
di Benito Mussolini
a cura di David Bidussa
Feltrinelli Editore
«Quando nel 1979 l’editore Feltrinelli pubblica un’antologia di scritti di Benito Mussolini a cura di Enzo Santarelli, la preoccupazione del curatore è proporre “una rilettura critica dei testi mussoliniani, nelle loro strutture, nel loro linguaggio e svolgimento [che possa] risultare utile sia per realizzare un confronto diretto con le più immediate espressioni dell’uomo politico, sia per procedere, indirettamente, a una verifica della storiografia che, in un modo o nell’altro, ha già affrontato l’argomento”.
Per certi aspetti tornare a riflettere sui testi di Mussolini come luoghi culturali della storia italiana significa incontrare questioni che da tempo (almeno dal 2019, ovvero dal centenario della fondazione dei Fasci di combattimento) fanno ampliamente parte della discussione pubblica. Tuttavia, l’ambizione dell’impresa di questa antologia non è fare un bilancio, o fissare i termini per una discussione generale, bensì affiancare le piste di ricerca di una nuova generazione di storici, cresciuti nell’“Italia della Seconda Repubblica”, che esplorano i percorsi biografici, culturali, ideologici, politici non solo dei fascisti originari, ma anche di chi al fascismo è arrivato dopo; che indagano la pervasività e la trasformazione di un regime con carattere di totalitarismo; il suo radicamento, la sua durata, le permanenze.
L’antologia è divisa in due parti, perché ha l’obiettivo di individuare una fisionomia della ragione e della riflessione pubblica di Benito Mussolini seguendo due diverse strategie.
La prima parte, intitolata “Tre autoritratti”, cattura tre momenti fondamentali in cui Mussolini, scrivendo e parlando in prima persona, propone un bilancio retrospettivo, ma indica anche temi e questioni che saranno in seguito strutturali nella sua biografia politica e nella sua azione pubblica. […]
I tre momenti si collocano a circa dieci anni di distanza l’uno dall’altro: nel 1913, nel 1922 e nel 1932. L’indagine intorno a quei testi vuol rispondere alla domanda: come nasce una nuova fase politica? Ciascuno di quei momenti, infatti, non ne indica un vero inizio, bensì la preparazione a quello che verrà. L’esplorazione dei linguaggi, dei gesti, delle immagini e delle parole usati propedeuticamente a un cambiamento radicale è essenziale per capire il nuovo metodo che Mussolini inventa ed esercita per costruire il proprio potere e cambiare per sempre il nostro Paese. Questa “tecnica”, infatti, ha un futuro nella storia politica italiana e nella relazione tra leader e popolo inaugurata dai partiti di massa. Entra in scena – l’uso di questo termine attoriale, performativo, non è casuale – nella storia d’Italia un tratto della politica che giunge fino a noi oggi.
La seconda parte si articola in cinque sezioni, ciascuna delle quali individua una fase definita della vita politica di Benito Mussolini. Lo scopo è delineare sia la sua parabola sia il lascito culturale che deriva dalla sua azione. Per questo la scansione temporale degli scritti e dei discorsi non è solo biografica, ma ha un significato culturale, politico, progettuale.
Rileggere i testi di Benito Mussolini significa indagare come si sia costruita l’Italia contemporanea nel passaggio dalla società uscita dal Risorgimento, ordinata e governata dalla classe dirigente piemontese, a una realtà costretta a misurarsi con le sfide del Novecento. […]
Mussolini è figlio non solo di un’epoca, ma è anche parte di una generazione che si forma su un linguaggio e su una letteratura, una generazione che esprime e crea un vocabolario politico e ha come punti di riferimento esperienze organizzative e figure culturali comuni a una generazione socialista. La metamorfosi di Mussolini avviene nei primi anni dieci, con la crisi provocata dalla Guerra di Libia e la nascita di una nuova figura intellettuale, intorno all’esperienza delle riviste tra cui: “La Voce”, le riviste del sindacalismo rivoluzionario francese e dell’anarchismo spagnolo, “L’Unità” di Gaetano Salvemini. In quel momento Mussolini è, nei fatti, il rappresentante e l’esponente a cui guarda gran parte del mondo giovanile socialista in Italia.
Accanto, negli stessi anni, emerge un’altra area culturale, diversa e opposta, rappresentata dalle avanguardie giovanili elitiste e del nazionalismo, che segue un corso parallelo. All’inizio non si interseca con quella socialista. I due mondi si sfiorano a partire dalla crisi del 1914, poi finiscono per incrociarsi nei mesi della neutralità italiana (1914-1915).
La crisi del 1914 segna una svolta per Mussolini, anche se lui mantiene ancora i tratti dell’intransigentismo precedente e continua a rimanere su questa linea per gran parte della guerra. La prima vera svolta avviene con Caporetto, la sancisce poi la conclusione del conflitto bellico.
Dalla seconda metà del 1919 (ma il momento definitorio che segna il passaggio politico irreversibile è il secondo congresso del movimento dei Fasci, il 24 maggio 1920) si avvia una nuova fase, che termina nel 1926 e definisce la costruzione dell’agenda e la realizzazione del sistema politico italiano come tramonto dell’esperienza liberale.
Con la crisi del 1926 (“Quota Novanta”) e poi con la scelta popolazionista del discorso dell’Ascensione (26 maggio 1927) inizia una nuova stagione politica che copre la prima metà degli anni trenta e si chiude formalmente con la fine della Guerra italo-etiopica, ma che è già annunciata nel 1934 con la crisi del modello di pacificazione post-Prima guerra mondiale. A partire dal 1926, il tema centrale è la costruzione di un’identità nazionale fortemente intrisa del paradigma complottista e nazionalista, fondata sull’idea di riscatto dell’Italia, con un’accentuata identità politica tesa a rafforzare l’orgoglio patrio. […]
La svolta definitivamente totalitaria si delinea con la costruzione dell’Impero all’indomani della Guerra italo-etiopica (maggio 1936), che rappresenta l’ultima stagione culturale dell’esperienza politica di Mussolini in gran parte fondata su un’idea della missione italiana in Europa, e della quale il razzismo costituisce uno strumento indispensabile.
Con l’esperienza della Repubblica sociale italiana (1943-1945), il cui paradigma culturale per molti aspetti è già stato definito nella seconda metà degli anni trenta, si hanno insieme l’accentuazione del meccanismo totalitario e il recupero di alcuni tratti del primo fascismo degli anni dieci. È il doppio tratto che si consegna a chi si propone come erede di quell’esperienza.
Questo libro, oltre che un’antologia degli scritti di Benito Mussolini, è un modo di indagare una parte rilevante del cantiere culturale e politico di un’ideologia dell’italianità e della nazione che ha una forte aria di famiglia con il vocabolario del Paese attuale.»