“Scrivere di sé” di Michele Marziani

Michele Marziani, Lei è autore del libro Scrivere di sé pubblicato da Editrice Bibliografica. Diceva la scrittrice americana Flannery O’Connor che «chiunque sia sopravvissuto alla propria infanzia possiede abbastanza informazioni sulla vita per il resto dei propri giorni»: cosa significa attingere dalla propria vita e trasformarla in un memoir?
Scrivere di sé, Michele MarzianiÈ un modo per tramutare qualcosa che conosciamo bene in una storia da raccontare. Il memoir è una forma narrativa che permette di attingere dalla nostra vita per costruire il mondo che vorremmo mettere a disposizione del lettore. È un percorso di trasformazione che parte da quello che ci appartiene per tentare di farlo diventare una sorta di patrimonio universale. Flannery O’Connor credo che più di altri abbia saputo costruire una narrativa potente, capace di parlare all’animo umano, prendendo spunto dalle cose, anche minuscole e all’apparenza poco significanti, che accadevano intorno a lei. Senza andare tanto lontano penso alla meraviglia dei pavoni, raccontati all’inizio della raccolta di scritti dell’autrice dal titolo Nel territorio del diavolo.

Anzi, direi che il memoir è la dimostrazione che solo trasformando ciò che si conosce bene si può arrivare a una scrittura che non annoia, libera di inutili ricordi personali. Occorre compiere una sorta di distillazione di se stessi. Sempre che il nostro fine sia narrativo.

Che funzioni può avere la scrittura autobiografica?
Infatti qui sta il nodo. Il mio manuale Scrivere di sé non si occupa di tutti quei segmenti della scrittura autobiografica che possiamo in maniera un po’ grossolana definire “terapeutici”. Personalmente sono un narratore e nella vita tengo anche corsi di scrittura creativa. Non ho niente a che fare con la psicologia e la cura. Scavare dentro di sé attraverso le parole, utilizzare la penna per compiere analisi profonde e ritrovarsi a lenire il mare di vivere, credo sia molto utile, sano e anche un modo intelligente per affrontare qualsiasi problema. Ma non è di questo che si occupa il mio lavoro, bensì della possibilità che quello che abbiamo dentro prenda una strada, acquisti una voce originale, quella unica di chi sta raccontando, per raggiungere un risultato narrativo. Che sia solo per noi, per i nostri figli, per gli amici o ambisca alla pubblicazione e al successo non è importante. La finalità del mio libro è solamente relativa alla scrittura, alla capacità che le parole hanno di scavare, trasformare, trasformarsi e, nella migliore delle ipotesi, diventare universali, ovvero destinate ai lettori.

Da cosa nasce l’urgenza di scrivere?
Credo appartenga a una sorta di mitologia occidentale, a qualcosa che sentiamo nel profondo, alla necessità di esprimerlo e di farlo attraverso un mezzo – la scrittura – che sentiamo alto e potente. L’abitudine a leggere e a scrivere che coltiviamo sin dall’infanzia, la consapevolezza che il mondo che sta dentro ai libri è molto più vasto e interessante di quello che possiamo esperire nella vita quotidiana, ci spingono in questa direzione. Ho avuto un’infanzia per me noiosissima – città di provincia, grigi condomini anni Sessanta, tutti i figli del boom economico in cortile a fare giochi tipo il calcio che ho sempre detestato o il papà nel gineceo delle bambine – fino al giorno in cui la scuola mi ha salvato la vita insegnandomi a leggere. Da allora tutto è diventato meno cupo, meno inutile, infinitamente più divertente. Per me l’urgenza di scrivere è stata il desiderio di far parte di questo mondo fatto di parole che trovavo incredibilmente più bello di quello reale. Ma per altri l’urgenza può essere anche il contrario: la necessità di trasformare con la penna eventi e dolori insostenibili, la forza di esprimere cose che nella quotidianità non sono possibili. Credo che ognuno di noi sia figlio, a modo proprio, di questa urgenza di comunicare. Ma la scrittura è difficile, perché richiede impegno, molto più di quello che si crede e anche una certa solitudine. Una sorta di rinuncia al mondo reale. In più abbisogna del talento che qualcuno di noi possiede innato, ma che per la maggioranza di noi va coltivato, cercato, compreso, attraverso una visione più empatica della vita, tramite la lettura e la passione per tutto ciò che appartiene alla narrazione e alla comunicazione. Nel mio libro cerco di spiegare con attenzione come si possa coltivare il talento e liberarsi dalla facile scusa di non esserne dotati. Però, appunto, non tutti scrivono. E qui mi viene in aiuto Marguerite Duras nelle pagine del suo Scrivere: «E il dubbio ci cresce intorno. Questo dubbio è solo, è il dubbio della solitudine, nato dalla solitudine. Si può già dire la parola. Credo che non molti potrebbero sopportare quello che dico, scapperebbero. Forse per questo ogni uomo non è uno scrittore. Ecco la differenza, ecco la verità, nient’altro. Il dubbio, è scrivere. Dunque è anche lo scrittore. E con lo scrittore tutti scrivono, lo si è sempre saputo».

