“Scritto nel ghiaccio. Viaggio nel clima che cambia” di Carlo Barbante

Prof. Carlo Barbante, Lei è autore del libro Scritto nel ghiaccio. Viaggio nel clima che cambia  edito dal Mulino: quale contributo può offrire lo studio del ghiaccio antartico per la conoscenza dell’evoluzione climatica del nostro pianeta?
Scritto nel ghiaccio. Viaggio nel clima che cambia, Carlo BarbanteIl ghiaccio polare è uno dei migliori archivi climatici ed ambientali del passato. In alcune aree del nostro pianeta, come i siti di alta quota delle Alpi, dell’Himalaya o nelle aree polari la neve che cade anno dopo anno si accumula al suolo e cadendo trasporta al proprio interno particelle di polvere ed aria che verranno quindi immagazzinate in una formidabile biblioteca di informazioni chimiche e fisiche. Il ghiaccio è l’unico archivio climatico che ci fornisce allo stesso tempo informazioni sia su quello che i climatologi chiamano le forzanti climatiche (le cause) che sulle risposte del clima. (gli effetti). Questi formidabili archivi ci dicono quanto fosse freddo il nostro pianeta e quanto fossero intense le tempeste che sollevavano la polvere dei deserti per trasportala negli angoli più distanti del mondo. Le informazioni che rimangono intrappolate negli strati di neve e ghiaccio che si accumulano anno dopo anno costituiscono un archivio eccezionale delle cause dei cambiamenti climatici del passato e ci aiutano quindi a comprendere meglio quali sono i processi in atto e a proiettarli nel futuro. Il record climatico più lungo, estratto da una carota di ghiaccio in Antartide, ci consente di andare indietro nel tempo “solo” ottocentomila anni, ben poca cosa se confrontato con l’età del nostro Pianeta, ma sufficiente per comprendere il ruolo dei meccanismi naturali che hanno accompagnato le ere glaciali e di periodi più caldi e di capire come negli ultimi secoli il destino della Terra sia indissolubilmente legato allo sconsiderato uso di risorse naturali da parte dell’uomo. In Groenlandia, invece i record climatici sono decisamente più brevi, ma ci consentono di estrarre informazioni sui cambiamenti climatici repentini che si sono susseguiti in maniera piuttosto irregolare durante tutto l’ultimo periodo glaciale, da circa novantamila a ventimila anni fa.

La calotta polare costituisce un eccezionale archivio dei fattori che hanno influenzato il clima del nostro pianeta: quali effetti hanno prodotto su di esso gas serra, cenere vulcanica e polveri sottili?
L’interpretazione dei segnali registrati nelle carote di ghiaccio ha rivoluzionato le nostre conoscenze di come funziona il pianeta Terra ed ha lanciato una nuova luce sugli effetti della nostra presenza in questo mondo. Per conoscere che cosa stia accadendo alla Terra e per mettere in una giusta prospettiva i cambiamenti in atto dobbiamo valutare come il Pianeta funziona in modo naturale e cercare di capire se quello che sta accadendo oggi sia al di fuori dei canoni naturali. Per fare tutto questo dobbiamo penetrare, metro per metro gli strati più profondi delle calotte polari della Groenlandia e dell’Antartide, ma prima di tutto dobbiamo raggiungere questi posti così lontani ed affascinanti.

Se vogliamo mettere in una giusta prospettiva quello che sta accadendo oggi dobbiamo cercare nel passato indizi su come il sistema Terra abbia reagito a delle perturbazioni anche forti che hanno fortemente influenzato il clima del passato ed influenzano quello presente e futuro. Particolarmente importante è l’opportunità fornita dalle carote di ghiaccio, che ci restituiscono dati climatici ed ambientali con un’ottima risoluzione temporale, di studiare il susseguirsi di eventi anche valutandone la frequenza e l’ampiezza. Dall’analisi del ghiaccio dell’Antartide abbiamo imparato ad esempio che le concentrazioni attuali di anidride carbonica in atmosfera (attualmente 420 parti per milione) sono le più alte registrate negli ultimi ottocentomila anni. Dall’analisi delle minuscole bolle d’aria che rimangono intrappolate nei vari strati di ghiaccio riusciamo a stabilire la composizione chimica dell’atmosfera del passato e a comprendere come le variazioni di gas serra abbiano sempre oscillato entro valori piuttosto costanti. Negli ultimi duecento anni però a seguito delle emissioni di gas serra da parte dell’uomo le concentrazioni d’anidride carbonica sono aumentate di oltre il 40%.

Dall’analisi dettagliata delle polveri vulcaniche riusciamo poi anche a stabilire quale ia l’impatto delle grandi eruzioni climatiche che immettendo in atmosfera enormi quantità di polveri sottili schermano la Terra dalla radiazione solare e fanno diminuire per un certo periodo la temperatura del pianeta. Proprio perché le carote di ghiaccio portano al proprio interno sia il segnale legato alle forzanti climatiche, le polveri vulcaniche in questo caso, che alle risposte del clima, la temperatura, ecco che possiamo ottenere delle informazioni importantissime.

In che modo tale indagine rappresenta una guida preziosa per interpretare i fenomeni climatici in atto e prepararci a quelli del futuro?
Nel nostro passato c’è molto del nostro futuro. È proprio comprendendo i meccanismi legati al cambiamento climatico scritti nelle carote di ghiaccio che riusciamo a migliorare le nostre proiezioni sul clima del futuro. Le carote di ghiaccio, come altri archivi. Ambientali e climatici, ci aiutano a predire il passato, poiché è proprio attraverso la modellizzazione dei dati del passato che noi possiamo testare e quindi validare i modelli climatici che utilizziamo per fare le proiezioni sul clima del futuro. Infatti, poiché non abbiamo il tempo e la fortuna di verificare se le proiezioni climatiche che facciamo oggi realmente si avvereranno di qui a cento o mille anni, ecco che cercheremo di far prevedere al modello cose che sono già accadute nel passato, confrontandone quindi i risultati con i dati sperimentali ottenuti dall’analisi dei nostri archivi climatici. Per fare questo dobbiamo conoscere bene quali sono i processi che regolano il nostro clima e le carote di ghiaccio delle aree polari e dei siti di alta quota sono veramente speciali per questi scopi.

Carlo Barbante è direttore dell’Istituto di Scienze Polari del CNR e Professore ordinario di Chimica analitica nell’Università Ca’ Foscari di Venezia. È coordinatore del progetto internazionale Ice Memory, che ha l’obiettivo di raccogliere e conservare campioni di ghiaccio di tutto il mondo, e del progetto Beyond EPICA, volto alla ricerca del ghiaccio più antico del pianeta.

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