
La scienza – forse sarebbe meglio dire al plurale: le scienze – evolve nella società in cui vive. Il modello della torre d’avorio, se mai è stato valido, oggi non regge. La scienza è in relazione con la conoscenza popolare, con le credenze, con l’immaginario. Oltre che, beninteso, con gli altri saperi. Tutti comunichiamo scienza: chi più consapevolmente che meno, chi in modo più rigoroso chi meno, chi più efficacemente chi meno, chi in modo più corretto e chi meno. La riflessione sulla comunicazione della scienza è necessaria per chi oggi vuole dirsi intellettuale a pieno titolo.
Chi trasmette, informa, insegna o fa ricerca su questioni scientifiche, ha tra i propri doveri professionali anche quello di capire come comunicare scienza al meglio con il pubblico e con gli attori sociali coi quali interagisce.
Diversi possono essere gli obiettivi di comunicare scienza: informare, insegnare, contribuire a formare una cultura scientifica. La società e i tempi in cui viviamo sempre più spesso ci pongono davanti a questioni complesse che hanno a che fare con temi scientifici: dalla medicina all’ambiente, dai trasporti all’energia, dal cambiamento climatico alle nuove tecnologie, all’alimentazione e alla migliore valorizzazione delle risorse limitate di cui disponiamo. Non possiamo immaginare che un cittadino, per quanto consapevole, di caso in caso diventi “esperto” di trasporti, vaccini, ogm, procreazione medicalmente assistita, energia nucleare e chissà quanti altri temi. Ciò nonostante quello stesso cittadino è chiamato a decidere, con il voto, con i consumi o con l’opinione, su temi specifici. Chi per professione comunica scienza lo fa prevalentemente per aiutarlo a formarsi un’opinione consapevole dei diversi aspetti e dei diversi processi che stanno dietro a una ben determinata questione.
Quali specificità possiede la scrittura scientifica?
Quando scriviamo di scienza tendiamo a essere appiattiti sui “contenuti”, tutti protesi verso i risultati. Diamo spesso poca importanza ai processi che portano alla formazione di nuove conoscenze, di nuove scoperte e nuove invenzioni. Non osiamo parlare del metodo (dei metodi) che la ricerca adotta per farsi scienza.
Scrivere di scienza vuol dire portare l’ignoto – ogni qual volta raccontiamo una ricerca “di punta” – all’attenzione del lettore. E questo richiede un continuo yoga tra rigore ed efficacia: di volta in volta dobbiamo capire qual è il massimo rigore possibile che possiamo mettere in campo per non perdere in efficacia nella nostra comunicazione col lettore.
Al lettore piacciono le belle storie, i personaggi, i conflitti. Non dobbiamo dimenticare di metterli in campo per far spazio solo ai risultati.
Scrivere di scienza vuol dire anche relazionarci, e aiutare il lettore a relazionarsi, con dati quantitativi, formule e grafici. Dobbiamo imparare ad usarli quando servono e se servono. Il rischio è di ricorrere a numeri, formule e figure come a espedienti retorici per azzittire il pensiero e i dubbi del lettore, mentre dobbiamo guidarlo a cogliere gli elementi di senso che ci sono nel pensiero scientifico e che, in molti casi, sono comprensibili ben al di là dei tecnicismi.
Come dovrebbe presentarsi un testo divulgativo?
Fresco, leggero ed essenzialmente pulito.
La scrittura, lo stile, il fraseggiare di un testo divulgativo devono togliere peso ai contenuti che, per molti lettori, sono alti e difficilmente gestibili.
Un buon testo divulgativo si fa scegliere a ogni capoverso, tiene vivo l’interesse del lettore, non ne dissipa l’attenzione introducendo difficoltà non necessarie.
La freschezza è un ingrediente importante: non serve essere pesanti, paludati e “formali” per parlare di scienza.
La leggerezza – come ci insegna Italo Calvino – è un altro ingrediente: se vogliamo veicolare contenuti pesanti dobbiamo controbilanciare con un’esposizione leggera.
E infine c’è la pulizia – quella di un rapporto di laboratorio, direbbe Primo Levi. L’uso sapiente e costante del Rasoio di Occam anche nelle scelte della scrittura.
Quali sono le buone pratiche nella redazione di un testo scientifico?
