
Ciò che avvicina le due realtà è piuttosto un intento comune che muove lo scrivente di ieri e di oggi: quello cioè di trasmettere un messaggio in forma scritta e di farlo in maniera “economica”, sia a livello di tempo (di scrittura e lettura) che soprattutto di spazio, auspicandosi che tale messaggio, tra l’altro, possa avere una alta visibilità e capacità comunicativa; si pensi per esempio alla visibilità di alcuni Tweet postati su profili molto seguiti o a quella che avevano certe iscrizioni di epoca romana, veri e propri “cartelloni” di propaganda politica o “arche della memoria”, nel caso per esempio delle lapidi tombali.
Per quel che riguarda il risparmio di spazio, in Twitter si riscontrano delle similitudini soprattutto con quelli che erano i sistemi abbreviativi di epoca romana o medievale: così come chi scriveva nel passato abbreviava perché il supporto disponibile aveva una determinata e limitata dimensione (elementi architettonici, larghezza della pergamena), anche chi Twitta deve fare i conti con un supporto limitato, cioè con il numero di caratteri disponibili per un singolo Tweet. Tuttavia, come già si è anticipato, l’intento dello scrivente – quello cioè di realizzare un testo che possa essere contenuto in uno spazio limitato (fisico nel caso della pietra o della pergamena o virtuale nel caso dei bit) – viene realizzato in due modi distinti: da una parte, nell’antichità, vengono ideati tutta una serie di segni che, sovrapposti alle lettere o fatti seguire a queste, indicavano una particolare porzione di testo (omessa nella scrittura) che il lettore doveva integrare, mentre dall’altra, con Twitter, non si assiste all’introduzione di un particolare sistema grafico di abbreviazioni, ma piuttosto viene spinto al massimo il concetto di concisione: l’espressione di un pensiero nella maniera più “economica” e più chiara possibile.
Infatti, l’uso delle abbreviazioni in senso proprio è tutto sommato limitato nei Tweet su Twitter (vengono impiegate quelle ritenute come convenzionali e in particolar modo quelle legate alla lingua inglese: TY = thank you; NP = no problem; PLZ = please, per citarne alcune), mentre si tende a utilizzare un particolare stile di scrittura e alcune accortezze che garantiscano, attraverso la concisione, la brevità del testo: espressione di un pensiero e uno soltanto per ogni Tweet, stile di scrittura asciutto, scelta oculata delle parole, scarsa articolazione sintattica e frammentazione del testo, forte deitticità (cioè l’accentuazione della relazione tra la lingua e il contesto di riferimento, precisando per esempio attraverso l’uso dei pronomi chi sia il soggetto parlante e quello ascoltante), mescolanza di stilemi tipici della lingua scritta e del parlato, uso di immagini, di emoticons e di meme per esprimere in maniera forte, immediata e concisa un pensiero.
Per quel che riguarda invece la velocità, Twitter trova una comunanza di intenti con quelle che sono le forme di tachigrafia che si sviluppano nei secoli più vicini a noi (Otto e Novecento), dove la necessità di abbreviare era più strettamente connessa al tema del tempo: realizzare un testo nel minor tempo possibile. I testi su Twitter, infatti, devono essere tempestivi e raggiungere il lettore in un determinato e delimitato arco temporale (legato spesso a un evento reale): da qui la “necessità”, come per la tachigrafia, di esercitarsi e di acquisire familiarità con questa modalità di scrittura della concisione già ricordata, in modo che i messaggi arrivino al pubblico del Followers in maniera tempestiva ed efficace.
A conferma di quanto espresso si può notare che – come oggi noi percepiamo distanti i testi dell’antichità scritti in forma compendiata e come i sistemi tachigrafici dell’Otto e del Novecento sono ignoti ai più – anche il senso di certi Tweet pubblicati sulla piattaforma può apparire poco chiaro agli occhi di alcune persone, anziani o semplicemente lettori non è avvezzi all’uso di Twitter. Questo accade proprio per il fatto che – seppur scritti senza un uso abbondante di abbreviazioni – i testi di Twitter hanno un proprio stile, caratterizzato da forte concisione, che necessita di frequentato dal lettore per essere compreso appieno.
