“Shopping Experience. Dalla bottega all’e-commerce: il commercio agile e i nuovi significati di consumo” di Carlo Meo

Dott. Carlo Meo, Lei è autore del libro Shopping Experience. Dalla bottega all’e-commerce: il commercio agile e i nuovi significati di consumo pubblicato da Hoepli: l’e-commerce è destinato a sostituire il retail?
Shopping Experience. Dalla bottega all'e-commerce: il commercio agile e i nuovi significati di consumo Carlo MeoDirei proprio di no, sono due tipi di commercio sicuramente alternativi ma anche molto complementari. Il recente acquisto da parte di Amazon di Whole food, la principale catena “fisica” di prodotti bio, dimostra che per certe merceologie, specialmente il food, il commercio fisico è ancora vincente. Ma dipende tutto dai comportamenti di acquisto delle persone che comprendono sia praticità e velocità del digitale che l’esperienzialità del negozio con la sua merce. Dipende da momento e dal bisogno, se resto in ufficio fino tardi posso sceglier tra una spesa on line o un pasto recapitato a casa, oppure andare al ristorante, in gastronomia o al supermercato…

Quali nuovi modelli di consumo e relazione si sono imposti?
La nuova tendenza e, torno al punto precedente, è la fusione tra due concetti un tempo totalmente in antitesi: l’emozione e la soluzione. Oggi le persone voglio vivere esperienze di acquisto memorabili anche quando legate ad esigenze più funzionali, queste ultime si sono anch’esse evolute verso una complessità di esecuzione specialmente, per i commercianti, sempre più marcata. Decisioni di acquisto come Comprare un gelato, cenare, comprare il pane, scegliere l’attrezzatura per andare a correre al parco, richiedono una ricerca di qualità, Esperienza e soluzione per i prodotti e i negozi inimmaginabili fino a poco tempo fa. Come vede non parlo del prezzo… siamo tutti più attenti a spendere, ma possiamo vederla al contrario, vogliamo spendere solo per esperienze di acquisto memorabili.

Temporaneità e mobilità sono le caratteristiche di un nuovo modello di commercio agile: come si declinano?
Una volta aprire un’attività commerciale era per sempre, per la vita. Come il posto fisso in banca. Oggi invece gli orizzonti temporali si sono ridotti, i negozi aprono e chiudono in una stagione. Il mondo esperienziale del commercio ha insito un limite, le esperienze una volta inventate sono già diventate obsolete, è un paradosso certo ma noi consumatori siamo alla continua ricerca di novità. In questo contesto la temporaneità che si concretizza nell’apertura di negozi a “termine”: è una buona prassi sia per testare nuovi approcci di marketing e capire i comportamenti di consumo, sia per testare una formula retail che può essere replicata e quindi diventare permanente.

Qual è il ruolo dei concept store?
Trasferire tutti valori di un brand al consumatore finale, cosa che il canale, proprio perché intermediario non può fare. Oggi i brand della moda o del food investono budget importanti per creare engagement con i proprio clienti, ma spesso chi vende i loro prodotti non è all’altezza della strategia scelta, oppure come capita spesso sta per chiudere… La scelta di scender in campo direttamente aprendo dei negozi diretti sta diventando obbligata, solo che il mestiere del produttore e quello del commerciante sono completamente diversi. Aprire concept store vuol dire anche proporre un utilizzo del proprio prodotto legato a un’esperienza di consumo nuova rispetto allo stesso prodotto venduto tal quale su uno scaffale.

Cos’è la disintermediazione e cosa comporta?
È il fenomeno del momento, prima politico e sociale, poi anche del commercio. Fare a meno di chi ne sa, chi è esperto, di chi ti rappresenta. Far da soli e andare direttamente alla fonte. Nel commercio è rappresentato da chi fa business senza avere investito né in capitali né in attrezzature, Uber che usa le macchine degli altri, Airbnb le tue case, Foodora, Deliveroo e Just eat le gambe e le biciclette dei giovani disoccupati, però come cliente paghi loro e non chi fa il veramente il lavoro. Per ora gli esempi sono pochi e concentrati in business piuttosto “ovvi”, i rapporti, le vacanze, i pasti a domicilio. Vedremo cosa succederà in futuro… per ora è chiaro che questa tendenza si riflette in un comportamento di consumo più indipendente e consapevole delle persone, gli “esperti” siamo noi ora e c’è il rischio che il ruolo del commerciante sia messo ancor più in discussione.

