“Scrivere d’amore. Lettere di uomini e donne tra Cinque e Novecento” a cura di Manola Ida Venzo

Dott.ssa Manola Ida Venzo, Lei ha curato l’edizione del libro Scrivere d’amore. Lettere di uomini e donne tra Cinque e Novecento, pubblicato da Viella: come muta nelle varie epoche il linguaggio dell’amore espresso attraverso la scrittura epistolare?
Scrivere d’amore. Lettere di uomini e donne tra Cinque e Novecento Manola Ida VenzoIl mio percorso di indagine sul linguaggio amoroso è iniziato molto tempo fa. La professione di archivista e la passione per la ricerca storica mi hanno portato a spaziare attraverso i secoli maneggiando una gran mole di documentazione, sia di carattere pubblico che privato. E quando negli atti di un processo, nelle carte di famiglia, oppure in raccolte miscellanee o altro ancora, ho visto affiorare le scritture intime di personaggi noti o anche a volte oscuri, è stata ogni volta una grande emozione. Carteggi, epistolari, diari, costituiscono formidabili strumenti in quanto introducendoci nella interiorità dei personaggi ci permettono di approfondire le conoscenze sulle dinamiche dei rapporti tra uomini e donne, sulle categorie del femminile e del maschile, sui loro modelli e la loro trasformazione in relazione alle epoche in cui sono stati prodotti.
A questo proposito vorrei sottolineare come un grande impulso a queste ricerche sia provenuto proprio dalla storia di genere che, a partire dagli anni 90 del Novecento, ha introdotto nella storiografia lo studio della soggettività femminile e delle sue manifestazioni, compiendo un’operazione di ricomposizione della memoria intesa come storia degli uomini e delle donne. Su questo terreno si è posto il progetto di ricerca Per una storia della memoria e delle scritture delle donne a Roma dal XVI al XX secolo, promosso già nel 2001 da me e da Marina Caffiero con il sostegno del MiBACT e dell’Università di Roma-La Sapienza. Il progetto, tuttora in corso d’opera, nasceva con l’obiettivo di indagare se le donne avessero scritto, che cosa avessero scritto e in che modalità, prendendo in considerazione, a partire dall’età moderna, le scritture sommerse nate al di fuori dei circuiti letterari ed eruditi. Nell’ambito del progetto è stata fondata la collana di studi La memoria restituita. Fonti per la storia delle donne edita da Viella, giunta oggi al suo tredicesimo volume.

Scrivere d’amore nasce all’interno di queste coordinate metodologiche e prende corpo da un’esigenza specifica: alcuni anni fa stavo curando l’edizione critica dell’epistolario di Contessa Lara, una scrittrice di fine Ottocento molto famosa ai suoi tempi. Si trattava di lettere scritte al suo amante, lo stesso che di lì a poco l’avrebbe uccisa con un colpo di pistola. Ebbene, vedevo che nella sua scrittura ritornavano stilemi ed echi canonizzati alcuni dei quali risalenti alla letteratura dell’amor cortese, ma non trovavo sufficienti fonti edite a cui fare ricorso per un confronto: da noi le pubblicazioni di corrispondenze epistolari incontrano da parte degli editori molte resistenze e solo da qualche tempo tale diffidenza va attenuandosi.
Perciò ho voluto offrire con questo volume non tanto risposte preconfezionate, quanto degli strumenti di lavoro: i carteggi qui pubblicati sono perlopiù inediti, appartengono a personaggi illustri e qualche volta a sconosciuti, si situano nei vari secoli a partire dal Cinquecento fino a tutto il Novecento. Scorrendoli, appare evidente come il discorso amoroso rimanga immutato e come costanti siano le dinamiche ed esso sottese. I nodi primari attorno ai quali si configura il linguaggio dell’amore si ripetono nel corso dei secoli fino alla fissazione negli stereotipi letterari operata dal Romanticismo: crescita del desiderio attraverso la lontananza, differimento a causa di ostacoli, presenza di rivali, idealizzazione della persona amata, trasfigurazione del rapporto amoroso e suo collocamento su un piano astratto per salvaguardarlo dalla banalità.
La scrittura epistolare, forma espressiva predominante fino a tutto il ‘900, costituisce per le nostre ricerche un osservatorio privilegiato poiché appartiene alla sfera reale e più intima degli individui ed ha accomunato poveri e ricchi, colti e semicolti.