Come si sono evoluti storicamente i sistemi abbreviativi e tachigrafici?
Rispondere esaustivamente in poche righe a una domanda simile è compito arduo e non rederebbe inoltre giustizia alla gran messe di studi sull’argomento susseguitesi nel corso dei secoli; si può però tentare di fornire qualche linea di tendenza.
Prima di tutto bisogna riconoscere come i sistemi di abbreviazioni si siano evoluti assieme alla scrittura stessa, scrittura che – come individuato da due grandi paleografi, Jean Mallon (Le Havre 1904 – Parigi 1982) e Armando Petrucci (Roma 1932 -) – è indissolubilmente legata alla tradizione culturale linguistica di un popolo e con essa cambia e si evolve. In particolar modo, i sistemi abbreviativi si evolvono in ragione delle esigenze comunicative (che cambiano col tempo) e in relazione a quelli che sono le evoluzioni dei supporti e delle tecniche di trasposizione del testo su di essi.
Ad ogni modo, seguendo il percorso cronologico che lo stesso volume cerca di proporre, si passa dalle scritture abbreviative su pietra che si usavano nel periodo romano (legate a iscrizioni di vario tipo) a quelle utilizzate nel Medioevo (legate alla redazione e alla copiatura dei testi da parte degli amanuensi); una particolare forma di abbreviazioni nel Medioevo è quella legata alla pratica delle Reportationes: essa consisteva nell’appuntarsi rapidamente tutto ciò che veniva enunciato per esempio da un professore durante l’insegnamento ex cathedra.
Anche la stampa delle origini (siamo nel Rinascimento) fece uso di abbreviazioni, per ragioni principalmente legate a quelle che erano le caratteristiche fisiche del nuovo medium. Le abbreviazioni furono poi utilizzate anche nella disciplina calligrafica, cioè l’arte della scrittura elegante, attraverso forme pure e precise; forme di testo compendiato si trovano inoltre anche in relazione a quella che è la pratica relativa alla secretazione dei testi, pratica utilizzata fin da tempi remotissimi e che oggi trova la sua massima espressione nei sistemi di crittografia informatici.
Avvicinandoci a tempi più recenti si trovano invece quelle che sono storicamente note come le grandi scuole tachigrafiche e stenografiche moderne, che devono le loro origini rispettivamente a Franz Xaver Gabelsberger (Monaco 9 febbraio 1789 – Monaco 4 febbraio 1849) e a Enrico Carlo Noë (Iglau, 1835 – Trieste, 1914). Questi sistemi abbreviativi vengono inventati per rispondere alla necessità pratica di velocizzare il lavoro di scrittura di vario tipo e in vari ambiti, ma guardandoli con occhio attento è possibile riscontrare in questi una seria e importante riflessione su quella che è la lingua, in relazione a una nazione e in relazione al modo in cui pensiamo la realtà.
Arrivando alle soglie del nuovo millennio, si può rilevare come i sistemi informatici e la digitalizzazione abbiano molto ridotto quello che è l’uso dei sistemi di scrittura stenografica in senso stretto (la scrittura al pc ha velocizzato il tutto). Parlando di scrittura sul web, infatti, si “abbrevia” (ma soprattutto si scrive in maniera concisa, come si è detto sopra) soprattutto in ragione del fatto che, quando scriviamo, siamo tendenzialmente in modalità multitasking (pensiamo soprattutto alla scrittura sui social di carattere non professionale).
Quando scriviamo sul web, tendiamo quindi a comunicare il messaggio nella maniera più economica possibile, scrivendo in maniera concisa o, in extrema ratio, attraverso un sistema che, si pensi al caso di WhatsApp, appoggiandosi a una piattaforma di scrittura, vira verso il parlato vero e proprio attraverso l’uso dei messaggi vocali. Infine, la velocità diventa di primaria importanza nel caso in cui si sia un writer: lasciare il segno della propria presenza (la propria tag, la propria “firma”) in un determinato luogo visibile a tutti è tendenzialmente un’azione illegale, ragione che spinge chi scrive a farlo il più velocemente possibile, attraverso l’uso di sigle e di legature tra le lettere che permettano, con un singolo gesto, di tracciare l’intera tag.
