“Scoperta. Come la ricerca scientifica può aiutare a cambiare l’Italia” di Roberto Defez

Dott. Roberto Defez, Lei è autore del libro Scoperta. Come la ricerca scientifica può aiutare a cambiare l’Italia edito da Codice: in che modo la ricerca scientifica può contribuire alla crescita del nostro Paese?
Scoperta. Come la ricerca scientifica può aiutare a cambiare l'Italia, Roberto DefezL’Italia si lascia sempre più affascinare da sirene mitologiche che narrano di riti magici, pozioni salvifiche, pseudo-scienza che sconfina nell’esoterismo e via discorrendo. Più in generale l’idea che si sta diffondendo è che ci sono soluzioni semplici, addirittura casalinghe, per i grandi problemi dell’uomo. Le soluzioni sono a portata di mano, ma qualche mente perversa o qualche interesse economico recondito privano la popolazione di questo sapere.
Ecco allora che appaiono giornalisti in cerca di scoop, dilettanti senza alcuna professionalità, mitomani, che propongono ricette risolutive fatte con grande semplicità e spesso basate sull’idea che è inutile studiare, che è una perdita di tempo fare accurati test per validare delle cure o per misurare fenomeni complessi. Tutto si riconduce a espedienti definiti “Naturali” con la N maiuscola.
Abbiamo così visto apparire terapie magiche come la cura del cancro del dott. Di Bella o il protocollo Stamina (propagandato da un laureato in lettere). Oppure centinaia di magistrati che hanno imposto la somministrazione di farmaci contro l’opinione di medici, autorità sanitarie e scienziati. Magistrati che hanno ripetutamente messo sotto indagine scienziati rei, in genere, di aver detto la verità. Come in Puglia sulla moria degli ulivi causata da un’epidemia batterica o per i geofisici della Commissione Grandi rischi incriminata per il terremoto dell’Aquila.

Insomma in un mondo sempre più complesso, connesso e dove la tecnologia corre troppo rapida, il canto suadente del ritorno alla Natura diventa una nuova (e antica) religione. Una modalità di vita che ci rassicura e ci fornisce una guida post-ideologie politiche novecentesche. Il termine “Naturale” si spiega, ossia si apre, si dispiega, come “Buono, Pulito e Giusto”. Notate soprattutto il termine “giusto” che desidera farsi carico di un’etica planetaria.
Al tempo stesso in questa devozione alla dea Natura si celano rigurgiti anti-evoluzionistici. Tutto quanto viene fatto dalla dea natura è buono, tutto quanto anche solo toccato dall’uomo è sporco, infetto e contaminato. In altre parole l’essere umano è innaturale. Gli animali sono naturali, l’uomo è inquinato e inquinante. L’uomo che scimmiotta un essere soprannaturale e non è più nemmeno naturale. L’attenzione che oggi si dedica agli animali domestici è diventata un fenomeno epocale con i supermercati che stanno oramai posizionando gli articoli per la cura e l’alimentazione degli animali da compagnia sugli scaffali che seguono quelli per la cura e alimentazione dei neonati.

Tutto questo ha delle ripercussioni visibili sull’uso dei vaccini, sull’alimentazione che come minimo deve essere biologica, ma meglio se biodinamica o nell’uso dei grani antichi, ossia di grani che quando apparvero solo un secolo fa erano considerati come gli Ogm di oggi.
Ma questa nostalgia per una natura in larga parta ignorata è un percorso che considera la scienza una forza perversa e distruttrice. Nonostante che la vita media non sia mai stata così lunga da quando centinaia di migliaia di anni fa homo sapiens ha cominciato a muoversi dalle savane africane. Nonostante il fatto che abbiamo cure straordinarie e vecchiaie che oramai considerano i novantenni persone in grado di fare quasi tutto e certamente di ragionare perfettamente, nonostante la rete di connessione globale che ci aiuta in ogni nostra necessità, nonostante l’uso di energie sempre più abbondanti e pulite, nonostante un’alimentazione che non è mai stata tanto ricca, abbondante, economica e sana. Ma scindere la scienza dalle nostre vite vuol dire non fare innovazione, perdersi i giovani, far emigrare le migliori competenze, non sviluppare impresa in Italia e perdere altre professionalità e competenze. Significa rinunciare al futuro. Significa far accartocciare il paese su se stesso in un triste declino nostalgico fino a venire smembrato da chiunque lo voglia fagocitare a poco prezzo. Il libro si apre proprio con una simile devastante immagine che prova a spiegare chi sono gli scienziati nel ventunesimo secolo e quanto siano importanti per tutto il paese.

