“Sempre più soli. Il pianeta alle soglie della sesta estinzione” di Maurizio Casiraghi

Prof. Maurizio Casiraghi, Lei è autore del libro Sempre più soli. Il pianeta alle soglie della sesta estinzione, edito dal Mulino. Se nel passato erano stati immensi disastri naturali a causare le cosiddette “big five”, le cinque precedenti grandi estinzioni, oggi, nell’era dell’Antropocene, i responsabili dei cambiamenti nella biodiversità siamo noi, la “specie prepotente”: come siamo arrivati a questo punto?
Sempre più soli. Il pianeta alle soglie della sesta estinzione, Maurizio CasiraghiPer rispondere dobbiamo partire da un dato molto chiaro: siamo arrivati a questo punto molto velocemente. Mi verrebbe da dire “troppo” velocemente. Nella storia della nostra specie, un momento chiave è rappresentato dalla nascita dell’agricoltura, circa 10.000 anni fa. Da quel momento i nostri antenati sono diventati stanziali e questo ha posto le basi per la modernità. I semplici accampamenti sono diventati villaggi e poi città.

In quel momento, 10 millenni fa, sulla Terra l’intera popolazione umana contava solo un milione di esseri umani. Uno sparuto gruppo di persone che sulle dinamiche complessive del pianeta erano quasi invisibili. La nostra popolazione da allora è in continua crescita, certo inizialmente in modo più lento, perché abbiamo raggiunto il miliardo solo all’inizio del 1800. Però da allora, in poco più di 200 anni, siamo diventati 8 miliardi.

In termini biologici, le dinamiche con cui la nostra specie è cresciuta nel numero di individui ci rendono simili a una specie invasiva, tanto che Luigi Luca Cavalli Sforza, che ha studiato la genetica delle nostre popolazioni per tutta la vita, ha coniato il termine di “specie prepotente”. Trovo la definizione molto efficace perché è proprio di un prepotente un misto di ignoranza e menefreghismo sulle conseguenze delle proprie azioni che purtroppo ben ci rappresentano.

Capiamoci bene, il nostro pianeta ha vissuto momenti drammatici per la biodiversità, con crisi globali di portata catastrofica. Per fare un esempio, circa 250 milioni di anni si sono estinte oltre il 95% di tutte le specie viventi presenti in quel momento. Un’autentica ecatombe, sulle cui cause i ricercatori stanno ancora dibattendo. Chiamiamo gli eventi di questa portata “estinzioni di massa”. Sono stati dei momenti in cui si è estinto almeno il 75% delle specie viventi. Sappiamo che negli ultimi 500 milioni di anni si sono ripetuti episodi drammatici almeno 5 volte. Tutti ricordiamo il più famoso di questi eventi, causato con buona probabilità da un meteorite che colpendo il nostro pianeta, circa 66 milioni di anni fa, ha portato all’estinzione dei dinosauri rettiliformi.

Possiamo dire che la biodiversità è dinamica e nel tempo alterna momenti di rigogliosità ad altri di difficoltà. Sono le due facce della stessa moneta, da una parte troviamo la nascita di nuove specie, le “speciazioni”, mentre sull’altra c’è la loro scomparsa, che conosciamo con il termine estinzione.

Noi esseri umani siamo diventati tanti e molto ingombranti e gli effetti dell’antropizzazione stanno modificando fortemente il mondo circostante: consumo di suolo, frammentazione degli habitat, effetto serra, acidificazione degli oceani, cambiamento climatico sono solo alcune delle nostre azioni sul mondo che ci circonda. Forse è una delle prime volte, nella storia della vita sulla Terra, che una specie modifica in un tempo così breve l’ambiente in cui vive. Non siamo in grado di dire se questo avrà conseguenze così catastrofiche da diventare un’estinzione di massa, ma di certo l’evento è traumatico per noi perché è il mondo che ci circonda da vicino, quello in cui siamo immersi, a cui siamo intimamente legati, a essere messo in grave difficoltà.

Dovremmo capire che quello che sta sparendo è prima di tutto il mondo in cui viviamo. Le conseguenze delle nostre azioni non sono facilmente prevedibili.

Che importanza riveste la biodiversità?
La biodiversità è il motore che anima il nostro mondo. È la vera forza che ne guida l’evoluzione. Il numero di pianeti che conosciamo nell’universo è davvero irrisorio, ma di una cosa possiamo essere certi. Per ora l’unico a essere caratterizzato per la vita per la quasi totalità della sua storia è la Terra.