Anche la stampa ha fatto uso di sistemi abbreviativi?
Certamente. Nella stampa delle origini si abbrevia per diverse ragioni: la prima era dovuta al fatto che chi si accingeva a stampare aveva in mente come modello il libro manoscritto, dove le abbreviazioni erano comuni, la seconda era relativa a un aspetto più pratico, cioè all’impaginazione del testo nella forma che andava sotto al torchio (in riferimento all’allineamento delle righe e alla distribuzione del pensiero nello spazio della pagina).
Cosa significa tutto questo? Noi oggi impaginiamo il testo con strumenti automatici (word processor): lo giustifichiamo e riduciamo la sua dimensione in caso questo non si distribuisca come noi vorremmo nella pagina, tagliamo e incolliamo parole e righe di testo, e tutto questo con facilità. Nell’epoca della stampa manuale ogni singola operazione era fatta a mano, parola per parole, riga per riga. I blocchetti di metallo con un carattere in rilevo (i caratteri tipografici) venivano accostati a mano uno a uno, formando le parole e le linee di testo. Inoltre, soprattutto agli inizi, il tipografo disponeva di serie limitate di caratteri, in relazione alla grandezza del corpo e del disegno e, una volta scelta la serie che voleva utilizzare, era difficile che avesse la disponibilità di cambiarla nel corso della stampa.
Ecco quindi che, in un sistema in cui il layout della pagina era realmente chiuso (si parla infatti di chiudere, fisicamente, la forma tipografica), le abbreviazioni potevano risultare utili per dare elasticità al testo stesso nel caso di necessità particolari o di variazioni significative: abbreviare le parole di una linea per giustificandola all’interno della pagina (nel caso non si potesse andare a capo in maniera corretta), oppure abbreviare per ridistribuire il testo in caso di variazioni significative di porzioni dello stesso, a seguito di correzioni o dell’introduzione di nuovi blocchi testuali o di elementi iconografici.
La stenografia è ancora attuale?
La stenografia, in quanto pratica usata nel lavoro, è in parte stata sostituita dai sistemi di registrazione vocale o di scrittura e di archiviazione e gestione delle informazioni digitali e informatizzati, si pensi banalmente solo alla dattilografia applicata alla tastiera del computer, la videoscrittura. Vi sono tuttavia degli ambiti lavorativi in cui la stenografia viene ancora applicata attraverso il modello della stenotipia, come nel caso dei “pianisti” del Senato che, usando la stenotipia (scrittura stenografica attraverso macchine stenografiche) attraverso la macchina “Michela” (oggi potenziata da software informatici), riescono a battere con poche mosse e in tempo reale ciò che viene pronunciato in aula. Permangono inoltre alcuni annunci di lavoro (relativi a posizioni in ambito segretariale) in cui competenze di tipo stenografico sono valutate come criterio referenziale di preferenza.
Tuttavia le discipline stenografiche e tachigrafiche, così come erano insegnate nelle scuole italiane fino a qualche decennio fa, sono scomparse e spesso gli insegnanti di tali materie svolgono il ruolo di docenti di strumenti informatici (videoscrittura per esempio). Tuttavia, se è vero che la stenografia e la tachigrafia, a livello di efficienza, sono state sostitute dalla dattilografia al pc, sarebbe importante recuperare il pensiero che stava dietro a questi sistemi e avviare una riflessione seria e uno studio attorno ad essi perché, studiando i sistemi di abbreviazione grafica delle parole, si possa comprenderne in maniera più profonda il senso del linguaggio: in questa prospettiva ogni sistema stenografico o tachigrafico diventa quindi importante in quanto la sua fisionomia parla di come questo interpreta e legge la realtà delle cose.
Perché sono interessanti da questo punto di vista i graffiti murali dei writers?