Qual è lo stato attuale della ricerca in Italia?
La situazione è pessima e non da poco tempo. Tutti sanno che l’Italia non investe in ricerca, non finanzia i suoi scienziati pubblici, blocca le carriere, non bandisce un numero accettabile di concorsi e annaspa dietro alle innovazioni sviluppate da altri o da italiani emigrati. Gran parte dei premi Nobel italiani sono solo nati in Italia, ma hanno potuto svolgere le loro ricerche all’estero. Ma c’è qualcosa di ancora peggiore che facciamo e di cui io incolpo gli scienziati italiani chiedendo che ci sia un vero riscatto: noi non riusciamo a premiare il merito. Anzi espelliamo dal sistema i più meritevoli e continuiamo ad accettare compromessi al ribasso andando ad elemosinare elargizioni miserevoli da amministratori e politici.

L’Italia della Ricerca è economicamente fallita e ha i conti in rosso. Non solo non riesce ad usare che la metà dei fondi comunitari che ci vengono assegnati, ma soprattutto spende buona parte della metà residua così male da mettere in crisi l’intero sistema perché non rispondono ai criteri internazionali di trasparenza. Basti dire che i fondi PON (che valgono circa 7 miliardi di euro) per l’uso in ricerca scientifica non sono stati ancora assegnati a quattro anni dall’inizio dell’attuale programma e a soli due anni dalla fine di questa trance di finanziamento.

Ma non basta. I fondi sono assegnati con procedure che non premiano il merito, che non rispondono a parametri scientifici internazionali, che sono basati sull’appartenenza a clan, ad aree geografiche, gruppi, o istituzioni. In definitiva i fondi vengono assegnati in maniera diversa da quanto avviene nella gran parte dei paesi sviluppati e così un giovane non riuscirà a vedere finanziate le sue ricerche.
Disastrosa è anche la situazione della divulgazione scientifica e del finanziamento ai musei scientifici e così si scoraggia l’approccio per una più diffusa conoscenza delle innovazioni e conquiste scientifiche, distanziando sempre più il pubblico e i giovani dalla ricerca scientifica.
Ma io non mi accodo a chi chiede maggiori finanziamenti alla ricerca. Aumentare i finanziamenti prima di aver riformato le regole è controproducente e inutile. Prima si tappano le falle del sistema e poi si ricomincia a finanziare la ricerca, altrimenti diventeremo complici di spese inutili e di sprechi imperdonabili.

I nostri giovani migliori sono spesso costretti all’emigrazione per mancanza di riconoscimenti in patria: di chi sono le responsabilità di questo stato di cose?
La colpa è di tanti, ma io incolpo soprattutto noi stessi: gli scienziati. I giovani che ci lasciano sono i nostri figli scientifici e siamo noi a doverli proteggere e aiutare. Aiutarli a crescere è anche aiutarli ad andare all’estero a specializzarsi, ma cacciarli perché non ci sono né speranze né opportunità è una cosa diversa e sbagliata. Dico che sono gli scienziati a dover reagire con gesti forti e irrituali. Con iniziative inesplorate dai nostri colleghi in giro per il mondo. Siamo in una condizione estrema e imparagonabile a tanti altri e servono soluzioni diverse e soprattutto unitarie. Anzi temiamo che tornino per due ragioni opposte. Una motivazione è che chi vuole proteggere e controllare la sua stretta cerchia di competenze e di potere locale, vede di cattivo occhio chi ha un’autonomia intellettuale e sperimentale. Cerca di proteggere chi si è formato alla sua scuola e che può meglio tenere alle sue dipendenze, spingendo sempre più in basso il livello delle sue ricerche. Chi invece ha uno sguardo internazionale alla ricerca teme che facendo rientrare ottimi scienziati questi non potranno ottenere finanziamenti, collaboratori, laboratori attrezzati, carriere, ma resteranno ingabbiati nelle loro immense competenze acquisite all’estero. Quindi pensa che per il loro bene professionale è meglio se restano all’estero.

