“Scrivere di musica. Una breve guida per la ricerca” di Giuliano Bellorini

Prof. Giuliano Bellorini, Lei è autore del libro Scrivere di musica. Una breve guida per la ricerca edito da Carocci. Un popolare adagio recita «scrivere di musica è come ballare di architettura» dando voce ad un apparente ossimoro insito nel titolo del libro: quali sono i necessari presupposti per scrivere di musica?
Scrivere di musica. Una breve guida per la ricerca, Giuliano BelloriniQuesto adagio popolare è molto suggestivo, ma riposa su una visione che sottolinea la divaricazione tra intuito e ragione, tra ispirazione e progettazione, tra originalità come valore assoluto e debito verso la tradizione che è stata immessa pesantemente nella cultura occidentale a partire dall’epoca del Romanticismo. Dobbiamo riappropriarci di una visione che riporti al centro del lavoro dell’artista in generale e nello specifico del musicista la sua capacità di rapportarsi con il passato, vicino e remoto, di rielaborarlo con utensili che lo avvicinano all’artigiano, con cui condivide la radice etimologica del termine che lo definisce. Da questo presupposto origina una concezione del lavoro dell’artista che è più rispettosa del vero, e che lo restituisce alla sua naturale dimensione di homo philosophicus, che ragiona sui testi prima di tradurli in suoni, che si sente parte di un mondo che non è solo palcoscenico e spettacolo ma anche e soprattutto pensiero, ricerca, confronto, dibattito.

Oggi un musicista non può più essere soltanto una persona che esibisce la straordinarietà dei suoi talenti, ma deve divenire, anzi ritornare per meglio dire, soggetto operante nel mondo della cultura. Si tratta di ricomporre l’antico dissidio che già Guido d’Arezzo aveva sintetizzato nella nota contrapposizione tra Cantor (chi pratica la musica ma non ne conosce l’aspetto razionale e teorico) e Musicus (chi conosce tutti i segreti matematici e teorici dell’arte musicale ma non la pratica). Sempre più frequentemente oggi gli studenti di fascia accademica dei Conservatori sono chiamati ad essere musicologi oltre che musicisti, e a sviluppare la capacità di fare ricerca in vista della redazione di una tesi, o più semplicemente della stesura di una presentazione che introduca un concerto. Questo libro è nato proprio per venire incontro a questa esigenza, che comporta anche l’acquisizione di buone capacità di organizzare un testo, di articolarlo secondo un progetto organico, di seguire durante tutto il lavoro un protocollo di correttezza sia nel metodo che nella forma. Ma, si sa, il musicista passa tante ore ad esercitarsi, e spesso non si trova nelle condizioni per affrontare l’approfondimento di questi metodi leggendo molti testi specialistici, o rischia di disperdersi accedendo ad una biblioteca per mancanza di “senso dell’orientamento” all’interno degli strumenti di consultazione. Da qui l’idea di aiutarlo con un volume agile, amichevole, adatto a chi ha meno famigliarità con questo mondo, e accessibile anche come costo.