Prevengo l’obiezione contemporanea più ricorrente: in tanti dicono che a scrivere siano in troppi. D’altra parte se ne lamentava già Leopardi ai suoi tempi. Non credo però sia vero. Penso invece che siano in troppi a desiderare di pubblicare, ma questo è un altro discorso che sarebbe lungo da affrontare ed è relativo alla società dell’apparire nella quale viviamo. Scrivere fa bene, sempre. Però, appunto, è difficile, faticoso. Se dovessi paragonarlo a un’attività sportiva mi verrebbe da pensare all’alpinismo o alla passione per la navigazione a vela in mare aperto.

Quali esercizi possono aiutare la scrittura di sé?
L’esercizio per eccellenza, per affrontare qualunque genere di scrittura, è leggere. E non parlo solo di lettura colta, di libri, romanzi, saggi, ma della dimestichezza con la parola scritta quotidiana (cartelli stradali, ordinanze comunali, indicazioni agli sportelli, libretti di istruzione…).

Sarebbe poi importante che la lettura – permanente, continua – avvenisse con il piglio dello scrittore, ovvero cercando di capire cosa sta dietro a ogni vocabolo che ci si presenta di fronte. Per comprendere il percorso fatto dalle parole per arrivare sul foglio sarebbe importante fare un lavoro molto considerato in altre espressioni artistiche, ma snobbato nella scrittura: copiare. Non aggiungo altro perché ogni volta che lo faccio mi tiro addosso gli accidenti degli aspiranti scrittori. Nel mio libro comunque ne parlo diffusamente. Poi consiglio una serie di esercizi che non hanno a che fare con la pratica dello scrivere, ma solo utili per quello che attiene la costruzione di un percorso narrativo: per esempio immedesimarsi nelle vite degli altri, magari spiando nei carrelli della spesa dei supermercati. Anche giocare con le parole è molto utile: sfogliare il vocabolario, ad esempio, è un gioco assai più divertente di quello che sembra. Più semplici forse sono i passatempi enigmistici basati sulle parole.

L’esercizio principale però è scrivere, anzi, creare un’abitudine di scrittura: imporsi un tempo da passare davanti al foglio, anche se ci sembra di non aver niente da dire. È una pratica importante, perché rende fisiche le nostre aspirazioni e aiuta a liberarci da tanti falsi miti, non ultimo l’ispirazione. Non si scrive perché si è ispirati, si scrive perché si scrive.

Quali suggerimenti si sente di dare ad un aspirante scrittore di sé?
Di passare più tempo a scrivere e meno a indagare su se stesso. La scrittura di sé non serve a raccontare i particolari, spesso inutili e ripetitivi, della nostra vita, ma a trovare cosa dentro di noi valga la pena di essere narrato e di diventare patrimonio comune di tutti i lettori. Anzi, meno sappiamo della nostra interiorità, più avremo la possibilità di raccontare qualcosa capace di stupire, affascinare, sedurre, far riflettere, colpire, indispettire, commuovere, prima noi, poi chi ci legge. O anche solo chi ci legge, perché spesso chi scrive non è del tutto consapevole di cosa scateneranno le sue parole.

Se poi la domanda è quale consiglio dare per chi vuole pubblicare, la risposta è la stessa: scrivere, scrivere, scrivere. Non preoccuparsi dei rifiuti o peggio ancora dei silenzi degli editori. Ogni buona storia prima o poi trova una strada per arrivare al suo pubblico. Magari lo farà dopo di voi, ma state pur certi che lo farà. Voi date fiducia solo alla scrittura. Il resto non è poi così importante. So di dire qualcosa controcorrente, ma ne sono convinto. In più ci salva da un sacco di rancori e frustrazioni. La bellezza della scrittura sta nel poterla praticare anche se intorno a noi tutti ci ignorano. Ovviamente dentro al mio manuale ho inserito anche qualche onesto consiglio per provare comunque la strada della pubblicazione e anche alcune indicazioni per chi decidesse la via dell’autopubblicazione.

Michele Marziani. Narratore, autore di romanzi, saggi e memoir. Editor. Conduttore di laboratori di scrittura. Giornalista professionista pentito. Oltre ai libri, di cui è un infaticabile divoratore, ama la montagna, la pesca alla trota, il buon vino e scarabocchiare sui taccuini. Il suo ultimo libro, non a caso un memoir, si intitola La cura dello stupore (Ediciclo Editore). Ha un sito Internet: www.michelemarziani.org

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