Il libro è in gran parte dedicato ai troppi giovani che abbiamo formato in Italia e poi abbiamo esiliato senza più nessuna ambizione di vederli tornare. Si fanno anche dei conti economici per spiegare che questa è un’emorragia insopportabile. L’ultimo paragrafo dell’ultimo capitolo è intitolato ad una coraggiosa organizzazione (Tempesta di Cervelli) che cerca di coordinare gli sforzi dei tanti giovani scienziati italiani. Sono i giovani senza posizioni stabili, espulsi dal sistema della ricerca italiana, bravi e capaci di reggere il confronto internazionale che cercano di aiutare chi in Italia chi ha posti stabili e ben retribuiti, chi (come me) godrà di una pensione, detentore di piccoli poteri locali e che talvolta vive chiuso in un ambiente poco competitivo. Eppure sono i giovani che cercano di aiutare i più esperti e garantiti, invece del contrario.

Quali provvedimenti sono a Suo avviso necessari per dare nuovo impulso alla ricerca nel nostro Paese?
Servono valutazioni meritocratiche per i passaggi di carriera e per i finanziamenti e solo dopo un enorme aumento dei finanziamenti in ricerca con una severa e impietosa selezione tra chi fa davvero ricerca scientifica e chi coltiva interessi personali mascherandoli da attività di ricerca. Ma tutto questo non va limitato al ristretto ambito della ricerca scientifica. Il punto che fa il libro è che sulla base del metodo scientifico tantissime attività vanno riformate per ridurre il potere discrezionale e aumentare lo spazio di analisi dei dati dei problemi sui quali si dovranno poi prendere le decisioni.

L’idea è che il metodo scientifico possa servire a far uscire il Paese dai clan, dalle gelosie e dalle faziosità preconcette. Se si descrive un problema usando numeri, statistica, documenti e analisi accurate, alla politica resterà l’ultima parola e la decisione su cosa fare, ma disponendo di tutte le soluzioni ragionevolmente percorribili analiticamente descritte e pesate. Che si tratti della vendita dell’Alitalia o di una grande catena della distribuzione alimentare, di allestire reti e ripetitori per la telefonia mobile, di investire su energie rinnovabili o costruzioni antisismiche, terapie innovative o sistemi di telerilevamento per l’agricoltura, quello che manca in Italia è una descrizione dei fatti accertati in maniera oggettiva e analitica. Chi deve prendere decisioni si deve fidare di un consulente per fiducia, amicizia, appartenenza politica o sindacale, interessi, ma quasi mai perché si tratta di un vasto gruppo dei migliori professionisti di cui disponga il Paese.

La critica va ancora agli scienziati che non riescono ad allestire albi di esperti disciplina per disciplina, che possano fungere da consulenti di politici, magistrati o giornalisti. In una simile confusione tutti sono autorizzati a parlare e, in genere, a gridare più forte. Nessuno paga per aver detto una o anche moltissime fesserie. Nessuno ricorda più falsità dette e analisi totalmente errate compiute da pretesi tecnici o professionisti.

Scoperta è un’analisi impietosa dello stato della ricerca scientifica in Italia, uno sguardo che osserva “senza coperta” il sistema della ricerca come sintomo e simbolo di un Paese che sarebbe ancora quello di Galileo Galilei, ossia di chi ha inventato il metodo scientifico. Uno sguardo di chi non fa piagnistei, ma non può più accettare compromessi al ribasso: perché oramai non c’è più nulla da perdere e intanto stiamo esiliando generazioni di menti intelligenti e brillanti. Una vergogna della quale non possiamo più essere complici.

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