Qual è il modo migliore per esporre i risultati di una ricerca musicologica?
La prima cosa da sottolineare è che non bisogna immaginare la scrittura come l’ultimo atto e conclusivo di una precedente fase di ricerca, accumulazione di dati e loro organizzazione. La scrittura in realtà accompagna ogni fase del lavoro, fornendo fin da subito un supporto molto utile per raccogliere i dati e disporli attraverso un processo per così dire di stratificazione basato sulla distanza dal fulcro dell’argomento, sulle caratteristiche storiografiche delle fonti, sulla loro autorevolezza. Poi la scrittura diviene mezzo per verificare la tenuta generale dell’argomentazione: scrivere significa organizzare il pensiero. Quando il pensiero durante la scrittura entra in crisi significa che dobbiamo ritornare sui nostri passi, e se necessario abbandonare la strada iniziata, sospendere provvisoriamente la nostra ipotesi, o comunque riconoscere la necessità di rielaborarla e correggerla. L’esposizione finale è il punto di arrivo di questo lungo processo fatto di successivi raffinamenti, di spostamenti di sezioni del testo, di verifica delle proporzioni di ogni approfondimento. Inoltre bisogna possedere un’adeguata capacità di tessere il testo (gioco di parole che scelgo di mantenere) con chiarezza, semplicità, orientando la propria esposizione a chi leggerà. Un testo reso difficile da frasi lunghe, da parole la cui complessità va oltre l’esigenza di precisione e la specificità dei termini tecnici va in direzione opposta alla necessità della comunicazione, e tende a mettere al centro la bravura di chi scrive rispetto agli argomenti che vuole portare in campo e sostenere: questo comportamento ha qualcosa a che fare con quello dei musicisti che suonando un autore tendono più a presentare se stessi e le loro abilità che a mettere nella giusta luce il suo messaggio profondo. All’interno del mio libro presento appositamente tre esempi di ricerca “in divenire”, per illustrare con più realismo tutte le fasi del lavoro, dall’individuazione di un argomento da trattare (aspetto estremamente importante da cui discende tutto l’operare successivo) passando attraverso la ricerca delle fonti, la loro classificazione, il loro utilizzo, per giungere alla redazione del testo finale.

Come si redige una nota di sala per un concerto?
Ecco un’altra motivazione che mi ha spinto a scrivere. Presentare un concerto con commenti estemporanei o stabilizzati in una vera e propria nota di sala scritta è un altro dei compiti nuovi che arricchiscono l’attività del musicista. Uso l’espressione “arricchiscono” perché sono convinto che il primo beneficiario di questo compito sia proprio chi lo svolge. È un’occasione preziosa che permette innanzi tutto all’esecutore, o direttore, di fare il punto storicamente sulle scelte compiute, di approfondire il contesto dentro il quale l’opera ha preso forma, lo stile e le motivazioni del compositore. Dover commentare, introdurre, guidare all’ascolto implica l’individuazione di una linea di coerenza nel programma, di un “fil rouge” che ne rende comprensibile lo svolgimento. Paradossalmente un programma antologico che nasce dall’accostamento disorganico di epoche e stili è ostile al commento, perché nasce in realtà da motivazioni non culturali. Naturalmente quando si redige un testo di presentazione per un programma musicale ci si assume un compito differente rispetto all’elaborazione di una tesi: quest’ultima deve parlare un linguaggio specialistico e si rivolge agli addetti ai lavori, mentre la nota di sala va calibrata su un lettore che vuole essere aiutato a capire la musica che ascolterà, e che facilmente non possiede competenze tecniche di elevato profilo. Inviare un messaggio regolato sul destinatario, saper dosare i contenuti e le modalità espressive a seconda dei livelli della comunicazione: Scrivere di musica dovrebbe soccorrere anche per saper gestire con equilibrio queste scelte.

In che modo si introduce verbalmente una performance musicale?
Ho anticipato nella risposta precedente qualche aspetto della questione, ma sollecitato da questa domanda comprendo che è opportuno soffermarsi ancora. Introdurre verbalmente una performance musicale prevede regole un po’ diverse da quelle che presiedono alla compilazione di note di sala scritte. I musicisti spesso si trovano più a loro agio con questa modalità perché li coinvolge “in diretta”, e si rivolgono al loro pubblico testandone in diretta le caratteristiche, e conservando la loro posizione di attori sulla scena. Nell’esposizione verbale le regole della comunicazione sono più elastiche, consentono maggior spazio all’apporto emotivo e più flessibilità nella sintassi. Dovendo passare alla redazione scritta si richiede un livello di competenza espressiva più sorvegliata e solida, con regole stringenti. Ma attenzione, perché dietro l’esposizione verbale libera ed estemporanea non deve nascondersi l’approssimazione, o peggio la superficialità: formarsi con serietà in vista anche solo di una presentazione verbale è l’unico modo per evitare di parlare in modo anche simpatico e accattivante, ma scarsamente efficace nella sostanza.