Di buone pratiche “Scrivere di scienza” ne presenta molte (sono ben visibili in alcuni boxini intitolati “Piccola buona abitudine”). Ne cito tre che reputo importanti ma invito il lettore a soffermarsi su tutte quelle che presento nel libro.
“Esegui piccoli calcoli. Confronta quantità. Non prendere mai per buono un numero senza minimamente valutarlo”. Chi non è addentro alle cose scientifiche è in soggezione rispetto al numero, al dato quantitativo. Chi scrive deve avere una dimestichezza con essa molto maggiore di quella che mette sulla carta: deve averlo valutato ben oltre quello che scrive.
“Leggi a voce alta brani tuoi o altrui per capire che cosa funziona e che cosa no. Leggi da solo per ascoltarti prendendo le distanze del testo. Leggi ad altri per coglierne emozioni e reazioni”. È importante dedicare un po’ di tempo ed energie alla dimensione emotiva del testo, a capire l’effetto che può fare sul lettore.
“Conserva i feedback ai tuoi scritti, i pareri, le critiche, i complimenti, che tu li condivida o meno. Cerca di tenere traccia di come gli altri vedono i tuoi testi”. Nessuno scrive da solo. Scriviamo sempre in seno a una comunità e se dimentichiamo cosa la comunità pensa dei nostri testi, finisce che scriviamo peggio.
Pubblicazioni scientifiche: quali norme bisogna rispettare nel redigerle?
In “Scrivere di scienza” propongo alcune classiche strutture per un articolo scientifico. Anche tra specialisti è importante che la struttura sia chiara, semplice, facilmente riconoscibile. Bisogna cercare di non indulgere a stranezze o presentazioni originali: in un articolo scientifico il ricercatore deve lasciare che a parlare sia la sua ricerca, il metodo che ha seguito, i risultati che ha raggiunto.
A quali regole dovrebbe rispondere il giornalismo scientifico?
Il giornalista scientifico è nella posizione di fare le domande al ricercatore, allo scienziato e all’esperto per conto del lettore. È occhi, orecchie e bocca di questo. Regola aurea è non scrivere per essere megafono della ricerca, partigiano della scienza, ma scrivere ponendo le domande che il lettore vorrebbe che fossero poste e soprattutto ponendo le domande che il lettore non sa ancora che vorrebbe che fossero poste ma che, una volta lette, lo aiutano a sciogliere un dubbio, a comprendere una dinamica, a intuire un concetto.
Come si dovrebbe parlare di scienza sui social?
Qualche settimana fa mi è stato chiesto un contributo per un manifesto della comunicazione non ostile della scienza. Ho scritto dieci punti avendo in mente in particolare come parliamo, e come dovremmo parlare:
- Tutti gli interlocutori con cui mi confronto hanno pari dignità: la stessa che ho io.
- Evito di parlare di tutto: mi esprimo su ciò che so, che ho studiato e che ho meditato.
- Non eccedo in tecnicismi: uso tutto il rigore possibile, niente di più del rigore possibile.
- Non sono il paladino della scienza: tengo in considerazione le ragioni di chi parla con me di scienza.
- Non faccio dell’esattezza un totem: prediligo le parole condivise con il mio interlocutore.
- Cerco di essere chiaro: le parole oscure e lo «scientifichese» servono a prevalere non a dialogare.
- Non abuso della fiducia: chi parla con me si fida della mia capacità di documentarmi e capire.
- Non contribuisco a formare e a far consolidare fazioni pro-scienza e anti-scienza: tutti abbiamo diritto di prendere decisioni anche su altre basi.
- Mi faccio carico del confronto: non uso numeri, formule e «teoremi» per azzittire l’interlocutore.
- Cerco di essere consapevole dei miei limiti: su ciò di cui non so cosa dire, taccio.
Daniele Gouthier insegna Comunicazione della matematica e della fisica al Master in comunicazione della scienza “Franco Prattico” alla Sissa, Trieste. È direttore editoriale delle edizioni Scienza Express. Si occupa di formazione degli insegnanti di matematica. È autore del libro di tasto per la scuola secondaria di primo grado Il bello della matematica (Pearson Bruno Mondadori), nonché dei saggi Le parole di Einstein (Dedalo), Il solito Albert e la piccola Dolly (Springer Italia), Dar la caccia ai numeri (Dedalo) e Matematica per giovani menti. Sulle tracce di un sogno (bookabook) è il suo primo romanzo.