
di Massimiliano Marazzi
Carocci editore
«In questi ultimissimi anni, di fatto, la ricerca micenologica, imperniata ai suoi inizi essenzialmente su un puntuale lavoro filologico, si è sempre più interrelata con le indagini di carattere epigrafico-archeologico, raggiungendo orizzonti di conoscenza socio-linguistica e di ricostruzione antropologico-scrittoria di estremo interesse. Ciò è derivato in parte dalla accurata dedizione o dalla nuova presentazione dei corpora documentari, in parte però anche da un nuovo e diverso approccio alla materia, non limitato all’esegesi del “testo”, ma incentrato sui processi che sovrintendono all’atto scrittorio, alle modalità dei percorsi e dei flussi delle conoscenze, ampliando così l’interesse dal “documento” agli “estensori/fruitori” dello stesso e alle diverse procedure legate alla sua creazione.
Affrontare, quindi, la stesura di una nuova introduzione generale alla lingua e alla scrittura dei Micenei significava superare gli schemi compositivi correnti (che caratterizzano, tra l’altro, anche le opere più recenti in lingua straniera) e offrire quell’adeguato scenario nel quale il dato archeologico, la riflessione antropologico-scrittoria, ma soprattutto l’analisi dei modi e delle procedure che sottintendono alla comunicazione scritta vengono a trovarsi strettamente interrelati.
La comprensione della lingua e della scrittura dei Micenei o, più precisamente, di quel dialetto greco testimoniato dalla documentazione epigrafica su tavoletta d’argilla e in scrittura sillabica, è infatti imprescindibilmente legata allo studio dei dispositivi messi in atto per il controllo dei beni e l’organizzazione delle risorse che garantivano prosperità e dinamicità alle élites grecofone dell’epoca.
Come si avrà modo di chiarire nel corso dell’esposizione, l’uso della scrittura, che le amministrazioni dei centri di potere micenei sembra abbiano messo in atto, si mostra (almeno allo stato attuale della documentazione in nostro possesso) strettamente (se non esclusivamente) legato a tali dispositivi. L’atto scrittorio si configura, infatti, quale processo comunicativo nell’ambito del quale la scelta del supporto, la disposizione diagrammatica dei segni (allineamenti, ordinamenti colonnari, estrapolazione e messa in evidenza fuori testo degli elementi più significativi, variazione nelle dimensioni ecc.) e la stretta interrelazione fra registrazioni spazialmente e tematicamente contigue assumono un’importanza pari, se non superiore, alla cura di esprimere (orto)graficamente la materia fonica della lingua. Si tratta, in breve, di una comunicazione a mezzo dello scritto altamente specialistica, pensata solo per chi dell’atto scrittorio era autore o diretto fruitore e nell’ambito della quale gli elementi che determinano l’atto scrittorio in sé (conoscenza preliminare della sua finalità insieme alla scelta del supporto e alla cura nella disposizione spaziale del segno grafico sullo stesso) concorrono, più che la valenza fonica dei segni stessi, alla “lettura” e comprensione del messaggio.
Insomma, se da un lato si è di fronte a un tipo di scrittura di carattere fonetico (dove i segni valgono per precisi segmenti fonici), dall’altro il testo miceneo non è “leggibile” (quindi comprensibile) sulla sola base dell’informazione fonica che essi mediano.
Tutto ciò si riflette pesantemente sulla comprensione, in termini fonologici e morfologici, di questa varietà arcaica della lingua greca e richiede un’attenta disamina e valutazione delle scelte ortografiche messe in atto e ritenute ottimali per il soddisfacimento dei propri fini comunicativi da parte dei gestori/fruitori del messaggio scritto.
Di qui la scelta, non conforme alla manualistica corrente, di dedicare un ampio spazio iniziale (La scrittura dei Micenei) non solo al sistema scrittorio visto sotto il profilo delle sue componenti strutturali, ma anche della sua distribuzione spaziale e cronologica, delle modalità di messa in pagina e delle procedure che sottendono all’atto della redazione del documento e al flusso dell’informazione da questo mediato.