I writers sono la piena espressione e al tempo stesso la conferma del fatto che la scrittura è un fatto strettamente inerente alla cultura ed è altresì legata alla volontà di conservare memoria di un messaggio: di una azione in questo caso. Il writer, infatti, scrive il suo nome perché tutti lo vedano e perché riconoscano che lui è stato in quel determinato posto, in quel momento. Il fatto che la stragrande maggioranza delle volte il luogo dove queste persone scrivono sia un posto in cui è proibito imbrattare superfici pubbliche, porta a far sì che la loro scrittura debba essere una scrittura veloce. Spesso la velocità di esecuzione viene quindi ricercata tramite legature tra lettere, sigle e abbreviazioni; interessante allora riflettere su come questa pratica scrittoria – che viene sempre più perfezionata ed esercitata dal writer – lo porti a tracciare la propria tag, la propria “firma”, nella maniera più “economica” possibile, ma al tempo stesso più riconoscibile possibile: l’abbreviazione perfetta.
Con il web stiamo assistendo ad un ritorno in auge della comunicazione scritta, anche se mediata da una tastiera: a Suo avviso, con la tecnologia perderemo l’uso delle nostre abilità calligrafiche?
Abilità calligrafiche in senso stretto, connesse cioè all’arte di scrivere con dei tratti regolari, eleganti e ornati, pochi al giorno d’oggi le posseggono; abilità calligrafiche in senso più ampio, intese invece come esercizio di scrittura a mano per insegnare a scrivere nelle scuole elementari, fanno parte ancora oggi del nostro bagaglio culturale, fin dalla tenera età. Non credo che questo tipo di abilità andranno perse, almeno non totalmente, tra l’altro tutti noi, quotidianamente in realtà, scriviamo testi a mano e spesso li abbreviamo: si pensi alla lista della spesa, agli appunti presi in aula o all’agenda (anche se l’uso del pc è diventato molto di moda in questi ambiti). Bisogna tuttavia ammettere che la scarsa pratica che facciamo della scrittura manuale – dovuta al fatto che quella dattiloscritta su tastiera (la videoscrittura) ha preso il sopravvento – e il fatto che questa sia spesso destinata alla produzione di testi di uso personale e di durata effimera, portano i testi scritti a mano ad essere molto lontani da un modello di “bella calligrafia” che appartiene ormai al passato o che si può ritrovare solo in alcuni corsi (legati alla sfera hobbistica) che vengono proposti sull’argomento.
Tuttavia non credo che il tema, in relazione al Web, sia quello della perdita delle capacità tecnico/fisiche connesse alla realizzazione di segni grafici su un supporto materiale, ma piuttosto quello della perdita di capacità critica applicata a un testo veicolato dal Web. Come ha recentemente denunciato lo stesso fondatore del Web, Tim Berners-Lee, in una lettera aperta alla comunità della rete (http://webfoundation.org/2017/03/web-turns-28-letter/), siamo di fronte a un Web dove la commercializzazione di ogni tipo di contenuto (anche dei nostri dati personali) sembra sempre più espandersi, dove ai temi di reale interesse e rilevanza si preferiscono le “chiacchiere” dei vari salotti “sociali” e dove la propaganda politica dilaga nei social network. Si assiste quindi alla perdita di coscienza critica e di giudizio sul valore di un contenuto, testuale ma non solo; perdita che, tra l’altro, nata tra le maglie della rete, si espande anche nella vita reale: le persone, infatti, fanno sempre più fatica a distinguere quale fonte di informazioni sia attendibile e quale no, oppure non riescono a cogliere il fatto che un certo tipo di informazione venga divulgata con un secondo fine; lo si può vedere bene, purtroppo, anche in ambito universitario, dove certi giovani studenti faticano a distinguere il grado di autorevolezza di una fonte.
La tecnologia si evolve: oggi non scriviamo più tutto a mano, non stampiamo più con i caratteri mobili e non battiamo più testi a macchina, ed è giusto che sia così. A mio parere, invece, il punto su cui si dovrebbe essere fermi e concordi è la consapevolezza di come tutta questa tecnologia sia, e debba rimanere, un medium: il rischio altrimenti è che il veicolo di trasmissione si sostituisca ai contenuti stessi e che si trasformi in uno strumento per controllare – a fini commerciali o politici – la scrittura e di conseguenza le persone, i loro pensieri e le loro azioni.