
di Martina Savio
Edizioni di Storia e Letteratura
«Nel particolare contesto socio-culturale in cui svolse la propria attività, Giovanni Tzetze rappresenta una figura che può essere considerata al contempo emblematica della condizione dell’intellettuale ed eccentrica, in quanto non inseribile a pieno in nessuna delle categorie professionali alle quali poteva appartenere un uomo di lettere.
Definito da Browning «one of the first men in European society to live by his pen», Tzetze può essere visto come il perfetto esempio di quella ‘mobilità sociale’, che, dopo essere stata particolarmente accentuata nell’XI sec., nel XII lasciava ancora importanti tracce di sé. Sul piano dell’appartenenza sociale, egli sembrerebbe il risultato di due tipi di investimento. Suo nonno materno, o il padre di questi, doveva aver fatto fortuna tanto da potersi permettere un matrimonio che desse lustro nobiliare alla famiglia, sposando, o facendo sposare al figlio, la figlia del Sebastos Costantino e di una parente dell’imperatrice Maria di Alania. La nonna materna di Tzetze fu poi addirittura adottata dall’imperatrice Eudocia Makrembolitissa. Il padre di Tzetze potrebbe invece incarnare l’altro principale tipo di investimento finalizzato alla promozione sociale: quello della cultura e della preparazione linguistico-letteraria. Secondo la sua stessa testimonianza, Tzetze avrebbe infatti ricevuto almeno il primo e fondamentale nucleo della propria formazione e della propria vasta cultura dal padre, il quale si può ipotizzare svolgesse la professione di γραμματικός. […]
La sua principale attività fu quella di γραμματικός, insegnante privato di lingua e letteratura, filologo ed erudito. Tzetze non divenne mai un professore della ‘Scuola Patriarcale’ o dell’‘Accademia Imperiale’, non riuscì cioè a raggiungere i gradi più alti dell’insegnamento, pur avendo certamente riscosso un notevole successo come insegnante e filologo, e nonostante avesse con ogni probabilità aspirato alla cattedra di μαΐστωρ τῶν ῥητόρων, come parrebbe suggerire il violento attacco da lui indirizzato contro il Gregorio che intorno al 1160 la ottenne, molto probabilmente ‘battendo’ il nostro.
Il fatto che egli ricavasse il proprio sostentamento non solo dagli introiti derivati dall’attività d’insegnante, ma anche da quelli che riceveva per vendere (cioè consentirne la copiatura in cambio di un compenso) gli apparati esegetici composti come supporto allo svolgimento delle proprie lezioni, costituisce un indizio del successo e della fama da lui raggiunti nel campo dell’insegnamento. […]
Il valore riconosciutogli come filologo ed erudito sembrerebbe inoltre testimoniato dall’impresa di ripristino materiale e testuale di antichi e preziosi manoscritti conservati nella biblioteca imperiale, il cui testo, filologicamente ristabilito, doveva fungere da antigrafo affidabile per successive copie. Tale attività sarebbe stata commissionata a Tzetze, secondo l’ipotesi di M. J. Luzzatto, per decisione imperiale, nell’ambito di un progetto di ‘restauro testuale’, del quale non è possibile ricostruire il livello di sistematicità. […]
Pur ricevendo commissioni da dignitari e membri della famiglia imperiale, Tzetze non fu mai un vero e proprio poeta di corte: non fece mai stabilmente parte di un circolo letterario come Teodoro Prodromo nel circolo di Irene Dukas prima e poi al completo servizio dell’imperatore Giovanni II, o Costantino Manasse nel circolo di Irene Sebastokratorissa. […]
Se analizzate alla luce di quanto finora osservato sul periodo storico e sullo specifico contesto in cui Tzetze svolse il proprio lavoro d’insegnante, filologo e letterato, le invettive presenti nei suoi scritti, nonché i continui riferimenti alla sua persona autoriale e alla bontà e unicità della sua opera sembrano rivelarsi primariamente come frutto di un sistematico progetto di autopromozione commerciale, fondato sulla creazione di un prodotto fortemente caratterizzato, una sorta di ‘marchio di fabbrica’. Tale ‘marchio’ viene continuamente sponsorizzato dal γραμματικός, in primis attraverso la contrapposizione con gli altri prodotti cui i possibili ‘acquirenti’ avevano accesso.
Anche sulla scia del pregiudizio negativo che per secoli è pesato sulla cultura e sulla letteratura bizantine41, vi è stata soprattutto in passato, ma si registra ancora oggi, una tendenza a liquidare polemiche e attacchi contro autori antichi e ‘moderni’, che costellano i lavori di Tzetze, esclusivamente come il naturale prodotto di un personaggio egocentrico, vanesio, litigioso, ossessivo, o, nel migliore dei casi, eccentrico. […]
Dall’analisi di una cospicua serie di testi proposta nei capitoli successivi emerge chiaramente come il reiterato ricorso all’invettiva, alla critica dell’opera altrui e all’esaltazione della propria, che si riscontra nella produzione letteraria e para-letteraria di Tzetze, vada interpretato non solo, o forse non tanto, come il frutto di una naturale propensione alla polemica, di un carattere egocentrico e litigioso, o di scoramento o ancora come sintomo di una «stern indipendence of judgment», bensì primariamente come l’attuazione di una strategia molto concreta, elaborata in risposta a un’esigenza altrettanto concreta: quella di un insegnante, filologo e letterato che, seppur famoso e relativamente affermato (almeno in alcune fasi della sua carriera), non ha mai raggiunto una posizione che gli garantisse un sostegno da parte dei potenti e una ‘clientela’ stabili, e che si è pertanto cimentato in una costante attività di propaganda di sé e della propria opera, al fine di procacciarsi di volta in volta sostegno e compratori, in un contesto socio-culturale caratterizzato da un’accesa e quotidiana competizione.»