Quali diversi codici espressivi si rinvengono nelle missive da Voi esaminate?
Scorrendo i vari carteggi, salta agli occhi come il linguaggio dell’amore sia universale e trasversale ai luoghi, alle classi sociali e anche ai tempi, tanto da risentire almeno a tutto l’Ottocento di immutati modelli stilistici, molti dei quali risalenti alla poesia trobadorica e all’amor cortese. Ricordiamo la diffusione, a partire dal Cinquecento, dei libri di lettere e a seguire dei cosiddetti segretari galanti che si proponevano di offrire modelli di scrittura epistolare, utili anche a chi possedesse una limitata istruzione (sull’argomento è illuminante il saggio di M.Iolanda Palazzolo). Nelle lettere, come dicevo, si rintracciano spesso stilemi ed echi risalenti alla letteratura dell’amor cortese o alle edizioni di lettere entrate nei circoli della comunicazione amorosa.
Si guardi alla corrispondenza settecentesca tra i due fidanzati Caetani/Corsini (nel saggio di Caterina Fiorani): qui è evidente, trattandosi di un matrimonio combinato dalle famiglie, che i sentimenti espressi con parole appassionate obbediscono a un cliché, dato anche che i due giovani non si sono mai visti. D’altronde l’amore a quei tempi non rientrava nei contratti matrimoniali, anzi era destabilizzante rispetto alle logiche sociali, l’emotività e l’appagamento sessuale si realizzavano al di fuori del talamo coniugale.
Proprio in base a tali considerazioni, i carteggi prescelti sono stati aggregati non secondo un ordine cronologico, ma per nuclei tematici e indipendentemente dalle aree geografiche degli scriventi. Si tratta di particolari momenti storici (guerre, fascismo) oppure di stati emotivi ed esistenziali attorno ai quali si addensano emozioni e modalità scrittorie (adulterio, morte, amore coniugale).

Di particolare interesse è anche l’esame del carteggio tra Piero e Ada Gobetti.
Qui ci troviamo in presenza di un momento “alto” nella storia dei rapporti tra uomo e donna. Siamo agli albori del fascismo, i due sono giovanissimi ma ambedue dotati di consapevolezza civile e di un forte spirito etico. Il loro amore è fuso con l’impegno politico, il loro progetto di vita si intreccia al sogno di un rinnovamento profondo della società, insieme procedono su un percorso di reciproca formazione sentimentale nella stima e nel rispetto dell’altro. Quantunque, fa notare nel suo saggio Francesca Borruso, anche in questo caso non si sfugga alla persistenza di quel paradigma che vediamo essere ricorrente e cioè l’idealizzazione del soggetto amato: se per Piero lei è la Beatrice dantesca elevata nella sua spiritualità, per Ada lui è Siegfried, l’eroe dotato di forza e combattività. La trasfigurazione dell’amata/o è dunque presente in tutte le epoche storiche e in ogni ceto, inscindibile a quanto pare dall’innamoramento. Il loro amore non potrà però conoscere l’usura della quotidianità: Piero morirà esule a Parigi all’età di 25 anni essendosi le sue condizioni di salute aggravate in seguito alle percosse dei fascisti.

