altra parte senza risolverlo. Perché questo possa realizzarsi effettivamente e non si riduca a vuota retorica, occorre praticare la capacità d’intervenire soprattutto sui fattori che generano le condizioni d’insicurezza. L’allarme diffuso per la sicurezza ha condizionato negativamente il legislatore, che non riesce ad abbracciare con determinazione la strada delle politiche integrate. Se esaminiamo le leggi che si sono susseguite, nonostante lo sforzo per introdurre nell’ordinamento, finalmente, almeno l’idea di fondo di politiche integrate di sicurezza con la legge Minniti n. 48/2017, il quadro normativo e il sistema amministrativo non hanno imboccato sino in fondo questa strada. La prevenzione, anziché essere integrata, ha finito col privilegiare spesso il solo controllo sociale e, quest’ultimo, è stato appiattito quasi esclusivamente sul ricorso alla sanzione.
Come si attuano le politiche di prevenzione in tema di sicurezza urbana?
L’assommarsi di esigenze di consenso, poco lungimiranti, tra le forze politiche e le istituzioni, contraddice il carattere sussidiario delle sanzioni, alle quali spesso le leggi e l’azione amministrativa ricorrono in modo esclusivo e ridondante per fronteggiare fenomeni dall’eziologia articolata, riducendole così a reazioni «simboliche» e per nulla attente alla rimozione delle cause. La legge Minniti sulla sicurezza urbana fa passi avanti, coi suoi importanti punti fermi per le politiche integrate, ma delinea in modo ancora inadeguato le «forme di coordinamento» possibili coi patti per la sicurezza; enuncia i compiti di Conferenza unificata e Conferenza stato – città ma trascura il ruolo fondamentale delle regioni nelle politiche di sicurezza sovracomunali; rafforza i divieti di «stazionamento» col Daspo urbano ma non si fa carico delle persone che li violano; non adegua pienamente i regolamenti comunali di polizia e di sicurezza urbana e le ordinanze del sindaco ai richiami della Corte costituzionale su «modalità» legali di obblighi e divieti, a garanzia della libertà personale; non affronta compiti e funzioni della polizia locale, che andrebbero riscritti da capo. Partendo dai passi compiuti in direzione della prevenzione integrata, è necessario sviluppare con decisione il nodo del coordinamento voluto dall’art. 118 co. 3 Cost., contribuendo a delineare politiche integrate di sicurezza urbana orientate costituzionalmente, in un sistema che riservi compiti residuali alle sanzioni, in base ai vincoli costituzionali
In che modo è possibile trovare un equilibrio tra azioni proattive e reattive?
L’art. 4 della legge n. 48/2017 inquadra, tra le politiche di sicurezza urbana, gli «interventi di riqualificazione, anche urbanistica, sociale e culturale, e recupero delle aree o dei siti degradati, l’eliminazione dei fattori di marginalità e di esclusione sociale, la prevenzione della criminalità, in particolare di tipo predatorio, la promozione della cultura del rispetto della legalità e l’affermazione di più elevati livelli di coesione sociale e convivenza civile». La norma mette in evidenza il tratto fondante delle politiche integrate di sicurezza urbana, quello di non limitarsi a perseguire il solo controllo sociale e di non ridurre quest’ultimo al sistema delle sanzioni. Le politiche di sicurezza urbana devono valorizzare, prima di tutto, gli interventi «proattivi» che, col cambiamento e il miglioramento, anticipano le criticità, proteggono, offrono alternative. Solo successivamente si passa a misure «reattive» che, accessoriamente, contrastano le criticità, costringono, proibiscono, impediscono, puniscono. La nuova disciplina mette in valore profili di discontinuità dal tradizionale governo statuale della sicurezza che ha storicamente privilegiato la risposta reattiva anche se, per ora, siamo in presenza dell’incerto avvio di un percorso che apre alla proazione e persegue la rimozione di criticità e rischi e la protezione e difesa dai pericoli. Gli strumenti attivati non si accontentano di punire o di chiamare le persone a tutelarsi da sole, in una sorta di legittima difesa diffusa, ma invitano a farlo insieme, accomunando cittadini istituzioni e comunità civile. Il nuovo equilibrio tra azioni proattive e reattive consiste in un approccio diverso alla prevenzione, che cerca nuove strade per ovviare alla crisi d’efficacia del sistema della giustizia e della sicurezza pubblica che, tuttora, rischiano d’interloquire soprattutto con le paure diffuse, stante la difficoltà e l’insufficiente impegno a garantire livelli soddisfacenti di sicurezza oggettiva di fronte alla dimensione preoccupante dei conflitti, finendo col privilegiare le valenze simboliche che parlano ai singoli, e non a concreta prevenzione strategica che tutela le comunità risolvendo i problemi.