La grande distribuzione ha definitivamente surclassato i piccoli commercianti?
Direi proprio di no, gli ultimi son anni di grande ripresa del dettaglio specializzato di qualità. I centri commerciali chiudono. Il macellaio, il panettiere, li falegname, l’artigiano si contrappongono alla standardizzazione del grande distribuzione che non innova più e non interpreta i nuovi significati di consumo. La spesa è un concetto superato insieme all’accumulo di prodotti nei frigoriferi e nelle dispense…, oggi il problema della persone è trovare una soluzione di pasto per pranzo e cena. È per questo che il settore somministrazione cresce a due cifre e i macellai e i panettieri cucinano oltre a vendere. Il tentativo della grande distribuzione di entrare nel settore premium non mi sembra coerente con il posizionamento e la missione delle insegne: un supermercato è un supermercato, il tema è piuttosto di aggiornare i format alle nuove esigenze i consumo. Eataly è un caso unico e comunque è l’esempio di una nuova formula distributiva, tanto quanto lo era l’ipermercato alla francese negli anni 90.

Quale futuro per il commercio?
Fare il commerciante oggi è uno dei mestieri più difficili, essere cliente-consumatore è invece molto facile.
Come potenziali consumatori possiamo quello che vogliamo, acquistare non ha più limiti di spazio né di tempo, il negozio fisico è un’opzione tal quale a un click sullo smartphone, il vostro quartiere è un’area di shopping con lo stesso valore emotivo di un aeroporto o una stazione. L’imperativo che ci guida in una vita secolarizzata è di avere più esperienze possibili senza nessuna promessa di eternità: seguire un’esigenza di gustarsi tutte le opportunità rispetto al ritmo di un tempo sempre più accelerato che non ci consente di fermarci bensì di cavalcare l’onda continuamente. Si tratta quindi di collezionare più che vivere le esperienze di acquisto, di provare e valutare a ripetizione nuovi concept di vendita, di essere in dovere di farlo, proprio seguendo l’imperativo della mancanza di tempo, piuttosto che di godersi l’esperienza per quella che è. Se riportiamo il discorso a livello di acquisto di prodotti, l’accelerazione avviene ormai attraverso il processo di sostituzione del prodotto stesso, causa la sua rapida obsolescenza, piuttosto che con la continuità del possesso o con un’eventuale riparazione.

Il mestiere di commerciante già difficile di per sé stesso, diventa in queste condizioni quasi impossibile. Paradossalmente quanto descritto in precedenza, a parità di situazione economica generale, aumenta le possibilità di vendita dei commercianti: se vivere più esperienze di acquisto è ormai un imperativo etico, chi in teoria le può offrire, il commerciante, dovrebbe essere favorito. Ma come ho cercato di dimostrare in questo libro creare un’esperienza di acquisto richiede creatività e metodo, quindi il giusto tempo che stride con il contesto di accelerazione temporale dei consumi. In teoria, anche ammettendo che questa desincronizzazione sia risolta e il negozio venga aperto con la migliore esperienza di consumo possibile, questa sarà già “a scadenza”, perché presto sarà sostituita da un concept di negozio ancor più innovativo.

Il concetto di retail “agile” nasce come necessità di soluzione a questa contraddizione degli opposti per rilanciare il mestiere di commerciante verso una nuova professionalità che dia soddisfazioni personali ed economiche. Si può cavalcare l’onda interpretando il mestiere come a termine, una parentesi, speriamo di successo, in una vita ricca di stimoli, in questo caso gli atteggiamenti di commerciante e consumatore, direi di essere umano coincidono, fluidità e accelerazione ci spingono a provare un mestiere, l’orizzonte temprale è limitato, il successo un optional, “il fare” un dovere. Oppure e ho cercato di dimostralo in questo libro, l’agilità è la riscoperta di un talento del mestiere aggiornata al presente: la capacità naturale di chi fa commercio ad adattarsi continuamente, proprio in funzione dell’accelerazione del tempo, all’evoluzione del mercato. Tenere duro, evolversi, spezzare il cerchio della collezionabilità e dell’apparente sostituibilità dei concept commerciali, ridare alle persone un tempo di qualità nel mondo dei consumi.
Alla fine si tratta di creare esperienze di acquisto di valore per le persone, quelle memorabili per il cuore e la mente, quelle che ti fanno ritornare più volte nello stesso negozio.

Carlo Meo è amministratore delegato di Marketing and Trade, società di consulenza sui comportamenti di consumo e di retail design. È uno dei massimi esperti internazionali sui comportamenti di consumo e sulla concettualizzazione dei luoghi di acquisto. Insegna al Politecnico di Milano, è inoltre docente e membro del comitato scientifico dei corsi New Entertainment design e Food Experience design del Polidesign di Milano.

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