La Vostra ricerca si sofferma ad analizzare anche i legami adulteri di ragguardevoli personaggi pubblici quali Luigi Pianciani, Sidney Sonnino e Giulio Carlo Argan.
L’adulterio, il tradimento, costituiscono uno dei nodi arcaici e universali attorno al quale si polarizzano emozioni e pratiche sociali. Le lettere, qui, hanno un ruolo di primo piano, almeno fino a buona parte del Novecento essendo l’unico mezzo di comunicazione.
Lettere criptate, nascoste, distrutte, usate come arma di ricatto ecc.: lo vediamo nella finzione letteraria ma anche nella vita reale dalla quale i nostri carteggi provengono. Si pensi alle missive che il pittore seicentesco Pietro Paolo Bisanti scrive alla sua amata che ha sposato un altro (nel saggio di Alessandro Di Candia): attorno ad esse si scatena un teatrino che vede comparire sulla scena i familiari della bella – nonna, cognati, genitori – e in un crescente rossiniano il parroco, il vicegerente e infine il Tribunale del governatore davanti al quale il tapino sarà trascinato.
Ma in altri casi la morale borghese saprà ben digerire le dinamiche passionali e inserirle in un ordine sociale condiviso. Il tradimento, purchè non ostentato e destabilizzante, sarà tollerato e spesso protetto dagli stessi familiari, come nel caso del giovane Luigi Pianciani che per conquistare le sue sposatissime amanti potrà contare sulla complicità materna e anche paterna.

Su un piano più elevato si pongono le relazioni adultere di Natalia Morozzo della Rocca con Sidney Sonnino e di Giulio Carlo Argan con Palma Bucarelli: unioni socialmente note e accettate, che ci fanno riflettere sulla duttilità della morale borghese nell’Ottocento come nel Novecento.
D’altro canto, l’etica familiare incentrata sui valori dell’amore e della domesticità (che aveva avuto in Rousseau il suo cantore) è un retaggio relativamente recente e si è affermata in modi e tempi diversificati rispetto alle classi e ai luoghi. I condizionamenti posti alla scelta del coniuge da parte delle famiglie ancora per tutto l’Ottocento, l’indissolubilità del matrimonio fino a Novecento avanzato, facevano sì che adulteri e tradimenti venissero tollerati e riassorbiti ai fini di non compromettere un ordine sociale fondato sulla famiglia.

Cosa emerge dall’analisi delle lettere scritte in punto di morte da personaggi minori travolti dalle vicende della grande storia?
Il mio intento era quello di far emergere non solo le scritture intime dei grandi personaggi ma, secondo la lezione di Foucault e le suggestioni della storiografia annalistica, anche le testimonianze delle persone cosiddette ordinarie, ignorate dalla grande storia. E queste vengono fuori soprattutto in contesti eccezionali, quando un intervento traumatico irrompe nelle loro esistenze. Abbiamo menzionato finora personaggi storicamente noti, persone straordinarie che si collocano al di sopra dei propri contemporanei, ma il metro del proprio tempo, per l’indagine delle società, ce lo forniscono anche e proprio le persone comuni, le vite minuscole per dirla con Pierre Michon, e quando troviamo le loro scritture autografe… beh, è una gran cosa. Soprattutto in contesti eccezionali – guerre, discriminazioni razziali, eventi criminosi – vediamo sedimentarsi la documentazione prodotta da individui sconosciuti che in tal modo lasciano tracce di sé e del loro mondo interiore. Pensiamo al giovane Giulio Levi che scrive alla sua fidanzata in un campo di concentramento da cui non uscirà più e le cui lettere diventano testimonianza storica, oppure alle ultime lettere scritte dall’operaia Elena B., scaraventata dalla storia di fronte al temibile Tribunale di Salò.
Insomma, dalle persone comuni, attraverso le impronte che esse lasciano in momenti traumatici della storia o delle loro esistenze, emergono quei brandelli di memoria che sono per noi oggi un utile materiale di indagine e che restituiscono il “diritto alla storia” a coloro che non hanno mai avuto la parola.

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