Che nesso esiste tra sicurezza urbana e controllo sociale?
La ridefinizione dei compiti del governo locale, tradizionalmente estraneo a funzioni di sicurezza pubblica, ma chiamato negli ultimi decenni a coinvolgersi nelle politiche di sicurezza urbana, deve creare equilibrio tra interventi reattivi e tutela i diritti sociali, favorendo gli interventi migliorativi anticipatori in funzione proattiva, capaci di realizzare o ripristinare il controllo sociale, salvaguardando le condizioni di vivibilità e creando i presupposti perché i fatti criminosi non maturino, si riducano o attenuino i loro effetti. Per individuare il nesso che esiste concretamente tra sicurezza urbana e controllo sociale, verificando se vi sia il giusto equilibrio tra modalità proattive e reattive, sarebbe necessario un quadro istituzionale nel quale la buona politica assuma un ruolo determinante. L’insicurezza urbana è tendenza strutturale dell’attuale condizione sociale dalla quale non si può uscire negando la doverosità del controllo sociale, ma è innegabile che il governo di tale tendenza si concretizza in un ventaglio di opzioni, assai diverse tra loro. Il nesso in questione, inevitabilmente, è legato alle caratteristiche e ai contenuti che si intende dare ai diversi interventi.
Quale ruolo ha il sistema punitivo nella disciplina legale della sicurezza urbana?
Il ruolo del sistema punitivo, nel quadro delineato, non ha carattere assoluto, valido in ogni situazione e, per raggiungere il risultato, non deve legare la prevenzione generale dell’insicurezza urbana a una certa quantità o qualità afflittiva delle conseguenze sanzionatorie. Il ruolo del sistema punitivo ha sempre carattere relativo. Nei reati il rigore della sanzione penale trova limite nella colpevolezza, nel senso che sarebbe contrario al principio costituzionale di responsabilità penale personale, aggiungere un surplus ingiusto di sofferenze al condannato, al solo scopo di dissuadere i consociati da delinquere. Anche negli interventi per la sicurezza urbana, quasi esclusivamente extrapenali, il sistema punitivo ha un ruolo relativo e non può rispondere solamente al quesito su quanto debbano essere severe le sanzioni per conseguirla. Il quesito va impostato diversamente, valorizzando il ruolo che compete, nel quadro della sicurezza urbana, agli interventi proattivi che, come detto, anticipano, cambiano, migliorano, proteggono e, così facendo, offrono alternative alla necessità di adottare gli interventi reattivi che, invece, ricorrono a coercizione, proibizione, impedimento e punizione. Gli interventi proattivi si uniformano al principio di ultima ratio delle norme punitive, che deve rappresentare l’idea-guida del sistema della sicurezza urbana, consentendo di verificare fino a che punto il legislatore debba prevedere norme e la pubblica amministrazione debba realizzare interventi, che producono controllo sociale, senza ricorrere a quelli reattivi, creando le condizioni perché la sanzione punitiva non sia necessaria e possa intervenire solamente in seconda battuta, dopo che il ricorso ad altri strumenti sia risultato vano. Il principio deve progressivamente diventare parametro limitativo, per dare coerenza al sistema, a tutela della persona da compressioni non solo inutili, ma evitabili ricorrendo a strumenti proattivi.
Quale ruolo hanno gli enti locali nella disciplina della sicurezza urbana?