La prima immagine che viene in mente pensando alla biodiversità è quella di luoghi esotici, come una foresta equatoriale o una barriera corallina. Certo, luoghi meravigliosi, ma non è questa l’immagine giusta. La biodiversità non è qualcosa di lontano, ma ogni essere vivente ne è immerso e permeato. Per quanto possa essere difficile da immaginare, ogni essere vivente evolve in stretto legame con tutti gli altri esseri viventi. Noi, come tutte le altre specie, siamo il risultato di queste interazioni evolutive. Nessuna specie è fondamentale nello stesso momento in cui tutte sono essenziali.

Una grande ricercatrice biologa, Lynn Margulis, sosteneva che la vita sulla Terra non si è affermata con lo scontro, ma grazie alla cooperazione. L’essenza della biodiversità è la sua dimensione cooperativa.

Perché dovrebbe interessarci conservare la biodiversità?
La nostra presenza così ubiquitaria sulla Terra rende veramente complicata la coesistenza con il resto del mondo vivente. Non possiamo pensare che una specie così pervasiva come la nostra possa trovare un equilibrio con il mondo più naturale dal quale proveniamo. Ecco quindi la necessità di una gestione della biodiversità.

Fino ad ora ci siamo comportati come dei predoni, che hanno preso tutto senza troppo pensarci. La strategia non è più sostenibile.

Tuttavia, direi che non ha proprio funzionato fino a ora immaginare una tutela della biodiversità per il suo ruolo chiave nelle dinamiche evolutive. E allora vorrei provare un approccio diverso. Paradossalmente dovremmo pensare che conservare la biodiversità non va fatto semplicemente perché la biodiversità sia bella o sia utile. La tutela della biodiversità è anche un atto di estremo egoismo: nel farlo stiamo cercando di mantenere inalterato il mondo in cui viviamo.

Il destino che ci attende è ineluttabile?
Questa è la domanda più difficile. Quando si fanno previsioni nelle dinamiche evolutive si cade spesso in eccessive semplificazioni, errori e imprecisioni. C’è un punto su cui possiamo però essere sicuri: l’uomo ha indubbiamente generato i problemi per la biodiversità del pianeta, ma nello stesso tempo rappresenta anche l’unica possibile soluzione.

Da questo dualismo deriva la difficoltà nel trovare il bandolo della matassa. Alcuni aspetti dell’attuale situazione non ci possono rendere ottimisti. È quasi banale affermare che le scelte in grado di incidere sulle dinamiche globali della biodiversità dovrebbero essere prese a livello sovranazionale. Negli ultimi mesi ci siamo riempiti la bocca di concetti quale quello di “transizione ecologica”. Ma perché si realizzino cambiamenti in grado di trasportarci in un altro mondo, rischiano di non bastare più le scelte di un singolo paese.

Pensate che il padre del moderno concetto di biodiversità, Edward Osborne Wilson, in uno dei suoi ultimi libri ha addirittura ipotizzato che per recuperare i danni arrecati, l’uomo dovrebbe ritirarsi dal 50% del mondo che ha occupato. Sarebbe così possibile permettere al mondo di recuperare equilibri e dinamiche perdute. Si tratta chiaramente di un’immagine utopica.

In un mondo in cui la guerra sembra ancora la possibile risoluzione dei conflitti, non possiamo immaginare grandi scelte nell’immediato da parte dei governi planetari.

Dobbiamo farcene una ragione: non esistono ricette prestabilite. Ma in tutto questo, le iniziative di ognuno di noi, di ogni singolo cittadino, diventano essenziali per le dinamiche che regolano la biodiversità. Recarci al supermercato a fare la spesa, decidere quante volte usare la macchina con motore a combustione, sono esempi di elementi che assumono un ruolo sempre più chiave nell’economia dell’ambiente.

Maurizio Casiraghi è professore di Zoologia all’Università di Milano-Bicocca e Prorettore alla didattica. “Zoologia” ed “evoluzione” sono le due parole chiave che descrivono le sue ricerche. Studia le simbiosi e le interazioni tra gli organismi perché lo affascinano le intricate relazioni che uniscono i viventi del nostro pianeta. Ha sempre apprezzato osservare da più punti di vista le tematiche di cui si è occupato perché l’approccio integrato è il vero cuore della ricerca moderna. È molto interessato alla comunicazione della scienza.

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