È partendo da tali premesse che, nella Parte seconda (Lingua e scrittura), si è inteso affrontare lo spinoso problema del rapporto fra lingua e scrittura, facendo proprie quelle più recenti istanze di approccio all’argomento che vedono il sillabario miceneo non già come sistema di notazione grafica impreciso e spesso inadeguato alla resa fonica del greco miceneo, bensì come costrutto, altamente convenzionalizzato, dotato di precise regole ortografiche atte a ottimizzarne le funzioni in relazione al proprio ambito applicativo.
È in questa prospettiva che riteniamo siano da valutare quegli aspetti fonologici e morfologici della varietà linguistica micenea che si manifestano attraverso la testimonianza dell’attività scrittoria e ai quali è interamente dedicata la parte finale del lavoro (La lingua dei Micenei).
La Micenologia, quale disciplina specifica dedicata agli studi sulla Grecia della tarda età del Bronzo e alle sue testimonianze epigrafiche, ha due nascite.
La prima è certamente quella conseguente agli scavi di Heinrich Schliemann a Troia, Micene e Tirinto sul finire dell’Ottocento, seguiti a pochi anni di distanza dai prestigiosi ritrovamenti effettuati da Arthur Evans a Cnossos, sull’isola di Creta. Alle imprese pionieristiche di questi due studiosi, così diversi fra loro per storia e profilo culturale, sono seguite, durante tutto il secolo scorso, le scoperte dei maggiori centri che caratterizzano le culture preclassiche dell’intera area egea, dagli inizi del III giù fino alla fine del II millennio a.C.
La seconda è quella segnata dalla decifrazione del sistema scrittorio miceneo, definito convenzionalmente sillabario Lineare B, operata da Michael Ventris (cui si aggiunse immediatamente l’opera di John Chadwick) nella seconda metà degli anni Cinquanta dello scorso secolo.
La storia dei progressi e delle conoscenze acquisiti in seguito allo svilupparsi di un tale settore di studi, e non da ultimo la determinazione dell’esistenza di ben altri due sistemi scrittorî originari dell’isola di Creta, il cosiddetto “geroglifico minoico” e il “sillabario minoico A”, strettamente connessi con lo sviluppo di quella cultura urbana che ivi si manifesta già dagli inizi del II millennio a.C., rappresenta il necessario background per affrontare correttamente la conoscenza della scrittura e della lingua dei Micenei. Soprattutto l’aspetto scrittorio che caratterizza quella fase più avanzata dei centri urbani e dei palazzi cretesi (il cosiddetto periodo Neopalaziale compreso fra il XVII e il XV secolo a.C.), rappresentato dai documenti redatti nel sillabario Lineare A, può a buon ragione esser visto come la conditio sine qua non della creazione e dello sviluppo della scrittura micenea.
Come si avrà modo di approfondire nel corso di questa trattazione, infatti, la scrittura Lineare B dei Micenei altro non è che un adattamento, operato probabilmente in ambiente linguistico misto, minoico-miceneo, del più antico sillabario A in uso presso i centri palaziali minoici. […]
Un capitolo a parte merita invece la storia della decifrazione della scrittura Lineare B, dai primi tentativi operati dallo stesso Evans fino agli studi che videro impegnati, nell’arco di tempo fra la Prima e la Seconda guerra mondiale, studiosi come E. L. Bennett, A. Kober e J. Myres, sotto lo stimolo, tra l’altro, dei nuovi ritrovamenti epigrafici che la missione archeologica americana, diretta da C. Blegen, andava effettuando sul sito dell’antica Pylos in Messenia e del procedere dell’edizione finale delle tavolette micenee rinvenute a suo tempo dall’Evans a Cnossos.»