Quale importanza riveste l’indagine storica?
Entriamo con questa domanda ancora più in profondità, nel cuore del libro. Più che una domanda potrebbe essere il titolo di un capitolo di un trattato dedicato ai metodi per salvare l’umanità. L’indagine storica in generale è uno degli atti più nobili della mente, è un servizio che svolgiamo per il futuro del mondo, è qualcosa che ha a che fare con le responsabilità più grandi che abbiamo. Conservare il passato, trasmetterlo e soprattutto cercare di comprenderlo e rispettarlo non sovrapponendovi le nostre convenzioni, la nostra estetica, i nostri quadri valoriali è un processo di elevata complessità che coinvolge l’onestà intellettuale, la precisione, lo scrupolo, l’intelligenza, il rispetto per chi in quell’epoca è vissuto e per le scelte che ha compiuto. Le nostre motivazioni non sono quelle di chi ha agito tre secoli fa, e da lì bisogna iniziare. Fatta questa premessa generale e restringendo il fuoco sull’indagine storica in campo musicale, è essenziale ricostruire con la maggior cura possibile il quadro entro cui ha preso forma una composizione. Capire come questo testo vive in rapporto con la storia del genere cui appartiene, come si adagia sui modelli precedenti e quali innovazioni imprime al corso di questa storia stessa è un esempio dell’importanza dell’indagine storica. Sapere che in quell’epoca le convenzioni della scrittura erano differenti da quelle di oggi, individuare le differenze nella geografia degli stili, avere consapevolezza dell’evoluzione costruttiva che ha portato uno strumento musicale a divenire quello che è oggi: non dovrebbe essere difficile immaginare i riflessi, le ricadute di queste conoscenze sull’esecuzione del brano. Il libro si intitola Scrivere di musica, ma il sottotitolo è molto importante: Una breve guida per la ricerca. Ricevere una bussola per iniziare il cammino sulla strada dell’indagine, essere accompagnati per mano ad affrontare una ricerca storica è proprio ciò che spero di fornire ai miei lettori.

Quale funzione svolge infine la bibliografia?
La bibliografia è sempre alla fine di un libro, ma è una collocazione che non rende ragione della sua importanza. I lettori meno avveduti la ignorano addirittura, i più accorti spesso iniziano proprio da lì la lettura. La bibliografia è innanzi tutto lo specchio della qualità del lavoro: chi scrive si è fondato sul lavoro di tanti altri che lo hanno preceduto, e rende trasparente questa fondazione. E poi la bibliografia è un punto di avvio per approfondimenti che chi ci leggerà desidera intraprendere.

Uno degli scogli più insidiosi per chi è alle prime armi con la ricerca è proprio questo. La bibliografia non è solo un elenco, ma offre puntuale documentazione di ogni affermazione fatta dagli studiosi che noi abbiamo chiamato in causa nella nostra esposizione: essa è dunque in stretta connessione con la citazione. La citazione e la bibliografia sono normate da sistemi e protocolli che possono variare, ma che hanno in comune la estrema coerenza interna del metodo e il fine di perseguire la maggior chiarezza e la minor ambiguità possibili. Va da sé che per raggiungere questi obiettivi occorre conoscere bene queste regole, e applicarle con rigore. Il rispetto di queste regole è una delle credenziali più importanti per essere riconosciuti tra gli addetti ai lavori come autori seri e credibili, ma non è solo questo: esercitarsi a citare correttamente e a compilare una buona bibliografia è in realtà il passaggio fondamentale e ineludibile per conseguire un risultato di qualità quando si “scrive di musica”.

Giuliano Bellorini insegna Pratica e lettura pianistica al Conservatorio di Milano e Storia della poesia per musica all’Università della Svizzera Italiana. Tra le sue pubblicazioni recenti: Luigi Russolo. Nuove ricerche sugli scritti (con A. Gasparotto e F. Tagliapietra, Leo S. Olschki 2011), Il magnifico signor cavallier Luigi Cassola piacentino. Edizione critica dei Madrigali (Leo S. Olschki, 2012), Poesia sonora. La musicalità dei testi letterari italiani (Carocci 2015), Le sonate e partite per violino solo di Johann Sebastian Bach (con S. Bianchi e C. De Martini, Armelin 2018).

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