La città è luogo in trasformazione, la cui evoluzione fa insorgere, sviluppa e concentra in modo significativo i rischi, le criticità e i comportamenti che integrano i disvalori dell’insicurezza e inficiano vivibilità, tranquillità, quiete, convivenza e relazioni, accrescendo le paure, sino a compromettere, impoverire e rendere disuguali, spesso in termini odiosi, gli aspetti positivi della modernità. Il compito di garantire all’azione locale di non contraddire i fondamentali principi di uguaglianza e imparzialità della pubblica amministrazione, adottando misure troppo diverse tra i singoli territori o dovute alle diverse opzioni politico culturali degli amministratori, grava sulla legge statale, secondo criteri enunciati anche dalla Corte costituzionale. La legge, al riguardo, svolge una funzione delimitativa, selettiva e chiarificatrice per individuare rischi e criticità rilevanti per la sicurezza urbana. Questa imprescindibile esigenza impone la costante verifica dell’appropriatezza degli strumenti e delle garanzie che delimitano l’invasività degli interventi. Il criterio che viene frequentemente proposto per garantire la sicurezza urbana, perseguendo in modo uniforme obiettivi che accomunano i diversi enti locali, si rifà al modello proattivo della «resilienza delle città», la capacità di recuperare autonomamente gli equilibri che si sono alterati, che la protegge potenziando l’azione quotidiana di prevenzione sul territorio attraverso organizzazione, interventi, servizi, controlli e vigilanza. Accanto al governo locale, funzione originaria nel sistema statale, che deve essere definita dalla legge prevedendo poteri, funzioni, istituti discipline ecc., la resilienza fa «rientrare» le patologie della sicurezza urbana, siano esse strutturali o situazionali, e consiste in un dinamismo che non s’attiva spontaneamente, ma richiede l’azione consapevole delle istituzioni e delle comunità, per valorizzarla come contromisura all’insicurezza, poiché la sua efficacia dipende dalla capacità di rendere appropriate e adeguate le politiche locali, rispetto a caratteristiche di ciascun territorio, ai problemi dell’oggi, alle esigenze, ai punti di forza, alle debolezze e ai limiti e dunque ai profili concreti, inficiati dall’insicurezza, che devono ritrovare una nuova «stagione» positiva.
Quali nodi restano irrisolti in tema di polizia locale?
L’attuale legislazione definisce in modo inadeguato la funzione di polizia locale e non garantisce pienamente l’efficace contributo che essa potrebbe dare, di fronte ai cambiamenti sociali, economici e istituzionali intervenuti nella società italiana. L’imporsi del problema della sicurezza urbana ha messo ancora di più in luce che le funzioni di polizia locale devono integrare, non solo quelle che la caratterizzano da sempre, in senso municipale, attente a garantire equilibrio tra il rispetto delle norme e le esigenze delle comunità, ma anche i più impegnativi compiti ausiliari di polizia di sicurezza e di polizia giudiziaria e gli interventi ed azioni legati a nuove competenze che fanno capo ai comuni. La vita delle comunità, a fronte dei problemi della sicurezza urbana, assegna alla polizia locale un ruolo reso ancor più complesso dal mutamento sociale, ad un tempo più impegnativo e indispensabile per il buon funzionamento della comunità. Si sono trasformati i compiti, intensificati nel numero e nella rischiosità, in un quadro che pone nuovi problemi di disciplina legale per la dipendenza funzionale, la gestione delle attività, l’inquadramento nel sistema degli enti locali, le dotazioni, la formazione professionale e l’armamento. Le attribuzioni della polizia locale spaziano tra numerose materie di competenza statale, regionale e degli enti locali, rendendola il principale attore della polizia amministrativa locale in ciascun comune, ove deve garantire, in particolare, il controllo e rispetto del complesso sistema di regole sullo stato sociale che gravano soprattutto su competenze municipali. La modifica costituzionale del 2001 ha colto la trasformazione dei fenomeni e delle esigenze di controllo sociale, costringendo a rivedere l’idea che le funzioni di polizia amministrativa locale si avviassero verso un tramonto inesorabile dovuto alla perdita di autonomia dalla restante attività amministrativa. Il rafforzamento delle esigenze di sicurezza urbana ha reso evidente, spesso in modo repentino, che lo stato sociale non può limitarsi a promuovere attività pubbliche congegnate come azioni di sviluppo, progresso, valorizzazione, ma deve costruire nuovi equilibri sociali che comportano verifiche, valutazioni e controlli, senza ripiegare sulla sola risposta reattiva che contrasta le trasgressioni. Purtroppo i diversi e ben articolati progetti di riforma della polizia locale, che si facevano carico di questi problemi, si sono sempre arenati nelle aule parlamentari.
Giorgio Pighi, Professore associato f. r. ha insegnato Diritto penale e Diritto e politiche della sicurezza urbana (Giurisprudenza Unimore). Sindaco di Modena (2004-2014), Presidente del Forum Italiano e vicepresidente di quello europeo per la sicurezza urbana. É avvocato penalista. È stato componente della Commissione ministeriale (2017) sulla riforma di misure di sicurezza, assistenza sanitaria penitenziaria, e pene accessorie. Ha approfondito problemi penalistici di forte impatto sociale, come reato giovanile, sistema penitenziario e abuso edilizio, orientandosi poi ai rapporti fra sicurezza urbana e sistema penale. Sul tema, prima di Sicurezza urbana integrata e sistema punitivo, Giappichelli 2020, ha pubblicato, con Franco Angeli, Sicurezza, legalità e coesione sociale (2006), Le migrazioni negate (2008) e La sicurezza urbana indivisibile (2014).